giovedì 12 marzo 2009

HO BUTTATO VIA 24 ANNI QUESTO AVETE VOLUTO DIRMI?

Dal 1985 katia è (più o meno) come Eluana
di Tommaso Giusto, Matera
Tratto da Avvenire del 8 marzo 2009

Cari giudici, che avete decretato legalmente la terribile, lentissima morte per fame e per sete di una indifesa e innocua portatrice di handicap grave; cari 'medici', esecutori dell’infamante sentenza di morte: pensavo aveste studiato per curare, prevenire, ridonare la salute, la vita, la speranza...




Signor presidente della Repubblica, credevo che lei volesse intervenire e porre fine a uno scandalo che getta discredito sul popolo italiano. In tanti ci siamo dissociati, gridando la nostra indignazione. Sono Tommaso Giusto, e tutto a un tratto, grazie a voi, ho capito di essere stato fino a oggi un illuso. Vi spiego il perché.

Tutto ebbe inizio nel 1985. Avevo 32 anni, mia figlia Katia soltanto 4, e in quell’anno ebbe la disgrazia di ammalarsi di leucemia, per la quale fu curata ma con conseguenti danni cerebrali irreversibili. Il risultato è che oggi è portatrice di gravissimi handicap. Appresa la terribile sentenza mi sono rimboccato le maniche, cambiando totalmente stile di vita e dedicandomi a lei: non più sport, pizzerie, cinema, feste, ma ricoveri tra un ospedale e l’altro d’Italia, settimane intere chiusi lei e io in centri specialistici, lontani da tutto e da tutti. Delusioni, derisioni, persecuzioni, che durano ancora. La mia gioventù è andata via per inseguire una speranza, per combattere l’handicap, per raggiungere qualche risultato. Sono passati 24 anni, e tra gli handicap che affliggono mia figlia ce n’è uno che non le consente di stare in piedi da sola mettendone a rischio la vita. La sua è una vita vegetativa e inconsapevole; bisogna vegliare su di lei quasi 24 ore al giorno. Oggi – dicevo – mi sento un illuso perché credevo fosse mio dovere combattere, sacrificarmi ostinatamente, dare la vita per mia figlia, per il suo benessere, per tutelare la sua vita. Invece ho scoperto che bastava rivolgersi a un tribunale, poi a una struttura consenziente, e tutto si sarebbe risolto in maniera legale e sbrigativa. Ma io l’ho saputo solo ora! Chi mi ridarà i 24 anni 'persi' fino a oggi per donare amore, protezione, affetto a chi è totalmente indifesa? A volte anche mia moglie, al culmine della sofferenza, ha gridato di voler morire anche lei. Ditemi: allora basta un tribunale e una struttura condiscendente? E quanti come me hanno pensato la stessa cosa? Quanti disabili gravi abbiamo in Italia? Sono tutti condannati a morte? In nome di Dio, di mia figlia e di tutti questi malati: perché non si è salvata Eluana? Lei era anche figlia mia! Come restare zitti e insensibili, ora? Si è condannato a morte ancora una volta Gesù che nell’ammalato è presente più che in qualsiasi persona. Duemila anni fa, immobilizzato sulla croce così come Eluana nel suo letto, Gli offrirono da bere. A lei neppure questo. Il 3 febbraio 2009, mentre di notte si provvedeva al trasferimento della povera giovane nella casa di riposo di Udine per attuare la sua condanna a morte (vergognosa), il Vangelo del giorno – secondo Marco – parlava di Giairo che si rivolse a Gesù perché intervenisse per salvare la sua figliola in fin di vita. Giairo si sentì rispondere: «Lei non è morta, ma dorme». E, presala per mano, Gesù la diede a suo padre in piena salute, raccomandando di darle da mangiare. Chi aveva la possibilità di intervenire per impedire l’atroce fine di Eluana non l’ha fatto. In un altro passo del Vangelo si legge: «Ero malato... e mi avete curato, assistito, amato, servito». Oggi qualcuno ha voluto cambiare il finale di questa frase: «... e mi avete ammazzato». Guai a chi si macchia di un simile delitto. Solo Dio ha il potere di donare la vita e di riprenderla.


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