venerdì 4 maggio 2007

IL LEONE DI VENEZIA DIVENTA GAY


LIBERO 3 MAGGIO 2007
di LUIGI SANTAMBROGIO

Nel beverone tutto si squaglia: la stessa parola discriminare, che significa discernere e vagliare, prende la faccia truce e diabolica della segregazione, dell'esclusione razziale. Allora, a qualcuno non basta il semplice rispetto delle diversità, tollerare le libertà e i gusti sessuali di ciascuno. No, il politically correct reclama che tali comportamenti vengano istituzionalizzati, formalizzati, legalizzati in nome della legge e del popolo italiano. E poi, finanziati, foraggiati e sostenuti dallo Stato. Il governo Prodi ha già fatto la sua parte, ora arriva Venezia a montarci sopra chili di panna e crema, a piegare la vena e la schiena artistica a servizio della Causa.




Passano anche per il cinema (e ci mancherebbe) la battaglia per i diritti civili, il sostegno ai Dico, ai Pacs, la fecondazione artificiale e pure quella animale. La rivendicazione del divorzio breve, dopo quello seriale, il sì all'eutanasia dei nonni, dei malati o dei solamente annoiati. Ancora, la voglia del bimbo fatto su misura e desiderio. Capelli biondi, occhi azzurri, o a scelta, capelli azzurri e occhi biondi. Come madame vuole e comanda. Poi, la disponibilità per tutti di embrioni congelati o appena appena scottati, à la coque o magari à la carte. E i gay? Ah già, i gay...Mica vorremo dimenticarli questi compagni teneroni, simpatici e alla moda. A Hollywood, la famiglia omosex si è allargata tanto da diventare una multinazionale miliardaria, una lobby politica, un partito presidenziale. Chi non ha ancora negli occhi il bacio appassionato dei mandriani de "I segreti di Brokeback Mountain" (letteralmente: la montagna dal culo rotto). Il film con i due cow boy ricchoni e appiccicosi, presi in prestito dalla pubblicità delle sigarette Marlboro e privati degli attributi dal regista Ang Lee.
Prezzemolo e finocchi
In Italia, non siamo ancora a questo punto; il nostro cinema gay balbetta e freme nella clandestinità. Eppure i segnali sono incoraggianti. Arrivano, anzi piombano, come sempre, dalle avanguardie culturali, intellettuali e cinematografare, da quelli che per vocazione e mestiere sanno sempre prima come gira il mondo. Sono stati all'estero e pretendono di insegnarlo al popolo semplice e un po' deficiente. Mica gratis, però. Il casus è quello descritto nell'articolo qui sotto. I cervelloni di celluloide che crescono nelle zone umide della laguna veneta hanno deciso che dall'attuale edizione, la 75esima, la Mostra Internazionale del Cinema riserverà un riconoscimento speciale al miglior film che affronta temi e problemi degli omossessuali. Più precisamente, come recita testualmente nel suo gergo snob la nota dell'ufficio stampa, di interesse queer . Che significa, dalle parti nostre e senza giri di parole straniere, di chiaro stampo frocioso. Pure il nome del premio è da film in dolby surround: Queer Lion , "Leone Frocio", gemello omosex del più celebre "Leone d'Oro" che andrà al vincitore del Festival generalista. Insomma, una rivoluzione. Eh sì, gentile pubblico: nasce a Venezia un nuovo genere cinematografico: il gay movie . Accanto a quelli tradizionali: lo spaghetti- western, il legal killer, il giallo poliziesco, il film storico, di fantasia, quello sexy o comico, la spy story o la commedia all'italiana. E così, dopo la gaia scienza, eccoci alla gay-art La giuria, ci informa sempre l'efficiente portavoce del premio al felino gay è composta da cinque rappresentanti del mondo del cinema, del giornalismo (noi siamo sempre dappertutto, come il prezzemolo sul finocchio) e della comunità lesbica e gay. E allora, che vinca il migliore. Però, una domandina la vogliamo fare agli organizzarori del prix veneziano. Questa: le spese per l'organizzazione della manifestazione, per i cachet della giuria, per la statuetta che non sarà d'oro, e però qualcosina costerà, a chi sono in carico? Sono nei contributi statali (e cioè un pochino anche nostri) che vanno ogni anno a finanziare il Festival, oppure c'è qualche filantropo che arriva dall'altra sponda per dar da mangiare al Leone furbetto? Perché, se come crediamo è buona la prima, allora c'è da chiedersi se dopo i gay, il Festival elargirà oro e argento al miglior film sui problemi delle tribù indiane del South Dakota. Oppure sulla sindrome da abbandono degli spazzacamini disoccupati. O ci sarà pure statuetta ad hoc al regista che meglio rappresenterà l'epopea dei raccoglitori di rape nella Piana degli Albanesi? La popolazione gay è già diventata, come quella dei Panda in Cina o della tigre bianca della Siberia, una categoria protetta e da difendere a prescindere? Se è così, allora si capisce che il bonus statale di Venezia possa essere una sorta di anticipo di ulteriori premi e cotillons che il governo ulivista prepara per i benemeriti omo (matrimonio, casa Iacp, adozioni, e relative mutua e pensione familiari).
Il beverone indigesto
In realtà tutto il filmone è cominciato ben prima del ciak di Venezia. Comportamenti ostili ai gay, la cosiddetta omofobia, sono puniti per legge in molti Paesi del mondo, il matrimonio omosex è legge quasi ovunque in Europa e nella Spagna di Zapatero è pure parificato all'unione etero. Per non dire poi dei Dico, dei Pacs e affettuosa compagnia, fino ad arrivare all'ammissibilità della poligamia. In nome del multiculturalismo, del melting pot, della sharia in versione soft-drink. E così, in questo variopinto cocktail di tolleranza, buonismo e stupidità ci beviamo tutto, compresi cervello e razionalità. Nel beverone tutto si squaglia: la stessa parola discriminare, che significa discernere e vagliare, prende la faccia truce e diabolica della segregazione, dell'esclusione razziale. Allora, a qualcuno non basta il semplice rispetto delle diversità, tollerare le libertà e i gusti sessuali di ciascuno. No, il politically correct reclama che tali comportamenti vengano istituzionalizzati, formalizzati, legalizzati in nome della legge e del popolo italiano. E poi, finanziati, foraggiati e sostenuti dallo Stato. Il governo Prodi ha già fatto la sua parte, ora arriva Venezia a montarci sopra chili di panna e crema, a piegare la vena e la schiena artistica a servizio della Causa. Anche un Leone Frocio può andare bene per ruggire contro quel che resta di una famiglia già in fuga e dimostrare che amori gay e coppie di fatto sono un successo. Prossimamente, al cinema.
PELLICOLE
IL PRIMO BACIO Il primo bacio gay della storia del cinema (nel caso specifico saffico) lo si deve a Marlene Dietrich nel film Marocco del 1930, diretto da Joseph Von Sternberg. PHILADELPHIA A sdoganare i film omosessuali è stato, nel 1994, Philadelphia del regista Jonathan Demme, interpretato da Tom Hanks e Antonio Banderas INFAMOUS Se il Leone gay fosse stato introdotto l'anno scorso, l'avrebbe vinto Infamous (Una pessima reputazione) di Douglas McGrath. Il film racconta del giovane Truman Capote e della sua indagine sul quadruplo omicidio di una ricca famiglia del Kansas nel 1959. Nella sua ossessiva ricerca dell'assassino Capote, si aggroviglia in un'intenso legame con uno degli assassini. L'EX TONI MANERO In "Hairspray" di Adam Shankman, John Travolta, l'ex latin lover Toni Manero, indossa un'enorme parrucca colorata per vestire i panni di Divine, mamma della protagonista Tracy Turnblad.


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