venerdì 27 marzo 2009

CRISI UNO SPETTRO CHIAMATO ABORTO

La difesa della vita • Casalinghe e disoccupate sono le due tiplogie più frequenti tra coloro che bussano alle porte dei Centri di aiuto • «Spesso alle future mamme fa paura anche il prezzo del latte» • Cav: in aumento le richieste di aiuto • Povertà, perdita del posto di lavoro, affitti sempre più cari tra le motivazioni che inducono un numero crescente di donne a mettere in forse la gravidanzadi Enrico Negrotti
Tratto da Avvenire del 25 marzo 2009


Crisi economica, perdita di la­voro, caduta di fiducia nel fu­turo. E se nel frattempo, una famiglia si trova ad affrontare una gra­vidanza, crescono le paure. Si riper­cuote anche nella difesa della vita na­scente il momento di difficoltà eco­nomica che il nostro Paese sta viven­do in conseguenza della crisi econo­mico- finanziaria mondiale. Lo ha de­nunciato alcuni giorni fa il direttore della Clinica Mangiagalli di Milano, Basilio Tiso, segnalando un aumento di richieste di aborto per motivi eco­nomici. Lo confermano coloro che hanno la presenza più capillare sul territorio per aiutare a evitare gli aborti, vale a dire i Centri di aiuto alla vita (Cav).

«Siamo alle prese con la raccolta dati per il nostro rapporto an­nuale – spiega Ubal­do Camilotti, che cu­ra il lavoro con Luigino Corvetti e Giorgio Medici – ma è senz’altro con­fermata la tendenza degli scorsi anni: i problemi economici incidono sem­pre di più nelle cause per cui una don­na si rivolge ai Cav. Sono sempre sta­ti la prima motivazione, ma se nel 1990 erano il 23 per cento le donne che adducevano il motivo economi­co quale difficoltà alla gravidanza, questa quota nel 2007 è arrivata al 44 per cento». Con una ulteriore preci­sazione: c’è un altro 12 per cento che lamenta la disoccupazione, e un al­tro 10 per cento che parla di alloggio insufficiente o mancante. Quindi an­cora cause legate alle risorse econo­miche: sommando le tre motivazione si raggiunge il 66 per cento, i due ter­zi del totale. «Non abbiamo ancora i dati definitivi – continua Camilotti – ma la sensazione è che la percentua­le nel 2008 sia cresciuta». Dati confermati da Erika Vitale, coor­dinatrice del Progetto Gemma, al «Re­dattore Sociale»: «Nelle ultime setti­mane sono nettamente in aumento le richieste che ci provengono da don­ne italiane». Al Nord soprattutto (ma anche a Roma), dove le straniere era­no il 70%, il rapporto si è riequilibra­to. La chiusura di fabbriche e aziende crea disoccupazione, e quindi diffi­coltà ai bilanci familiari: a questo pun­to «una gravidanza spaventa moltis­simo ». Infatti casalinghe (37%) e di­soccupate (31%) sono le principali condizioni lavorative delle donne che si rivolgono ai Cav.

Conferme che vengono anche dai Cav sul territorio. A Fonte Nuova (Roma) opera il Cav Tor Lupara: «Si sente mol­to il contraccolpo delle difficoltà eco­nomiche – spiega la presidente Maria Luisa Di Ubaldo – e se un tempo era­no principalmente straniere le donne che si rivolgevano a noi con questa motivazione, ora anche nella popo­lazione italiana si fa sentire il bisogno economico». Si tratta di una tenden­za in crescita negli ultimi mesi, tanto che ormai le richieste di aiuto sono metà e metà tra stranieri e italiani: «Le spese gravano spaventano e gravano molto sulla scelta di non avere un fi­glio. La gente non si sente in grado di acquistare omogeneizzati, carne, ve­stiario per i neonati». E se le richieste di aiuto alimentare vengono inviate al banco Caritas, ci sono altre storie emblematiche: «Pochi giorni fa a una signora che lamentava di non poter acquistare il latte per il bambino, ab­biamo suggerito di farsi spiegare dal pediatra come passare gradualmen­te al latte vaccino, visto che il piccolo aveva già otto mesi. Ma lei ci ha ri­sposto che era già passata al latte vac­cino, ma le pesava acquistare anche quello».

Il latte artificiale è un grosso proble­ma anche a Fasano (Brindisi), dove il locale Cav (il primo nato in Puglia) è presieduto da Cenzina Ricco: «È cam­biata la tipologia della richiesta di aiu­to. Se un tempo ci chiedevano un aiu­to per trovare lavoro, oggi spesso do­mandano di essere sostenute per ac­quistare il latte artificiale o i pannoli­ni. non tutte le donne riescono ad al­lattare e il latte costa anche 37 euro a confezione. Noi abbiamo un contat­to diretto con il reparto di Pediatria dell’ospedale di Fasano, ma le offerte si sono ridotte e questa voce pesa mol­to ». È la preoccupazione economica è la prima causa di richiesta di aiuto: «È importante poter offrire una pro­spettiva di sostegno economico. In questo senso il “Progetto Gemma” è stata un’àncora di salvezza per evita­re aborti: sapesse quante persone piangono davanti a noi quando ero­ghiamo l’ultima rata!». Nel comples­so «attualmente il motivo economico spinge almeno il 40% delle donne che si ri­volgono a noi. E di solito quando si offre una soluzione eco­nomica, il figlio non è più un problema. Ho presente un caso serio, di pochi giorni fa: una mamma alla quarta gra­vidanza, preoccupata per la casa pic­cola e il mutuo ancora da pagare: vo­leva il figlio ma era disperata».

Si sale nella Penisola, ma la crisi non cambia, anche se presenta aspetti di­versi. Al Cav di Monfalcone, presie­duto da Chiara Bressan, le richieste più problematiche vengono dalle straniere. «Tra le italiane incerte se te­nere il bambino, le difficoltà econo­miche si pareggiano con quelle di al­tro tipo, per esempio un rifiuto del partner». Ma la crisi economica pesa in maniera diversa tra gli stranieri: «Da noi c’è una forte presenza di benga­lesi, in massima parte musulmani molto osservanti. Fino a poco tempo fa, non prendevano neanche in con­siderazione l’ipotesi di abortire. In quest’ultimo anno, invece, risentono delle difficoltà economiche e ci pen­sano: soprattutto quando sanno che il nascituro è una femmina. Se maga­ri è la seconda, la terza o la quarta, il padre è spaventato: per loro non è de­coroso non poter offrire loro una do­te adeguata».



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