giovedì 19 marzo 2009

ANCHE IL DOTTOR HAUSE E' ALLA RICERCA DI DIO

Con i suoi aforismi, i suoi apologhi, le sue idiozie e le battute dei colleghi di House, questa serie riafferma dei valori forti e fermi, pur con le sue contraddizioni, col suo cinismo e il suo ateismo urlato (ma solo per darsi un tono, molto probabilmente). Una morale, insomma, che “non fa la morale”.




parabola del perdono e della ricerca di Dio

da Zenit (18/03/2009)

Giovedì prossimo [19/03/2009, nda] uscirà in libreria il nuovo volume di Carlo Bellieni e Andrea Bechi, dal titolo “House MD: follia e fascino di un cult movie” (Cantagalli Editore).



Il libro prende spunto dalla famosa serie televisiva ambientata in un ospedale statunitense e che ha come protagonista il dr. House. Un telefilm “diabolico” che svela però la sua faccia “buona”. Se poi il telefilm è un boom di ascolti e un cult tra i ragazzi, di solito bersagliati da messaggi “infausti”, la notizia è clamorosa.

Questa notizia è diventata ora un libro, scritto per di più a quattro mani da un medico e da un sacerdote, che hanno analizzato i messaggi talvolta espliciti, talvolta nascosti, della serie televisiva che racconta la storia del medico Gregory House, geniale ma solo, drogato ma bravissimo, cinico ma umano.

Con i suoi aforismi, i suoi apologhi, le sue idiozie e le battute dei colleghi di House, questa serie riafferma dei valori forti e fermi, pur con le sue contraddizioni, col suo cinismo e il suo ateismo urlato (ma solo per darsi un tono, molto probabilmente). Una morale, insomma, che “non fa la morale”.

Attenzione, comunque: House è un “cattivo”, è cinico. Ci è richiesto uno sforzo per superare l’impatto con questi comportamenti negativi, per arrivare a capire il messaggio principale della fiction, per non fermarsi a quello che si vede, ma fissare il punto decisivo: il cambiamento e lo stupore di una mente cinica.

L’idea che le storie di House contengano un messaggio esistenzialmente profondo, viene chiarita dalle parole del suo autore, David Shore: “C’è un sottofondo filosofico nello show, un’opportunità di parlare della vita e di come viverla. Penso che i buoni show debbano trattare di dilemmi etici e di questioni di etica”.

Oltre che vincitore di vari premi Emmie, la serie ha ottenuto il prestigioso premio “Humanitas”, assegnato a storie che “affermano il valore della persona umana, il senso della vita, ed esaltano l’uso della libertà umana. Storie che rivelano la comune umanità, cosicché l’amore possa permeare la famiglia umana ed aiutare a liberare, arricchire e unificare la società”.

È stupefacente notare, se si legge con attenzione il telefilm, come emerga un messaggio contro l’aborto, contro l’eutanasia, a favore della vita, del matrimonio, contro la droga proprio attraverso la storia di persone talvolta ciniche, peccatori e atei, ma la cui insoddisfazione per i loro errori è così chiara, che non lasciano dubbi sul senso del messaggio che intelligentemente non è un “no” urlato ciecamente contro gli errori, ma è un “no” che acutamente gli sceneggiatori fanno sorgere dal cuore di chi guarda.

Ma a volte il “no” è esplicito: vi sentiamo frasi del tipo: “Ogni vita ha delle qualità” che cozza contro il dogma postmoderno della qualità della vita, oppure: “Ogni vita è sacra” e anche: “Occorre essere religiosi, per dire che un feto è vita?”; e vediamo immagini meravigliose, come quella del feto che con la manina accarezza il dito di House dall’utero della sua mamma aperto per un intervento chirurgico.

Per leggere bene il telefilm “Dr. House”, si spiega nel libro, bisogna però vincere un pregiudizio, un lavoro personale che è una sorta di ascesi: quello per il quale il cristianesimo è una cosa “per persone buone”.

Nulla di più sbagliato: il cristianesimo è un affare di peccatori, di gente arrovellata e incostante… proprio come House. Ma il cristiano (proprio come House) pur peccando sempre, ne sente la tristezza e cerca perdono.

Eloquente, in queste senso, un dialogo tra un prete e House.

Prete: «Ti comporti come se non ti importasse nulla, ma stai qui a salvare vite».
House: «Salvare vite è solo un danno collaterale».
Prete: «Non credo che tu cerchi qualcuno che ti dia ragione. Credo che cerchi qualcuno che ti mostri che ti sbagli, per darti speranza. Tu vuoi credere, vero?».

In fondo, allora, è facile riconoscere questo messaggio nascosto, ma farlo è una sfida, un lavoro e un invito per tutti.

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Il dott. House è “intriso fino al midollo di desiderio”

di Chiara Sirianni,
da Tempi (18/03/09)

È il 2004 quando David Shore, regista canadese specializzato in legal e polizieschi, propone alla FOX un poliziesco in cui il detective è un medico e i cattivi sono le malattie: è DR. House - Medical Division, un successo immediato e planetario. La serie americana, giunta nella sua versione italiana alla quinta stagione, è incentrata sulle vicende di un’equipe di diagnostica medica guidata dal dottor Gregory House, un medico dai metodi poco ortodossi ma dotato di esperienza e di straordinarie doti intuitive. Un’ulteriore conferma di quanto il genere del medical drama attragga ancora il grande pubblico. E riesca anche a conseguire consensi dalla critica: la serie infatti è stata nominata due volte agli Emmy Award come Best Drama e ne ha vinto uno per l’episodio “Il caso House” scritto proprio da Shore, oltre ad essersi aggiudicata un Golden Globe per il miglior attore (Hugh Laurie) in una serie drammatica. Ha inoltre ottenuto il prestigioso premio “Humanitas”, assegnato a storie che «affermano il valore della persona umana, il senso della vita, ed esaltano l’uso della libertà».

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La morale strana e cristiana del dottor House

da Tempi (16/03/2009)

Perché la serie Tv del dottor House ha così successo? Perché propugna una «strana morale», scrivono il neonatologo Carlo Bellieni e il giovane sacerdote Andrea Bechi in questo curioso volume, da oggi in libreria per le edizioni Cantagalli. «È una morale che “non fa la morale”. Con i suoi aforismi, i suoi apologhi, con le sue idiozie e le battute dei colleghi di House questa serie riafferma dei valori forti e fermi, pur con le sue contraddizioni, il suo cinismo e il suo ateismo urlato (ma solo per darsi un tono, probabilmente)». Bellieni e Bechi analizzano alcune delle puntate da una prospettiva cristiana: «È una sorpresa quando il protagonista della fiction è un tipo decisamente cinico. Qui sta la genialità di chi ha creato la serie: non essere scontato ma proporre un itinerario eticamente buono usando le parole, le immagini, e anche le debolezze umane che normalmente veicolano ben altro tipo di messaggi». House è un medico scontroso, tossicodipendente, misantropo, eppure i due autori riescono, scavando nella trama dei vari episodi, a restituircelo secondo una prospettiva che ne esalta il suo aspetto fondamentale e più affascinante: House è un uomo che non si sente “a posto” e per questo continua a cercare una soluzione alternativa prima di arrendersi a una diagnosi mortifera. È questo il fil rouge che unisce tutti gli episodi analizzati: per questo House cerca una cura per il jazzista che vuole morire (disobbedendo al suo testamento biologico), per questo House incomincia a chiamare “bambino” quel “feto” che fino a un momento prima pensava di far abortire. L’intento non è «santificare House», ma cercare di spiegare come e perché una “banale” serie Tv possa «destare un sussulto». O almeno far emergere qualche domanda in una società ossessionata dalla salute, ma anche pronta a uccidere in nome della «qualità della vita». Ecco, House questo non lo permetterebbe mai perché, come ogni buon medico, sa che «la vita ha sempre delle qualità».



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