lunedì 16 marzo 2009

ILPAPA E' SOLOMETTIAMOCI ASUO FIANCO

....Questo Papa tedesco non è Giovanni Paolo II. Non ha la grandiosa forza dei gesti, l'imponenza scenica del polacco. Persino da morto Wojtyla sembrò muovere il vento ad agitare il vangelo aperto sulla propria bara a raffigurare l'unità di sé con il Cristo centro del cosmo e della storia.
Benedetto XVI invece ha voluto essere quello che è: un Papa capace di elaborare concetti, di fissare dottrine, con una logica incantevole, ma che appunto esige attenzione, non ha dalla sua la simbologia wojtyliana: ha la forza nelle parole, nella concatenazione formidabile del suo racconto di Dio e del Vangelo.
Si sente solo, ricorda Gesù nel Getsemani.

di Renato Farina
Editoriale di Libero del 13/2/2009

Il Papa è solo. Mettiamoci al suo fianco!



Con una sincerità tale da sfiorare il candore, il Papa ha denunciato pubblicamente una rivolta dentro la Chiesa contro di lui. La minaccia non viene come ai tempi di Pio IX dai bersaglieri di Cadorna, né c'è più il rischio di vedere cosacchi abbeverare i loro cavalli alle fontane di San Pietro. I nemici hanno lo zucchetto rosso, hanno studiato gli stessi suoi libri, agitano il vangelo: per questo lo angosciano. Attaccano lui, il Papa. Non il teologo Joseph Ratzinger: se fosse così, sorriderebbe, ci ha fatto il callo, le ha date e le ha prese per cinquant'anni.
Invece colpiscono lui in quanto Benedetto XVI, successore di Pietro, pietra su cui si regge l'unità dei cattolici. Era capitato già ai suoi predecessori: Wojtyla e Montini. Ma una volta ad alzare le difese intorno al Pontefice, a chiamare a raccolta i fedeli era le trombe dei cardinali e dei vescovi intorno a lui. Stavolta ci sono sì alcuni cardinali e vescovi a volergli bene, ma è come se fossero fuscelli, non hanno potenza mediatica. Una volta a Roma c'era il cardinal Ruini, vicario del papa. Adesso c'è qualcuno che sa il nome del suo successore? È fedelissimo, è pronto a tutto per il Santo Padre: ma non se ne accorge nessuno (è il cardinal Agostino Vallini).

Allora, come un uomo molto solo, che dalla sua ha il popolo ma non i capi del popolo, Papa Ratzinger ha scritto una drammatica lettera ai vescovi. Parla dei lefebvriani, degli errori dei propri collaboratori, ma non è questo il punto.





Egli espone il suo cuore offeso. Confessa ai confratelli porporati e violacei, oltre che al mondo intero, il suo stupore per quanto ha visto accadere in casa sua: «oggi nella Chiesa c'è il mordersi e il divorarsi a vicenda espressione di una libertà male intesa».
Il documento papale è il grido di dolore più netto e commosso mai udito nelle mura vaticane dai tempi di Paolo VI. Imprevedibilmente Papa Montini il 29 giugno del 1972, nell'omelia per la festa di Pietro e Paolo disse: «Il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio... Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio». Poi, in privato, all'amico Jean Guitton nel settembre del 1977 confidò: «Siamo prossimi alla fine?... Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia».

Ratzinger è ancora più amaro. Scrive: mordersi, divorarsi. È un lavoro da lupi. Viene in mente la metafora evangelica del Buon Pastore che «dà la vita per le sue pecore». Vogliono lui. Il Papa sente su di sé il peso di una profezia, forse quella di Fatima: chi morde e divora finge di accontentarsi delle pecore nere e antisemite, ma punta al pastore. Finge di difendere il Vaticano II, stracciato dal negazionismo sulla Shoah del vescovo Williamson, ma ha in mente di spezzare la determinazione di Benedetto XVI nel lavoro per eliminare gli abusi liturgici e dottrinali. I nemici armati di anello episcopale e di citazioni prendono pretesto dai gravi sbagli (errori o volute mancanze?) della Curia, e tentano di imprigionare il Papa nelle sue stanze, di interdirlo come un pover'uomo che nulla capisce del mondo post-moderno.
Si chiama delegittimazione morale e intellettuale.

La lettera è un grido al Signore e una chiamata a raccolta delle forze buone e leali, non solo tra i fedeli credenti, ma anche dei laici e persino degli atei. Colpisce la commozione con cui il Papa si riferisce agli ebrei, che ringrazia di averlo avvertito dei rischi, e di aver capito le sue spiegazioni. Non sono loro che gli vogliono male.
Scrive: «Sono rimasto rattristato che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto saper meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un'ostilità pronta all'attacco».

Ha di certo in mente il teologo e vecchio collega di Bonn, Hans Küng. Intervistatissimo, ha trattato Ratzinger come l'ottuso reazionario. Ma a lui si sono associati i vescovi del nord, specie i tedeschi, come il loro capo in Curia, il cardinal Walter Kasper. Incredibile per Ratzinger: anche il cardinale di Praga, Miloslav Vlk, e tutti gli svizzeri o quasi, gli hanno dato contro.

Tanti hanno impugnato il Concilio Vaticano II come se la tensione al perdono del Papa verso i fedeli tradizionalisti, fosse l'assassinio dello Spirito Santo. Poche settimane fa, chi scrive è stato a Lucerna, sulla tomba di un maestro di Wojtyla e Ratzinger, il cardinale Hans Urs von Balthasar. La tomba era dimenticata. Nella cattedrale accanto, dove hanno celebrato Karol Wojtyla e il cardinal Ratzinger, nella navata, su un tavolino, invece della Bibbia, c'era una petizione per la difesa del Vaticano II contro le aggressioni del papa, primo firmatario l'organista. E così in Austria. Molto dolore ha dato a Benedetto XVI anche la ruvidezza delle critiche del cardinal Christoph von Schönborn. Il quale ha ragione a dirsi sconcertato per gli errori della Curia, ma dovrebbe esibire qualche parola di difesa totale del Papa.

A Roma in Curia, poi. C'è chi guarda e tace, sperando promozioni. Come Gianfranco Ravasi, arcivescovo responsabile per la Cultura, da cui ci si aspettava un sostegno. Invece: niente. Punta alla diocesi di Milano, dove il cardinal Dionigi Tettamanzi, che pare sempre volersi distinguere dal Papa, è prossimo alle dimissioni per ragioni di età.

La lettera di Ratzinger spiega perché si era deciso a togliere la scomunica ai lefebvriani. Un gesto «sommesso di misericordia». Dice: «sommesso». Umile.
Invece è diventata una trappola per lui. La sua colpa è non aver visto «l'internet» (scrive così). Lì c'era già vagante l'intervista del vescovo Williamson. Certo il Papa ha dato il consenso a che il cardinal Giovanni Battista Re e il cardinale Castrillon firmassero la decadenza della scomunica. Ma perché loro non l'hanno informato? Com'è possibile che la più raffinata e competente diplomazia del mondo non abbia avvertito la minaccia alle porte? Il nunzio in Svezia e quello in Argentina (dove risiedeva Williamson e dove sono state trasmesse le immagini dell'intervista famigerata che negava le camere a gas) possibile non abbiano saputo nulla?

Il Papa denuncia una specie di mancanza di professionalità. E noi ci domandiamo se non sia stata voluta, se qualcuno remi contro anche se adesso fa l'acqua cheta e si mostra scandalizzato. Non è un mistero per nessuno che il cardinale Re, prefetto della Congregazione dei vescovi, sia deluso dalla mancata promozione a segretario di Stato, e non veda bene il cardinal Tarcisio Bertone, segretario di Stato: preferirebbe, e come lui tanti, che da bravo salesiano pratichi il calcio all'oratorio. La scelta poi di un portavoce come il bravo padre Federico Lombardi, che è nel contempo direttore della Radio vaticana, è diventata materia per indebolire il Papa da molto vicino. Si fanno volentieri chiacchiere e le si lascia filtrare sull'invece irreprensibile "bel" padre George, suo segretario.
Lupi, mordono, divorano. Lui lavora per l'unità, chiama i lefebvriani perché accettino il perdono, e si trova chi li usa per lanciare in alto il barrito dell'«odio».

Per fortuna la Conferenza episcopale italiana è stretta, nella sua dirigenza, intorno al Papa, ma il cardinal Angelo Bagnasco deve farsi mediaticamente le ossa. Il cardinal Angelo Scola di Venezia e l'arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori sono attivi e forti. Ma forse occorrerebbe che Benedetto XVI portasse gente di questa tempra più vicino a sé e al cardinal Bertone.

Questo Papa tedesco non è Giovanni Paolo II. Non ha la grandiosa forza dei gesti, l'imponenza scenica del polacco. Persino da morto Wojtyla sembrò muovere il vento ad agitare il vangelo aperto sulla propria bara a raffigurare l'unità di sé con il Cristo centro del cosmo e della storia.
Benedetto XVI invece ha voluto essere quello che è: un Papa capace di elaborare concetti, di fissare dottrine, con una logica incantevole, ma che appunto esige attenzione, non ha dalla sua la simbologia wojtyliana: ha la forza nelle parole, nella concatenazione formidabile del suo racconto di Dio e del Vangelo.
Si sente solo, ricorda Gesù nel Getsemani.



1 commento:

Anonymous ha detto...

Nel caso del papa la solitudine mi sembra più che altro frutto delle sue scelte davvero infelici con cui sta guidando la Chiesa (messa in latino, mano tesa ai lefebvriani sono solo la punta dell'iceberg). Non c'è da stupirsi se anche dallo stesso mondo episcopale si sollevano critiche al suo operato!
Al posto di offendersi il papa dovrebbe riflettere sulle sue azioni. Forse allora la Chiesa comincerà davvero a guardare al futuro senza chiudersi a riccio a difesa dei suoi valori, spacciandoli per gli unici veri valori che l'Occidente possegga.