La difesa della vita • Casalinghe e disoccupate sono le due tiplogie più frequenti tra coloro che bussano alle porte dei Centri di aiuto • «Spesso alle future mamme fa paura anche il prezzo del latte» • Cav: in aumento le richieste di aiuto • Povertà, perdita del posto di lavoro, affitti sempre più cari tra le motivazioni che inducono un numero crescente di donne a mettere in forse la gravidanzadi Enrico Negrotti
Tratto da Avvenire del 25 marzo 2009
Crisi economica, perdita di lavoro, caduta di fiducia nel futuro. E se nel frattempo, una famiglia si trova ad affrontare una gravidanza, crescono le paure. Si ripercuote anche nella difesa della vita nascente il momento di difficoltà economica che il nostro Paese sta vivendo in conseguenza della crisi economico- finanziaria mondiale. Lo ha denunciato alcuni giorni fa il direttore della Clinica Mangiagalli di Milano, Basilio Tiso, segnalando un aumento di richieste di aborto per motivi economici. Lo confermano coloro che hanno la presenza più capillare sul territorio per aiutare a evitare gli aborti, vale a dire i Centri di aiuto alla vita (Cav).
«Siamo alle prese con la raccolta dati per il nostro rapporto annuale – spiega Ubaldo Camilotti, che cura il lavoro con Luigino Corvetti e Giorgio Medici – ma è senz’altro confermata la tendenza degli scorsi anni: i problemi economici incidono sempre di più nelle cause per cui una donna si rivolge ai Cav. Sono sempre stati la prima motivazione, ma se nel 1990 erano il 23 per cento le donne che adducevano il motivo economico quale difficoltà alla gravidanza, questa quota nel 2007 è arrivata al 44 per cento». Con una ulteriore precisazione: c’è un altro 12 per cento che lamenta la disoccupazione, e un altro 10 per cento che parla di alloggio insufficiente o mancante. Quindi ancora cause legate alle risorse economiche: sommando le tre motivazione si raggiunge il 66 per cento, i due terzi del totale. «Non abbiamo ancora i dati definitivi – continua Camilotti – ma la sensazione è che la percentuale nel 2008 sia cresciuta». Dati confermati da Erika Vitale, coordinatrice del Progetto Gemma, al «Redattore Sociale»: «Nelle ultime settimane sono nettamente in aumento le richieste che ci provengono da donne italiane». Al Nord soprattutto (ma anche a Roma), dove le straniere erano il 70%, il rapporto si è riequilibrato. La chiusura di fabbriche e aziende crea disoccupazione, e quindi difficoltà ai bilanci familiari: a questo punto «una gravidanza spaventa moltissimo ». Infatti casalinghe (37%) e disoccupate (31%) sono le principali condizioni lavorative delle donne che si rivolgono ai Cav.
Conferme che vengono anche dai Cav sul territorio. A Fonte Nuova (Roma) opera il Cav Tor Lupara: «Si sente molto il contraccolpo delle difficoltà economiche – spiega la presidente Maria Luisa Di Ubaldo – e se un tempo erano principalmente straniere le donne che si rivolgevano a noi con questa motivazione, ora anche nella popolazione italiana si fa sentire il bisogno economico». Si tratta di una tendenza in crescita negli ultimi mesi, tanto che ormai le richieste di aiuto sono metà e metà tra stranieri e italiani: «Le spese gravano spaventano e gravano molto sulla scelta di non avere un figlio. La gente non si sente in grado di acquistare omogeneizzati, carne, vestiario per i neonati». E se le richieste di aiuto alimentare vengono inviate al banco Caritas, ci sono altre storie emblematiche: «Pochi giorni fa a una signora che lamentava di non poter acquistare il latte per il bambino, abbiamo suggerito di farsi spiegare dal pediatra come passare gradualmente al latte vaccino, visto che il piccolo aveva già otto mesi. Ma lei ci ha risposto che era già passata al latte vaccino, ma le pesava acquistare anche quello».
Il latte artificiale è un grosso problema anche a Fasano (Brindisi), dove il locale Cav (il primo nato in Puglia) è presieduto da Cenzina Ricco: «È cambiata la tipologia della richiesta di aiuto. Se un tempo ci chiedevano un aiuto per trovare lavoro, oggi spesso domandano di essere sostenute per acquistare il latte artificiale o i pannolini. non tutte le donne riescono ad allattare e il latte costa anche 37 euro a confezione. Noi abbiamo un contatto diretto con il reparto di Pediatria dell’ospedale di Fasano, ma le offerte si sono ridotte e questa voce pesa molto ». È la preoccupazione economica è la prima causa di richiesta di aiuto: «È importante poter offrire una prospettiva di sostegno economico. In questo senso il “Progetto Gemma” è stata un’àncora di salvezza per evitare aborti: sapesse quante persone piangono davanti a noi quando eroghiamo l’ultima rata!». Nel complesso «attualmente il motivo economico spinge almeno il 40% delle donne che si rivolgono a noi. E di solito quando si offre una soluzione economica, il figlio non è più un problema. Ho presente un caso serio, di pochi giorni fa: una mamma alla quarta gravidanza, preoccupata per la casa piccola e il mutuo ancora da pagare: voleva il figlio ma era disperata».
Si sale nella Penisola, ma la crisi non cambia, anche se presenta aspetti diversi. Al Cav di Monfalcone, presieduto da Chiara Bressan, le richieste più problematiche vengono dalle straniere. «Tra le italiane incerte se tenere il bambino, le difficoltà economiche si pareggiano con quelle di altro tipo, per esempio un rifiuto del partner». Ma la crisi economica pesa in maniera diversa tra gli stranieri: «Da noi c’è una forte presenza di bengalesi, in massima parte musulmani molto osservanti. Fino a poco tempo fa, non prendevano neanche in considerazione l’ipotesi di abortire. In quest’ultimo anno, invece, risentono delle difficoltà economiche e ci pensano: soprattutto quando sanno che il nascituro è una femmina. Se magari è la seconda, la terza o la quarta, il padre è spaventato: per loro non è decoroso non poter offrire loro una dote adeguata».
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