giovedì 19 marzo 2009

IL PRIMATO DELLA VERITA'

......Il fatto è che quando l'uomo riconosce il primato alla verità, il Lògos, essa attira e costringe a sé l'amore, la volontà e la libertà; richiede di conformarsi alla sua luce. Via obbligante, ma certo non obbligata, dal momento che l'uomo può scegliere lucidamente di aderire a essa come di dissentire, è nondimeno una strada su misura per gli umili; per chi sa credere come un bambino......



Per nazismo e comunismo in principio non è il Verbo ma l'azione
Un inedito di Romano Amerio.
di Raffaele Alessandrini,
da L'Osservatore Romano (17/03/09)

Romano Amerio, il Vaticano II e le Variazioni nella Chiesa cattolica del XX secolo (Verona, Fede e Cultura, 2008, pagine 149, euro 20) è il titolo del volume che raccoglie gli atti dell'omonimo convegno tenuto ad Ancona il 9 novembre 2007 in occasione del decennale della morte del fine e discusso teologo luganese. La pubblicazione di questi atti è corredata da un inedito di cui pubblichiamo ampi stralci.




Noto soprattutto per alcune sue posizioni critiche non prive di asperità nei confronti della teologia moderna e dello stesso concilio ecumenico Vaticano II, Amerio fu sempre fedele e rispettoso alla Chiesa istituzionale. Ciò gli consentì di proporre un singolare contributo personale di pensiero e di meditazione avvalorato dall'umiltà e dallo spirito d'ubbidienza filiale che sempre dovrebbe connotare chi nella Chiesa si ponga in ricerca. Quello stesso spirito di ubbidienza che risalta, come già capitò di osservare, anche nelle posizioni di un personaggio in apparenza lontano da Amerio quale fu don Lorenzo Milani. In realtà la prossimità tra i due non si limita solo all'ubbidienza e al profondo senso dell'unità ecclesiale.

In particolare proprio l'idea fondamentale di Romano Amerio del primato della verità sull'amore collima con quanto il priore di Barbiana scriveva nel 1958 al suo amico e neovescovo ausiliare di Lucca Enrico Bartoletti. Don Milani lo invitava ad anteporre le ragioni della verità a ogni altra cosa comprese le ragioni della carità, anche a costo di rendersi non solo poco diplomatico ma, se necessario, anche sgradevole o molesto. Può stupire solo in parte la prossimità della visione del "tradizionalista e anticonciliare" Amerio a quella del priore di Barbiana che nel marzo del 1965 plaudiva con trasporto al Vaticano II, compiaciuto che il suo Esperienze pastorali fosse stato "sorpassato a sinistra" da un Papa.

Il fatto è che quando l'uomo riconosce il primato alla verità, il Lògos, essa attira e costringe a sé l'amore, la volontà e la libertà; richiede di conformarsi alla sua luce. Via obbligante, ma certo non obbligata, dal momento che l'uomo può scegliere lucidamente di aderire a essa come di dissentire, è nondimeno una strada su misura per gli umili; per chi sa credere come un bambino.

È la strada della lex orandi - lex credendi: come preghiamo così crediamo, esattamente perché è la Verità-Lògos che rende liberi. Ed è sempre e solo grazie alla verità che possiamo riconoscere e distinguere la carità, e anche la giustizia, da altre espressioni parziali o riduttive.

Di Romano Amerio le edizioni Lindau di Torino si propongono di pubblicare l'intera produzione scientifica a cominciare dalla riedizione dell'opera fondamentale Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica che uscirà tra giugno e luglio 2009 a cura e con postfazione di Enrico Maria Radaelli, filosofo dell'estetica e discepolo di Amerio.



Il rischio di scindere l'Amore dalla Verità

di Romano Amerio

La fede cattolica dice che l'amore procede dal Padre e dal Figlio. Difatti l'amore procede dalla conoscenza. Quando si dice che l'amore non procede dalla conoscenza si fa dell'amore un valore senza precedenti, invece c'è un valore che precede l'amore ed è la conoscenza. Quindi questo avvaloramento indiscreto dell'amore implica una distorsione del dogma trinitario.

Bisogna dire che lo sviluppo dogmatico della Chiesa nei primi secoli fu fortemente influenzato dalle ragioni politiche: a un certo momento tutta la cristianità era ariana, perché c'erano imperatori che sostenevano gli ariani; poi, quasi improvvisamente, la cristianità tornò al dogma trinitario corretto.

Perché? Perché le opinioni degli imperatori erano mutate. In tutto lo svolgimento dottrinale c'è un grandissimo influsso politico; del resto: erano gli imperatori che convocavano i concilii; non sottoscrivevano, perché non facevano parte del concilio; ma erano loro che ordinavano la convocazione, il trasferimento, la chiusura del concilio.

E quindi, che per la prima volta il Filioque appaia a Gerusalemme in una certa comunità monastica, non mi fa alcuna impressione, perché il movimento progressivo del dogma è un fatto storico: per secoli e secoli certi dogmi della Chiesa furono impugnati da certe correnti teologiche; per secoli e secoli ci furono correnti teologiche importanti che negavano l'Immacolata Concezione.

San Tommaso medesimo nega l'Immacolata Concezione, perché i teologi ortodossi dicono che la Santa Vergine non aveva neanche "il debito" del peccato. Invece alcuni di questi sostenevano: non ebbe il peccato originale ma aveva il debito del peccato originale, e questo dissenso tra maculatisti e immaculatisti durò per secoli. San Tommaso era tra i maculatisti; i Domenicani in genere erano contro l'Immacolata Concezione, i Francescani erano pro: il grande maestro francescano che difese l'Immacolata Concezione è Duns Scoto, di poco susseguente a san Tommaso.

Non bisogna stupire, perché il dato di fede è dato all'intelletto e la vita dell'intelletto è questo progresso. Bisogna però che questo progresso avvenga dentro i limiti del dato di fede.

Credo, nel mio Iota Unum, di aver fatto questa osservazione: noi, cristiani del secolo XX, ne sappiamo molto di più di quello che sapessero gli Apostoli, perché, ad esempio, gli Apostoli non sapevano niente dell'Immacolata Concezione: perché il dogma procede non perché muti sostanza, non perché ad un certo momento dica una cosa e in un momento ulteriore ne dica un'altra, ma perché quella medesima cosa la dice più chiaramente, la intende più determinatamente.

Questo del Filioque, che sembra un teorema di astratta teologia, è un atteggiamento formidabilmente pratico, perché il mondo è pervaso dall'idea che il valore vero sia l'azione, il dinamismo.

Al contrario, sostituendo così, però fallacemente, la priorità della cognizione con quella dell'amore, si cade facilmente in un irenismo che vuole abbracciare ogni dottrina, ogni religione; questo abbraccio è possibile in quanto si prescinde dal Verbo, che è una verità, che è una legge.

I nazisti erano contro il Filioque, i comunisti sono contro il Filioque, e il dinamismo moderno, che pone il valore soltanto nell'azione, nell'entusiasmo, nell'impeto, non vuole il Filioque. Quando parlo dell'azione ho in mente l'enorme fenomeno del dinamismo, del tecnicismo, che è caratteristico del mondo moderno. I comunisti non sostengono il Filioque perché ripudiano la ragione: il comunismo è un sistema che maneggia l'uomo senza aver riguardo alla natura dell'uomo: ora, la natura dell'uomo è qualche cosa che si legge con la ragione. L'azione, in questi sistemi totalitari - nazismo e bolscevismo - non ha alcuna legge al di fuori di quella dell'azione stessa: perché ripudia il Filioque. Essi dicono: l'azione, l'amore, sono un valore che precede tutto; non "procede", ma soltanto "precede".

E se l'amore - per converso - "procede", c'è qualcosa da cui esso procede e da cui riceve legge, riceve ordine. Quindi il Filioque è una questione intrinseca al problema del totalitarismo.

Mi ricordo che c'è un'affermazione di Paolo VI, che io devo anche aver citato nel mio Iota unum: Paolo VI, in un certo momento, ha detto: "Noi siamo i soli a difendere il potere della ragione". Quando la Chiesa cattolica difende la legge naturale, difende la ragione. I veri razionalisti sono gli uomini di Chiesa - allorché difendono la legge naturale, (n.d.c.) - perché pongono la ragione, cioè il Verbo, in fondo a ogni cosa e a principio di ogni cosa. Il pensiero moderno invece mette l'amore, mette una forza che non ha in sé nessuna direzione e nessuna destinazione, perché l'amore crea i figli dell'amore.

Il pensiero moderno è un'implicita negazione della ragione: questo lo si vede anche nell'imponente fenomeno della politica. Quali sono gli Stati che regolano la politica sulla ragione, o sulle ragioni? Gli Stati emanano delle ordinazioni a cui soggiace la vita umana; ma il motivo, la giustificazione di queste ordinazioni è l'ordinazione in sé. Tutta la nostra politica è un sistema di negazione della ragione, un sistema che nega che vi sia qualcosa di anteriore all'amore, alla volontà, alla forza dell'azione, perché è lo Stato che dà a se stesso il proprio destino e ogni destino che l'amore dà a se stesso è un destino plausibile, è un destino che diventa "dovere". Non perché ci sia un riferimento al Verbo, ma perché c'è un riferimento alla forza dello Stato, alla forza dell'amore.

E poi c'è, definitivo, l'asserto dell'Evangelo di san Giovanni: «In Principio erat Verbum». E, nel Faust di Goethe, c'è una scena in cui il dottor Faust sta leggendo la Bibbia e trova: "In Principio era il Verbo", e dice: "No, non può essere il Verbo! Ma: In Principio era l'Azione!". Il dottor Faust di Goethe rifiuta il Filioque. Questa è una scena molto significativa del Faust, e qui è proprio affermato il principio moderno del dinamismo, dell'impeto, del moto, della filantropia, questa carità orbata della ragione a cui è ordinata.

Vorrei quasi dire che al fondo del problema moderno c'è il Filioque, perché chi nega il Filioque concede il primato, indiscreto e assoluto, all'amore: l'amore non ha limiti, non ha remore; qualunque azione tu faccia "con amore", quell'azione è buona.

Separare l'amore, la carità, dalla verità, non è cattolico. Si dice che il "volere" non dipende dal "conoscere", ma che è un valore in sé, è l'azione per l'azione. E questo si vede anche nella teleologia, perché si dice che l'azione vale per se stessa: le azioni non varrebbero per il fine per cui sono fatte, quello che vale è l'azione per se stessa, cioè l'azione separata da ogni principio razionale: lo Spirito Santo senza il Verbo.

E un nuovo accanimento contro il Cristo, appunto perché il Cristo è la Ragione: il Cristo è la Ragione divina che, incarnata, è una individuata persona storica; il Cristo è la Ragione divina incarnata, individuata.

Le cose che sembrano più astratte, più staccate dalla vita, sono le cose che si trovano proprio nel cuore della vita.

Se si dice che l'azione vale per se stessa, che l'amore non ha nessuna regola, nessun precetto e nessuna precedenza, si tocca il punto più intimo della nostra esperienza umana, perché noi viviamo per una verità, questa: il fine dell'uomo, secondo il nostro catechismo, è di "conoscere e amare Dio". Ma prima c'è "il conoscere" e poi c'è "l'amare", ma il godimento in cosa consiste? In una intellezione, in una visione; alla quale visione solo segue l'atto d'amore.

La carità che i beati hanno nella beatitudine del Cielo è l'effetto della visione, e in loro la carità cresce quanto cresce la visione. La carità, l'ardore dei beati, è proporzionale alla visione intellettiva, conoscitiva. Questa visione, poi, cresce per un lume soprannaturale, il lumen gloriae. Quindi, secondo la teologia cattolica, in specie in san Tommaso, la nostra beatitudine è commisurata alla nostra conoscenza: Dio avvalora, innanzitutto, la nostra conoscenza e questa conoscenza, così avvalorata, si infiamma naturalmente.

Questa dottrina classica, nella teologia cattolica, è stupendamente esposta da Dante in un canto del Paradiso, il XIV: "Quando la carne, gloriosa e santa, sia rivestita, la nostra persona più lieta sia, per esser tutta quanta; perché s'accrescerà ciò che a ne dona di gratuito lume - conoscenza - il sommo Bene, lume che, a Lui veder, me condiziona". E quello che i teologi chiamano lume di gloria: è un'aggiunta di conoscenza e di potenza conoscitiva, al di sopra della natura. Ma poi si dice: "Perché la visione crescer conviene. E alla visione l'ardor s'accende". Cioè: l'ardore, la carità, l'amore, si accende a seconda della visione. La visione dell'essenza divina è condizionata dal lume di gloria e quanto più cresce il lume di gloria, tanto più cresce la visione e conseguentemente tanto più cresce la carità: la carità è in stretta dipendenza dalla visione, dalla conoscenza.

La questione del Filioque è la radice, e questa inappropriata celebrazione dell'amore è una implicita distruzione del dogma della divina Monotriade: lo Spirito Santo in tal modo non "procede" dal Verbo, ma lo "precede", anzi: precede tutto. Questa opinione è diventata tanto popolare perché oggi non si dice: "L'azione è buona se è conforme alla regola del Verbo"; ma si dice: "L'azione è buona se è fatta con amore". Anche nella vita odierna noi pecchiamo quando "vogliamo", atto volitivo, senza consultare la regola della conoscenza; noi diciamo: "Prima il volere poi il sapere", sovvertendo l'ordine delle processioni.

Io credo che nella fede cattolica lo Spirito Santo abbia sempre "proceduto": difatti, nell'Evangelo, è il Verbo che dice: "Vi manderò lo Spirito Santo". E il Cristo, è il Verbo, è la Seconda Persona che annuncia: "Vi manderò lo Spirito Santo, il quale vi insegnerà ogni vero". E, dopo la resurrezione del Signore, gli Apostoli aspettano lo Spirito Santo che è stato promesso dal Cristo e che è nato dal Cristo. Non è che lo Spirito Santo venga, proceda, dal Padre. No: lo Spirito Santo è mandato alla Chiesa dal Verbo.
Scritto da: mdeledda alle ore 22:03 | link | commenti | categoria: teologia
Gli ordini religiosi tra storia e identità
Poveri fondatori, schiacciati dal loro mito

di Giuseppe Buffon,
da L'Osservatore Romano (17/03/09)

Nell'ambito del dibattito scaturito in seguito alle affermazioni intorno all'ermeneutica della continuità, pronunciate da Papa Benedetto XVI il 21 dicembre 2005 nel suo discorso ai cardinali e ai membri della curia romana per lo scambio degli auguri natalizi, un tema che ritengo meritevole di una certa sottolineatura è la produzione storiografica in relazione alla vita religiosa del periodo posteriore al concilio Vaticano II.

La ricerca sulla storia delle congregazioni religiose suscitata dall'assise conciliare, come già osservava Giancarlo Rocca, nella stragrande maggioranza dei casi sembra privilegiare il periodo delle origini rispetto a quello successivo, che potremmo definire della “durata”.

Cultori della storia, spesso anche attenti filologi, sembra abbiano manifestato un modesto senso storico avendo assunto il concetto di origini solamente nella sua accezione materiale e cronologica, senza porre la dovuta attenzione al suo valore di riferimento stabile.

In questa prospettiva l'indagine si è spesso limitata ad analizzare il tempo dei fondatori o dei riformatori, a scapito di quello attinente alla codificazione, all'adattamento, allo sviluppo o alla crisi, riconosciuto - a torto, a mio avviso - con il termine peggiorativo di “istituzionalizzazione”.

Sotto l'influsso della “teologia del carisma”, maturato in seguito ad una fuorviante interpretazione del dettato conciliare circa il ritorno alle origini, si è verificata, per così dire, una sorta di sopravvalutazione del ruolo dei fondatori, che ha sottratto attenzione alle altre dinamiche riguardanti il successivo adattamento.

Nel caso particolare delle congregazioni femminili, sorte durante il XIX secolo nell'alveo e per ispirazione di vecchi ordini religiosi, quali ad esempio quello francescano, l'appello al cosiddetto ritorno alle origini ha comportato spesso degli inconvenienti ancora maggiori.

Il ricorso a modelli di fondatori di stampo medievale, quali ad esempio san Francesco e san Domenico, ha distolto spesso i membri dei nuovi istituti religiosi da uno studio più approfondito del contesto storico e culturale moderno, nel quale e dal quale i rispettivi gruppi religiosi avevano attinto motivi per il loro avvio e successivo sviluppo.

Non è raro infatti incontrarsi con biografie di fondatori o fondatrici, prodotte spesso in vista della causa di canonizzazione, i cui tratti appaiono ripetitivi, sbiaditi, appiattiti e per così dire schiacciati su dei luoghi comuni, privi di ogni riferimento al dato storico, ridotti a schemi di virtù disincarnate.

In realtà, molte congregazioni femminili, istituite nel corso del XIX secolo, risultano il prodotto di un'idea di gruppo anziché di un singolo individuo. L'affermazione pare ricevere conferma anche dagli studi cosiddetti di genere, che hanno individuato nella gestione dell'autorità da parte di istituzioni femminili una forma assolutamente compartecipativa, collaborativa e dunque comunitaria piuttosto che verticistica, o, che dir si voglia, appannaggio di singoli individui. Anche nei tentativi di fissare una periodizzazione attinente all'intero arco della storia della vita religiosa, facilmente si è incappati nel medesimo errore, cioè in quello di aver attribuito spesso eccessiva considerazione a quei periodi ritenuti espressivi di maggiore creatività, assumendoli quali tappe di riferimento. Ad altre epoche, invece, giudicate come elementi di seconda scelta proprio in ragione dell'assenza di nuove forme di vita religiosa, è stato attribuito una sorta di ruolo ponte, quasi si trattasse di una fase di grigiore, carente di contenuti meritevoli di studio e ricerca.

Sotto questa prospettiva, il periodo definito come “modernità”, cioè quello compreso tra i secoli XVII-XVIII, risulta naturalmente il più penalizzato. La vita religiosa del Sei-Settecento, infatti, viene qualificata con i termini di staticità, ripetizione, conservazione.

Il giudizio negativo concernente, in particolare, il XIX secolo, risulta aggravato dal fatto che, a determinarlo, pare abbia concorso in modo notevole l'ignoranza dimostrata dagli studiosi in genere nei confronti della vita religiosa femminile, fissandone la scansione temporale sulla base delle istituzioni religiose maschili e soltanto in relazione ad esse. In conclusione, nella periodizzazione della vita religiosa, i secoli XVIII e XIX si configurano in termini affatto negativi o rimangono assolutamente negletti.

Sorge il dubbio che a bloccare gli studi su quest'epoca possano essere stati gli strascichi della polemica ottocentesca tra religiosi e modernità. Diverse storie di congregazioni religiose scritte fino agli anni Cinquanta, affrontando il periodo delle soppressioni liberali si soffermano spesso su una apologetica volta ad attribuire le cause della crisi quasi esclusivamente a fattori di ordine politico e culturale, ossia all'anticlericalismo avverso alla vita religiosa e in particolare alle soppressioni liberali. Qualche spiraglio, nella prospettiva di una reale svolta storiografica, sembra potersi intravedere nell'impostazione conferita all'ultimo volume del Dizionario degli Istituti di Perfezione. Il criterio adottato per la scelta dei lemmi, infatti, obbedisce ad una logica che sembra di tipo istituzionale: “(...) la scelta cadde perciò sull'opportunità di aggiungere altre voci che, ordinate tra loro come in un sistema, dessero una visione completa dell'argomento in questione”.

Sembra in realtà potersi accogliere la convinzione che la possibilità di trasferire l'interesse storiografico dai temi relativi alle origini della vita religiosa a quelli relativi alla sua durata, trovi il suo fondamento principale sulla capacità di elaborare una metodologia atta a rilevare la dimensione istituzionale del fenomeno religioso. Parrebbe ormai insufficiente, a mio avviso, uno studio che si appaghi di cogliere e approfondire le funzioni sociali, politiche e culturali, del fenomeno religioso, senza prenderne in considerazione i caratteri di unicità e di esclusività.

Alla luce di questa prospettiva, mi sembrerebbe utile chiedersi, ad esempio, quale incidenza abbia avuto la storiografia religiosa, che risulta esclusivamente incentrata sullo studio delle origini, sulle trasformazioni istituzionali avvenute nelle congregazioni religiose in epoca post conciliare. Quali risultano allora le caratteristiche, ci possiamo domandare, cui ha fatto riferimento il ricorso alla storia da parte delle congregazioni religiose impegnate nell'opera di rinnovamento dei propri parametri ideali ed istituzionali?

A tale proposito, pare assai paradigmatico il caso dell'Ordine francescano, il cui fondatore, più di ogni altro, ha presentato caratteristiche tali da assurgere quale oggetto del fenomeno della supervalutazione, a cui è stato accennato sopra. Non mi sembra a caso, in verità, il fatto di essersi avvalsi, per la problematica storiografica concernente le “origini francescane”, della definizione di “questione francescana”.

Sempre in ambito francescano, il tema delle origini già da tempo è stato portato alla considerazione in quanto “problematica storiografica” di particolare interesse (Stanislao da Campagnola, 1979). È questo un impegno che, da oltre un secolo a questa parte, esula dall'ambito strettamente istituzionale e perfino ecclesiale, diventando, specie in questi ultimi anni, oggetto di evidente attenzione editoriale. Sembra infatti che ci sia una attualità non solo istituzionale ed ecclesiastica, ma soprattutto sociale, culturale, mediatica, che rivendica il ricorso alle origini francescane come propria legittimazione.

Tali origini francescane, in particolare, risulterebbero, in altri termini, una sorta di “attualismo“ che rifugge dalla storia, dalle problematiche poste dal concetto di mutazione, dal complesso intreccio tra continuità e rottura, elementi responsabili della periodizzazione del processo storico. Proprio in riferimento alla realtà francescana si conviene con quanto già affermato da Grado Merlo (Da Frate Francesco, oltre San Francesco, 2005): “Il privilegiamento del modello ideale primitivo (o delle origini) può diventare un alibi per evitare la chiarificazione e il confronto con quanto è venuto dopo, che, in modo più o meno consapevole o implicitamente, viene svalutato nell'atto stesso di privilegiare quello stesso modello. L'antica e obsoleta visione del "tradimento" dell'autentico francescanesimo di Frate Francesco che sarebbe stato compiuto dall'Ordine nel "primo secolo", viene spostata, per lo più in modo non esplicitato, ai secoli successivi (sino ai giorni nostri?). C'è da chiedersi se nella valutazione della lunga vicenda dei frati Minori il modello ideale primitivo (delle origini) non costituisca una sorta di paradigma irrigidito, cristallizzato, mitizzato e, dunque, dallo scarsissimo valore euristico e su un altro piano dalla scarsissima fruibilità pragmatica”.
Scritto da: mdeledda alle ore 21:51 | link | commenti | categoria: storia e controstoria
Medjugorje, un devoto d'eccezione
«Giovanni Paolo II credeva in Medjugorje e ne era molto informato»

di Bruno Volpe,
da Pontifex Roma (17/03/09)

Giovanni Paolo II e Medjugorje. Pontifex ne ha parlato con un sacerdote amico di Giovanni Paolo II, che lo ha conosciuto personalmente. Si tratta di Padre Adam Bonieky, Direttore della prestigiosa rivista cattolica polacca, con redazione in Cracovia, Tygodnik Powszechny.

Dunque, Padre: Papa Giovanni Paolo II aveva stima per Medjugorje?
Guardi, io stesso ho parlato con lui di quel fenomeno e le devo dire che ne era molto, ma molto interessato. Lui credeva fermamente in Medjugorje anche se per ovvia cautela non si è mai pronunciato in pubblico.

Per quale motivo ha omesso ogni giudizio sul tema?
Lei ben sa e conosce la prudenza, anche giustificata, della Chiesa cattolica sul tema, poiché le apparizioni continuano. La Chiesa non ha detto né sì, tanto meno no a Medjugorje, essendo le visioni ancora in atto. Ma le assicuro che Giovanni Paolo II aveva stima per quel fenomeno, ma non prese una posizione pubblica in quanto aveva grande stima e considerazione dei Confratelli Vescovi e non intendeva per nulla creare destabilizzazioni e contrasti nell’episcopato.

Lei conferma, però, l’interesse del defunto Papa per Medjugorje.
Questa senza alcun dubbio. Aveva studiato il problema a fondo e giudicava valide quelle visioni. Immagini che una volta sbagliai il nome di una delle veggenti e lui mi corresse. Insomma, lo conosceva in tutti i suoi dettagli.

Lei ha anche parlato con altri amici personali del Papa.
Ed anche loro mi hanno confermato che Giovanni Paolo II teneva in alta considerazione Medjugorje, io ho parlato con loro, sono persone autorevoli e serie.

Detto questo, come lei ben sa, il Papa Benedetto XVI, dopo le turbolenze e le polemiche derivanti dalla revoca della scomunica ai quattro Vescovi tradizionalisti, ha inviato una lettera ai Vescovi di tutto il mondo. In Polonia come è stata valutata quella lettera papale?
Con l’attenzione che merita. Dal tenore, emerge un grande amore del Papa verso la Chiesa e mi sembra un atto di ecclesiologia da tenere in considerazione.

Ma alcuni episcopati avevano severamente criticato il Papa per la sua decisione misericordiosa di tendere una mano ai tradizionalisti.
Le assicuro che il problema in Polonia noi non ce lo siamo mai posto. Nel senso che qui i fedeli della Fraternità San Pio X sono davvero pochi. Dunque la vicenda non la abbiamo sentita come nostra anche se a livello personale esprimo la mia vicinanza al Papa Benedetto XVI.

Nella stessa lettera si lancia una qualche critica per come la vicenda è stata gestita a livello di comunicazioni, lei da direttore di giornale che ne pensa?
Effettivamente è così. Una valutazione e quindi una decisione tanto piene di problemi e di possibili conseguenze mediatiche avrebbe dovuto essere illustrata nella sua complessità almeno con una conferenza o con un testo di accompagnamento ed invece nulla.

E il caso della dichiarazioni di Monsignor Williamson?
Quelle sono assai imbarazzanti ed inopportune, ma la cosa più seria, e francamente la trovo a dir poco bizzarra, è che nessuno presso la Santa Sede le abbia lette precedentemente alla pubblicazione del decreto, su qualche sito internet o motore di ricerca. Lo trovo scandaloso.

Beatificazione di Giovanni Paolo II: siete ansiosi?
Per niente. Non vedo, tanto meno capisco, l’esigenza di tutta questa fretta. Bisogna lasciare Roma libera di valutare senza alcuna pressione e in libertà. Non è vero che tutta la Polonia stia spasmodicamente attendendo questo evento. Se avverrà, e me lo auguro, faremo grande festa. Ultimamente ho letto un libro italiano che, per favorire la memoria di Giovanni Paolo II, si sperticava in elogi raccontando fatti mai avvenuti. Questo danneggia la memoria del Papa. Poi io, sulla beatificazione dei pontefici scomparsi, ci andrei molto, ma molto cauto.
Scritto da: mdeledda alle ore 21:40 | link | commenti | categoria: medjugorje
Il Battesimo e le presenze angeliche
Gli Angeli e il Battesimo

di Don Marcello Stanzione,
da Pontifex Roma (17/03/09)



Il Battesimo, ingresso alla vita e al regno, è il primo sacramento della nuova legge. Cristo lo ha proposto a tutti perché abbiano la vita eterna, e lo ha affidato alla sua Chiesa insieme con il Vangelo, dicendo agli apostoli: “Andate e annunciate il Vangelo a tutti i popoli e battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Lo stesso ministero santificante degli angeli in collaborazione con il sacerdote nel suo ministero sotto l'appropriata efficacia dello Spirito Santo può essere verificato in particolar modo nel caso del Battesimo. Il testimone più antico di questo, Tertulliano, traccia un legame tra l'agitazione delle acque da parte dell'angelo in Gv 5, 4 e la santificazione delle acque battesimali: “Medicatis quodammodo aquis per angeli interventum”; egli spiega inoltre: “In aqua emendati sub angelo Spiriti Sancto vias dirigit abolitione delictorum”.

Un'intuizione inerente ha continuato a trovare espressione liturgica persino nel secolo presente. Si noti nella seguente preghiera per la benedizione delle acque battesimali la relazione del sacerdote con la richiesta missione santificante dell'angelo e l'appropriazione dell'effetto finale allo stesso: “Dio, che per mezzo dei segni sacramentali, tu operi con invisibile potenza le meraviglie della salvezza; e in molti modi, attraverso i tempi, hai preparato l’acqua, tua creatura, ad essere segno del battesimo: fin dalle origini il tuo Spirito si librava sulle acque perché contenessero in germe la forza di santificare; e anche nel diluvio hai prefigurato il battesimo, perché, oggi come allora, l’acqua segnasse la fine del peccato e l’inizio della vita nuova; tu hai liberato dalla schiavitù i figli di Abramo, facendoli passare illesi attraverso il Mar Rosso, perché fossero immagine del futuro popolo dei battezzati; infine, nella pienezza dei tempi, il tuo Figlio, battezzato nell’acqua del Giordano fu consacrato dallo Spirito Santo; innalzato sulla croce, egli versò dal suo fianco sangue e acqua; e dopo la sua risurrezione comandò ai suoi discepoli: “Andate, annunciate il Vangelo a tutti i popoli, e battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. E ora, Padre, guarda con amore la tua Chiesa: Fa scaturire per lei la sorgente del Battesimo, infondi in quest’acqua, per opera dello Spirito Santo, la grazia del tuo battesimo, l’uomo, fatto a tua immagine, sia lavato dalla macchia del peccato, e dall’acqua e dello Spirito Santo rinasca come nuova creatura. Discenda in quest’acqua la Potenza dello spirito Santo: perché coloro che in essa riceveranno il Battesimo, siano sepolti con Cristo nella morte e con lui risorgano a vita immortale. Per Cristo nostro Signore.

Il ministero angelico era invocato anche nel rito battesimale per un adulto in modo che l'angelo potesse “perducat eum ad gratiam Baptismi”. In ogni caso è una missione dispositiva che prepara l'opera dello Spirito Santo nel sacramento, il cui ministro strumentale è il sacerdote. Il Battesimo rimedia a quello che si chiama il peccato originale; questi è stato una rottura con Dio e con gli amici di Dio, gli Angeli. Questa violazione del patto d'amicizia che il Signore aveva contratto con la sua creatura, è stata perpetrata su istigazione di un essere che, già, nel suo orgoglio, si era ribellato contro Dio, lasciando le fila degli Angeli per diventare il nemico di Dio: quest'Angelo decaduto è Satana, è il demonio o, come lo dice una parola che, originariamente, designa una rottura, il diavolo, “colui che getta di traverso”. Come gli Angeli erano più vicini a Dio dell'uomo e più potenti dell'uomo, Satana è divenuto più lontano da Dio dell'uomo anche peccatore: non vi è più per lui alcuna salvezza possibile; egli custodisce tuttavia una parte della sua potenza, ed il peccato originale ha avuto per conseguenza, dice il Concilio di Trento, “la morte e la prigionia sotto l'imperio del diavolo”.

Ora gli effetti di questo peccato sono stati riparati da Cristo. Per liberarci da Satana, il Figlio di Dio è divenuto uno di noi e, senza lasciare il Cielo, egli ha abitato in mezzo a noi in una carne ed in uno spirito di uomo. Egli non cessava di essere Dio, di essere per conseguenza il solo vero Re del Cielo e della Terra, il solo Padrone del mondo, il solo sovrano legittimo degli Angeli e degli uomini: Egli restava circondato dall'onore che gli rendono gli Angeli: la Corte accompagna il Re. Dall'Annunciazione all'Ascensione, gli Angeli sono vicino a Cristo; in tutti i grandi eventi della sua vita, alla sua Nascita, per esempio, od al momento della sua tentazione, la loro presenza si manifesta e ci è attestata dagli Evangelisti: essi proclamano le sue opere, essi lo servono come in Cielo. Questo si realizza singolarmente nel mistero della sua Morte e della sua Risurrezione. La vigilia della sua Morte, Satana, che vuole perderlo, “entra in Giuda”, ci dice San Giovanni (Gv 13, 26): allora comincia la Passione. Ma subito, al momento della sua Agonia, “un Angelo Gli apparve, venendo dal Cielo e Lo confortava” (Lc 22, 43).

Gesù non è dunque solo nella lotta: Egli si oppone a Satana, ma il suo esercito è con Lui; gli uomini Lo abbandonano, essi presto Lo uccideranno; ma gli Angeli non Lo lasciano: assistono alla sua Morte, sono testimoni della Sua vittoria: Con la sua Morte, in effetti, ci dice spesso San Paolo, Egli ha vinto Satana, ha distrutto il nostro peccato, spogliato di ogni diritto su di noi le potenze malvagie e trionfato in Lui (Col 2, 14-15, per esempio). Come pure, il terzo giorno, come Egli ha deciso di fare uscire dalla Tomba, più glorioso che mai, il suo Corpo ed il suo Spirito che, l'uno e l'altro, erano rimasti uniti alla Sua divinità, gli Angeli sono gli spettatori ed i primi testimoni della sua Risurrezione: il volto luminoso e gli abiti bianchi come neve (Mt 18, 2-3; Mc 16, 4-5; Lc 24, 4-6; Gv 15, 12-13), essi aprono la Tomba e fanno parte alle pie donne della Buona Novella: il Signore è vivente ed apparirà presto ai suoi discepoli.

Distruggendo, con la sua Passione e la sua Risurrezione, il peccato e la morte, che ne erano la prima conseguenza, Egli ha riconciliato tutte le creature: Egli ha riunito di nuovo gli Angeli e gli uomini, ed ha fatto servire all'opera della salvezza le creature materiali stesse; nei Santi Sacramenti, gli elementi sono chiamati a comunicarci la grazia della Redenzione. Questo beneficio ci è applicato dapprima dal Battesimo, dove noi partecipiamo, in modo misterioso alla Morte del Salvatore ed alla sua Risurrezione: noi riceviamo in noi la sua vita divina; Egli è in noi, col Padre e con lo Spirito Santo, e questo stabilisce delle relazioni strette tra noi e gli Angeli che sono sempre con Dio. Il Battesimo inaugura delle relazioni nuove tra l'uomo rigenerato e gli Spiriti invisibili.

Didimo di Alessandria rende la questione sinteticamente, affermando che la nostra rinascita avviene visibilmente nella fonte battesimale attraverso il ministero del sacerdote, ma che è lo Spirito Santo che invisibilmente ci immerge (battezza) nel corpo e nello spirito in Se Stesso, in una nuova vita sotto l'assistenza degli angeli santi. Commentando questo testo J. Danielou affermò che la Chiesa terrena dei sacerdoti e la Chiesa celeste degli angeli sono simultaneamente ministri della rinascita dell'anima operata dallo Spirito Santo . Era antica credenza che il cristiano ricevesse il suo Angelo nel Battesimo. Nel Rito tridentino del Battesimo degli adulti, prima di cacciare i demoni, si chiamava dapprima un Angelo sul neofita: “Dio che avete fatto uscire i figli d'Israele dalla terra d'Egitto delegando loro l'Angelo della vostra bontà per custodirli giorno e notte, noi vi supplichiamo, degnatevi di inviare dal Cielo il vostro Santo Angelo che, anch'egli, custodisca il vostro servo qui presente e lo conduca alla grazia del Battesimo”. L'Angelo discende, assiste alla cerimonia, prende affido, per così dire, dell'uomo che gli è confidato: egli sarà oramai il suo custode responsabile ed il suo protettore titolato.

Questa assistenza nella lotta, gli Angeli la esercitano talvolta nel momento stesso del Battesimo. Le antiche vite dei Santi segnalavano spesso l'aiuto che gli Angeli portavano ai nuovi convertiti, soprattutto al momento delle persecuzioni. Sotto Diocleziano, un Angelo venne ad avvertire un sacerdote di andare a battezzare Sant'Eufemia. Sotto Decio, San Tirso nella prigione è confortato da un Angelo che gli fa sentire la sua voce in mezzo ad una viva luce; un esercito di Angeli gli apparve, uno di essi si distacca dagli altri, si avvicina a lui, lo libera dalle sue catene, lo fa uscire di prigione e lo conduce dal Vescovo; quando Tirso ebbe ricevuto il Battesimo, la Confermazione, la Comunione eucaristica, il suo Angelo custode lo riporta nella sua prigione da dove non ne uscirà che per andare al martirio. Al tempo dell'imperatore Aureliano, un Angelo spiega a San Sabiniano il simbolismo e l'efficacia dell'acqua battesimale: essa cancella i peccati, con essa l'anima del cristiano diventa più bianca della neve. San Bassiano, uscendo dai fonti dove viene dall'essere rigenerato, vede vicino a lui un ragazzo bellissimo, brillante come il sole, che gli porta l'abito bianco con cui deve vestirsi; l'Angelo gli dichiara che, ben prima del giorno, egli è stato inviato dall'alto del Cielo per aiutarlo a perseverare nel suo disegno di conversione ed al fine di scartare tutto quello che avrebbe potuto essere di ostacolo al suo Battesimo; l'Angelo allora sparisce, ma manifesta ancora la sua presenza durante una mezz'ora spandendo un odore così soave che tutti quelli che sono là credono già di vivere in Cielo.

Senza dubbio, la parte della leggenda è grande in tutti questi racconti; ma l'idea che illustrano è autenticamente tradizionale. Il cristiano è unito agli Angeli perché è unito a Cristo. Quando dopo il Battesimo, Cristo ebbe superato le tentazioni di Satana, “gli Angeli gli si avvicinarono e Lo servirono” (Mt 6, 11; Mc 1, 13). Così gli Angeli vivono col battezzato, essi sono al suo servizio e lo aiutano a vincere l'opera di Satana nel mondo ed in lui: a superare le tentazioni, a soffrire la persecuzione. Il battezzato non agisce più solo, egli è sempre con gli Angeli, e particolarmente nella grande opera della vita cristiana, la Liturgia; il culto di Dio col Cristo è reso di fronte agli Angeli: la Scrittura lo dice (Salmo 137, 1), i Padri vi insistevano spesso. La Chiesa degli Angeli è sempre unita a quella degli uomini quand'essi pregano, come i demoni presiedono le assemblee dei nemici di Dio.

Alla luce di queste idee, care a tutta la Tradizione cattolica, il mondo si anima. Noi non viviamo soli, non viviamo in più con delle entità astratte: il bene ed il male hanno un nome. Noi viviamo con delle persone: quelle della Trinità e quelle la cui esistenza è di servire Dio e la sua opera: gli Angeli che gli rendono un servizio di corte e che custodiscono gli uomini ch'egli ha fatto suoi figli. Noi viviamo contro delle persone: i demoni che, con Satana, hanno detto: “Non servirò” (Ger 2, 20). In noi impegnando nella lotta, la grazia battesimale ci ha messo in mano delle armi efficaci: a noi di utilizzarle. Il Battesimo espelle Satana: tale è il senso esatto degli esorcismi. Lo si pronuncia dapprima, il sabato santo, sull'acqua che serve per battezzare: “Su vostro ordine, Signore, ogni spirito immondo si ritiri lontano da qui; che tutta la malizia dell'astuzia diabolica sia scartata da qui; che la potenza nemica non venga a mescolarsi a queste acque; che non vi giri intorno come per tendervi delle imboscate, che non vi si metta di nascosto e che non le infetti per corromperle: Che questa santa ed innocente creatura sia al riparo da tutti gli attacchi del nemico e purificata con l'espulsione di tutta la sua nocività”.

Così la Chiesa, da lontanissimo che scorge il suo avversario, si sforza di metterlo in fuga. Essa rinnova le sue precauzioni quando le si presenta un bambino od un adulto da battezzare: prima di introdurlo in Chiesa, essa scaccia da lui il demonio. Ma essa chiede subito a questa nuova recluta dell'esercito del Signore che si impegni a collaborare in questa lotta contro Satana: tale è il senso del “rinuncio” cristiano, ed uno degli obblighi contratti nel Battesimo. Il male non è un'astrazione, un'idea: è una persona, e “il suo nome è Legione” (Mc 5, 9; Lc 8, 30): è un capo di guerra e la sua truppa. Non si rinuncia dunque a qualcosa, ma a qualcuno, e ci si rivolge a lui personalmente: “Rinuncio a te, Satana”, si diceva negli antichi riti del Battesimo.

“Rinunciare”, nella lingua militare dei Romani, è rescindere un patto e rompere un'alleanza: come si "denuncia" un concordato od un trattato, qui il battezzato rompe le relazioni con l'antico nemico di tutto il genere umano. Satana è un tiranno: egli aveva usurpato sull'uomo, col permesso di Dio ed in punizione del peccato, un potere schiacciante, egli aveva fatto dell'uomo il suo schiavo. Cristo ha preso carne e sangue di uomo per dominarlo con la sua Morte: vi è riuscito poiché Egli era il Figlio di Dio. Unendosi a Cristo, ci si separa da Satana, si rinuncia al peccato che è la sua opera nel mondo fin dall'origine; è questo, semplicemente "rinunciare alle sue opere", è voler non darsi più alle azioni ed ai pensieri cattivi; si "rinuncia alle sue pompe", vale a dire agli spettacoli vani che eccitano le passioni inferiori, affievoliscono l'anima, deformano il giudizio: questa formula non ha perduto nulla della sua attualità anche nel ventunesimo secolo.

Pio XI non volle, nel lontanissimo 1936, "che i cristiani promettano ogni anno di non prendere parte a degli spettacoli cinematografici che offendono la verità e le pratiche cristiane"? Questa "promessa solenne" oggi potrebbe essere applicata a tante immagini pornografiche della televisione o di internet è il prolungamento, l'applicazione di quella che si è fatta nel Battesimo e con la quale si è spezzata ogni alleanza ed ogni connivenza col nemico di Dio. Tutta la sua vita, il cristiano dovrà stare all'erta circa questo "avversario sempre ruggente come un leone che cerca qualcuno da divorare" (1 Pt 5, 8). Il battezzato è diventato, come Cristo ed a causa di Lui, il nemico personale di Satana. Egli combatte l'opera di satana. Egli deve attendersi anche di vedere Satana accanirsi contro di lui. Satana è decaduto dei suoi diritti sull'umanità; ma prima della lotta finale e del ritorno glorioso del Signore nell'Ultimo Giudizio, egli non è ancora privato di ogni facoltà di nuocere all'uomo. Costui sarà dunque, come Cristo, tentato, perseguitato, martirizzato forse; egli sentirà l'opposizione; egli sarà militante. Il diavolo è il persecutore per eccellenza; egli perseguita esteriormente la Chiesa e, invisibilmente, i suoi membri. E più si è vicini a Cristo, più si è in battaglia col demonio: un Padre del deserto diceva che vi erano più demoni in un solo monastero che in tutta la città di Alessandria; si sa il ruolo che ha giocato il diavolo nella vita dei Santi: d'un San Benedetto, d'una Santa Teresa d'Avila o del Santo Curato d'Ars che il papa Benedetto XVI nell’anno sacerdotale l’ha proclamato patrono di tutti i sacerdoti del mondo.

Non vi è più "neutralità" per il cristiano: non c'è terra di nessuno tra il Regno di Cristo e quello di Satana, non c'è terreno neutro, intermedio, dove si possa restare senza prendere partito. Chi non è con Dio è contro di Lui (cfr. Mt 12, 30; Lc 11, 23), egli è il suo nemico. Tali espressioni sono da prendere alla lettera; esse non sono un simbolismo ereditato sia dal paganesimo dell'antichità, sia dalle superstizioni che si attribuiscono al Medio Evo.

Quando, Leone XIII chiese ai fedeli di pregare per la Chiesa, egli prescrisse di dire una formula terribile: "San Michele Arcangelo, difendeteci nella lotta; siate il nostro sostegno contro le insidie del demonio. Che Dio reprima la sua audacia, noi lo chiediamo umilmente. E voi, Capo dell'esercito del Cielo, ricacciate nell'inferno con la forza di Dio Satana e gli altri Spiriti maligni che si aggirano nel mondo per perdere le anime".

La lotta è vasta, il campo di battaglia è l'intero Universo: il cristiano è entrato in lizza nel giorno del suo Battesimo e la Chiesa ha pregato "che rinunciando a Satana, egli trionfi del mondo".
Scritto da: mdeledda alle ore 21:31 | link | commenti | categoria: catechesi

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