di Lorenzo Albacete,
da Il Sussidiario (18/03/09)
Dopo le ripetute sconfitte dei loro candidati alle elezioni presidenziali, i leader del Partito Democratico hanno dovuto riconoscere che una delle ragioni era la incapacità di collegarsi alla religiosità del popolo americano. Per il normale elettore americano, i candidati democratici alla presidenza sembravano a disagio nel parlare della propria personale fede religiosa.
Per questo motivo, da candidato Barack Obama ha cercato di mostrare agli elettori la centralità della sua fede religiosa nella sua concezione della vita. Da presidente, Obama ha continuato a parlare spesso della sua fede cristiana.
Come per molti afroamericani, le sue convinzioni religiose derivano dalla tradizione della Chiesa battista del sud. La sua base politica, però, non era nel sud ma a Chicago, per cui Obama entrò in una comunità religiosa guidata dal Pastore Jeremiah Wright, che seguiva la tradizione della “liberazione nera”, popolare tra le comunità urbane afroamericane. Estranei ai toni e allo spirito della teologia della liberazione dei neri, molti americani si scandalizzarono per quella che sembrava una rivoluzionaria retorica antiamericana del Pastore Wright e, alla fine, Obama fu costretto a staccarsi pubblicamente dalle posizioni di Wright e a rompere con la sua comunità.
Da presidente, in attesa di trovare una Chiesa che rifletta il suo modo di affrontare la religione e che risponda alle esigenze della sua nuova posizione, Obama si è circondato di cinque leader evangelici senza particolari affiliazioni politiche, con i quali parla e prega regolarmente (soprattutto per telefono).
Questi pastori sono uomini: due sono bianchi e tre neri. Due di loro sono stati occasionalmente consiglieri di George W. Bush e le loro posizioni vengono definite dottrinalmente conservatrici (contrarie all’aborto e al matrimonio omosessuale), ma progressiste per quanto riguarda la giustizia sociale. Uno è un veterano della lotta per i diritti civili e seguace della eredità di Martin Luther King Jr. In linea generale, questi consiglieri promuovono il tradizionale “vangelo della azione sociale” basato sulla fede, senza identificarsi con un determinato programma politico o partito.
È opinione diffusa che la fede sia veramente importante per il presidente Obama e che non si tratti semplicemente di un atteggiamento politico. Si dice che egli abbia realmente un bisogno personale di passare del tempo a parlare e pregare con questi consiglieri. Forse in loro vede il modo perché la sua fede lo possa aiutare a superare lo scontro tra la destra religiosa e la sinistra. In effetti, un numero crescente di leader evangelici prevede la fine del movimento evangelico conservatore a causa della sua quasi totale identificazione con le posizioni del conservatorismo politico (uno dei consiglieri di Obama è stato licenziato dalla sua parrocchia per aver sostenuto gli sforzi per fronteggiare il riscaldamento globale).
Da questo quadro manca la Chiesa cattolica. Obama è circondato da cattolici nell’Amministrazione e nel Congresso, incluso il vicepresidente, che sono però incapaci di aiutarlo a comprendere le posizioni cattoliche sulla fede e la politica, dato che rifiutano l’insegnamento della Chiesa sull’aborto, l’omosessualità e in materia di bioetica. Come risultato, Obama ignora del tutto il ruolo cruciale che la ragione gioca nella visione cattolica. Proprio per questa ragione, gli sforzi del presidente di superare la guerra tra sinistra e destra religiosa non possono avere successo, non essendo in grado di sfuggire allo scontro tra fideismo e razionalismo.
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Il partito abortista ora ha un nome
Kathleen Sebelius, cattolica, democratica e molto pro-choice. Chi è il “ministro” della Sanità che spaventa il fronte della vita.
di Alberto Simoni,
da Tempi (16/03/09)
«Fanno di tutto i suoi sostenitori per giustificarla. Dicono che durante il suo mandato in Kansas gli aborti sono diminuiti del 10 per cento. Ma la realtà è un’altra: Kathleen Sebelius è una convinta pro-choice e nella sua vita politica ha sempre votato contro la vita». Così, a Tempi, Deal W. Hudson, direttore di InsideCatholic, oltre che del Morley Institute for Church&Culture. Hudson fa parte di quella fetta di cattolici americani arrabbiati e preoccupati per la scelta di Obama di affidare a Kathleen Sebelius, governatrice del Kansas, la guida del Dipartimento della Sanità. Un ministero mastodontico con i suoi 65 mila impiegati, un budget di oltre 700 miliardi di dollari e compiti che spaziano dalla ricerca scientifica alla sicurezza alimentare, fino alla gestione del Medicaid e del Medicare (i programmi sanitari per indigenti e pensionati). E Kathleen Sebelius, 60 anni, avrà anche un altro compito: trovare il modo di usare 634 miliardi di dollari (in 10 anni) messi a disposizione dal budget federale per estendere la copertura sanitaria a tutti gli americani.
La riforma dell’health care è forse la più grande priorità dell’amministrazione Obama. E lungo quali linee si svilupperà dipenderà molto da questa elegante signora, nata in Ohio, cresciuta in Kansas. E cattolica. Come Nancy Pelosi, speaker della Camera, e come il vicepresidente Joe Biden. Democratici. Cattolici, democratici e abortisti. Del resto la piattaforma del partito dell’asinello in fondo sin dagli anni Ottanta non consente deroghe sul fronte della vita. E anche la Sebelius ripete come un mantra la classica frase clintoniana: «L’aborto deve essere raro, sicuro e legale». Eppure il suo “record” da governatrice racconta un’altra storia, una storia piena di veti a leggi che miravano a tutelare il nascituro, la vita e la sicurezza.
Ha posto il veto sul Comprehensive Abortion Reform Act. Da deputata del Kansas ha votato a favore di norme che indebolivano o eliminavano il diritto dei genitori ad essere informati in caso di aborto della figlia minorenne. Da candidata nel 2006 alla guida dello stato si è “guadagnata” il sostegno di Emily’s List, potente organizzazione femminista, che sul suo sito l’ha così presentata: «Da governatrice ha posto il veto a leggi che colpivano il diritto di scelta delle donne». A far sobbalzare la galassia evangelica e i cattolici è però un altro episodio. Nel 2007 la Sebelius organizzò una cena in onore di George Tiller, fondatore del Women’s Health Service il quale – per sua stessa ammissione – nel corso della sua carriera ha praticato qualcosa come 60 mila aborti. Tiller, insieme a Planned Parenthood, il gruppo storico della galassia pro-choice, anch’esso sostenitore della Sebelius, è finito sotto inchiesta per aver falsificato i registri delle interruzioni di gravidanza e per aver praticato aborti tardivi.
La paura per gli attivisti pro-life è che, da “ministro” della Sanità, la Sebelius possa facilitare il passaggio del FOCA (Freedom of Choice Act), la legge che, in estrema sintesi, toglierebbe ogni restrizione all’aborto. Un deputato del New Jersey ha fatto sapere di essere pronto a portare il disegno di legge alla Camera per la discussione. La senatrice Barbara Boxer farà altrettanto in Senato. Obama ha già fatto sapere che non si opporrà al FOCA. E al Dipartimento della Sanità – dice Hudson – «troverà un’alleata sicura».
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