giovedì 19 marzo 2009

IL PATRIARCA DEL PADRE NOSTRO

Che vuol dire “Sia fatta la tua volontà”? Non una legge esterna a cui aderire, ma accettazione della «circostanza» (che Scola traduce come «la mano amante con cui Dio regge il mio mento») e della «compagnia stupenda e premurosa di un Padre che si trova all’origine della mia vita».





Harold Bloom non può credere in un Dio che ha permesso la Shoah e la schizofrenia di suo figlio. Elie Wiesel non può credere perché è diventato ateo l’istante stesso in cui ha visto un soldato tedesco strappare un bimbo dalle braccia di sua madre. Sembra che il cardinale Angelo Scola (nella foto) voglia parlare a tutti coloro che, a motivo di quel che hanno visto, pensano di non potere credere a quel “Padre Nostro” di cui conversa il patriarca di Venezia nel volumetto edito da Cantagalli, autrice la giornalista e collaboratrice di Tempi, Cristina Uguccioni.




Alla prima domanda Scola esordisce proprio con il paradosso della croce: «È come se Gesù, inchiodato sul palo della croce, si fosse totalmente svuotato per penetrare l’abisso del male e poi, risorgendo, avesse impresso un dinamismo di rigenerazione completa e vitale dell’io». E, aggiunge il cardinale, «io non posso impedirmi di leggere in questa chiave la grande invocazione del Padre nostro “venga il tuo regno”: il regno è già in atto ed è, appunto, questo dinamismo rigenerante che il Risorto ha impresso agli uomini, alla storia, al cosmo». Il Nobel per l’astrofisica Arno Penzias ha osservato che persino la materia bruta è strutturata secondo una dinamica scientificamente definibile come «un desiderio infinito». E per il suo amico George Coyne «l’universo ha una certa vitalità propria, come un bambino». Dice Scola: ma «il segno più potente è quella pienezza dell’umano che la sequela a Gesù comporta». Di qui la definizione di Chiesa come «primizia della Resurrezione», «il miracolo» che «ha inizio quando i suoi amici, atterriti e divisi dopo i tragici avvenimenti del calvario, rivedendoLo riannodano il rapporto d’amore con lui e fra loro». Chiesa come «communio».

Ma che significa “Che sei nei cieli”? Per il cardinale la spiegazione più acuta è nel Paradiso di Dante. «Noi avremo lo sguardo rivolto all’Amore edificatore della Trinità e, con la nostra specifica identità, vivremo rapporti rinnovati: questo è il cielo». Mentre «l’anticipo di cielo» sulla terra comincia da quegli ultimi istanti di vita terrena di Gesù, «quando, appeso sulla croce, sfigurato e prostrato dal dolore, trova la forza di dire alla madre “Donna, ecco tuo figlio!” e al discepolo “Ecco tua madre!”. La communio cristiana va oltre la parentela naturale e ne dilata l’esperienza: fa trattare chiunque ci è dato in Cristo ben più che come un fratello, una sorella, una madre». Qui sta la responsabilità dei cristiani, «la terribile responsabilità di non documentare abbastanza la bellezza di questo “cielo” nel nostro quotidiano». Oltre a Giussani, qui Scola riecheggia la sfida di Nietzsche («Io crederei all’esistenza del Salvatore se voi aveste una faccia da salvati») al rinsecchito cristianesimo protestante della Mitteleuropa del caporale Adolf Hitler.

Che vuol dire “Sia fatta la tua volontà”? Non una legge esterna a cui aderire, ma accettazione della «circostanza» (che Scola traduce come «la mano amante con cui Dio regge il mio mento») e della «compagnia stupenda e premurosa di un Padre che si trova all’origine della mia vita». Il disegno del Dio cattolico non possiede il carattere della “necessità” greca o della “predestinazione” calvinista. «Se fosse così potrei solo temere e mai amare». Il disegno è Cristo e «in Cristo è pienamente visibile chi è l’uomo». Ma «il disegno divino non si dipana nella storia senza di me: ogni atto umano è atto di libertà e non c’è atto che non mi faccia entrare in gioco come coagonista della storia». Dunque «la storia è il luogo di incontro tra la libertà di Dio e quella di ogni uomo». Con una terza libertà che sta in campo, «quella del maligno, tanto che noi pronunciamo l’invocazione “liberaci dal male”». Già, perché Dio permette il male? Perché «Dio è un tu. Pertanto, nella fede, possiamo abbandonarci anche alla circostanza più sfavorevole, sapendo che il Padre ci ama e non è mai contro di noi. Nello stesso tempo la fede ci ricorda che Dio è Dio».

Scola non lo dice, ma in questo l’invocazione cristiana è come il kaddish ebraico, l’orazione sui defunti, il rendere grazie a Dio espresso nel momento apparentemente più sfavorevole al riconoscimento di un bene. Alla morte improvvisa del suo Ivan, primogenito nato con una paralisi cerebrale – “un vegetale”, avrebbe sentenziato la neolingua di chi ha voluto l’eutanasia di Eluana – il leader dei conservatori inglesi David Cameron ha avuto il coraggio di affermare che «quando ci fu detto quanto fosse grave la sua disabilità, pensai che avremmo sofferto dovendoci prendere cura di lui ma almeno lui avrebbe tratto beneficio dalle nostre cure. Ora vedo che è stato tutto il contrario. Siamo stati noi a ricevere più di quanto io abbia mai creduto fosse possibile ricevere dall’amore». La vicenda della famiglia Cameron è l’esemplificazione del perché il cosiddetto principio di autodeterminazione non c’entra niente con la libertà, ma c’entra con le pulsioni totalitarie. «C’è un’esperienza comune a ogni uomo di ogni razza, lingua, nazione e religione. Mi riferisco al naturale atteggiamento di solidale com-passione verso tutti gli altri uomini. La nostra libertà – dice Scola spiegando l’aggettivo “nostro” nella preghiera insegnata da Gesù – non è soltanto una libertà in sé e per sé, ma diventa tale quando scopre che il suo vero destino è essere per l’altro».

Scritto da: mdeledda alle ore 21:15 | link | commenti | categoria: teologia, preghiera

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