giovedì 13 settembre 2007

FALLACI RACCONTATA da ISABELLA ROSSELLINI

FALLACI : Il ricordo di Isabella Rossellini
Noi, due streghe italiane a New York
«Insieme a mangiare tegami di coniglio. Le feci un'intervista, la riscrisse da cima a fondo»
CORRIERE DELLA SERA 13 SETTEMBRE 2007


Da giovane Oriana era straordinariamente bella e femminile. Nelle foto dal Vietnam cammina nel fango con i pantaloni da soldato e le scarpe di Gucci, sempre elegantissima, con la treccia e gli occhi blu, sottili come quelli di un gatto». Parla Isabella Rossellini, l'attrice ed ex top model legata per decenni alla scrittrice fiorentina da un'amicizia durata fino alla morte.
«Oriana e mia madre erano molto amiche — racconta —. La conobbi da bambina, quando veniva a cena a casa dei miei genitori, mentre noi andavamo a letto. Per me e mia sorella era un mito. Mamma e lei avevano una virtù in comune».

Quale?
«Non riuscivano a dire bugie, non erano diplomatiche, dicevano sempre la verità. Per questo si amavano così tanto».

E la vostra amicizia quando è iniziata?
«Quando io, allora giornalista alle prime armi, le chiesi un'intervista per Amica. Oriana fece uno strappo alla regola e acconsentì. Ma solo perché curiosa di sapere come stava la figlia di Ingrid. E così invece di rispondere alle mie domande, diceva: "Come somigli a mamma, anche la voce"».

Come andò a finire?
«Mi obbligò a mostrarle l'intervista prima di pubblicarla e la cambiò da cima a fondo, riscrivendola sotto forma di colloquio con se stessa. Ma non ne fui umiliata. Al contrario, rimasi affascinata dalla sua gioia nel cercare le parole, il ritmo, il termine buffo. Brillava e si divertiva come una bambina in un negozio di dolci».

La Fallaci era molto più anziana di lei.
«Sì e spesso aveva un atteggiamento materno. Ricordo quando entrai in ospedale senza dire nulla a nessuno e lei fu la prima a venire a trovarmi. Entrò in camera come una furia, investendo gli infermieri, e mi guardò con quei suoi occhi di fuoco chiedendomi a bruciapelo: "È cancro?". Temeva che non le dicessi la verità e che non potesse aiutarmi. Quando la informai di aver avuto una semplice isterectomia, cominciò a portarmi in ospedale tegami di coniglio cotto in tutte le salse. "Per ridarti forza", decretò. Infermieri e dottori ci scambiarono per due selvatiche italiane, due streghe, perché in America nessuno mangia il coniglio».

Era una brava cuoca?
«Bravissima. Mi invitava spesso a cena. Cucinava sempre senza mai sedersi. Tra le sue passioni c'erano anche i cosmetici. Un giorno mi raccontò la storia di una donna vietcong che era morta combattendo e nella cui borsa lei aveva trovato una pistola e un rossetto: «Vedi? — mi disse —, le donne non rinunciano mai al piacere di essere belle».

È vero che rimpiangeva di non aver avuto figli?
«Molto. Perse il bambino che tanto desiderava e da allora non ne ha avuti altri. Era affezionata a mio figlio Roberto — più che a mia figlia — e assai materna con lui: gli portava sempre un regalino o da mangiare, i sughi, il pesto. Era rimasta affascinata dall'idea che io l'avessi adottato da "single mother", perché a lei non era mai venuto in mente. Allora in Italia era proibito».

Si pentiva di non aver avuto un uomo con cui invecchiare?
«Se è per quello non ce l'ho neanche io! Oriana non aveva bisogno di un uomo per uscire. Era modernissima, chiamava me, uscivamo insieme, noi due donne, non era tipo da aver un uomo in casa giusto per non stare sola. La solitudine era una sua scelta. Dopo la morte di Alekos, così terribile, mi disse che aveva cercato di avere altre storie, ma non riusciva. Le è sempre rimasta fedele».

La vostra amicizia ha mai subito incrinature?
«Anch'io fui vittima del suo furore e a volte non parlavamo per settimane, mesi, anche anni. Si litigava per motivi assurdi. Una volta che pioveva, mi prestò un ombrello dicendomi di non perderlo, "Perché è della mia mamma". Io lo persi e scoppiò il finimondo. Aveva una rabbia interna pazzesca. Altre volte ero io a scappare».

Per quale motivo?
«Era troppo coinvolgente. C'erano periodi in cui mi chiamava sette volte al giorno. Perché la cameriera non era venuta o non riusciva ad aprire la porta. Io diventavo pazza perché oltre al lavoro dovevo occuparmi dei bambini, allora staccavo il telefono per arrivare a sera e lei si offendeva. Non era facile. Ma quando era di buon umore ti faceva morire dal ridere».

Era una misantropa?
«Si, ma perché voleva scrivere e allora si isolava per non avere distrazioni. Poteva passare tanti giorni senza vedere nessuno. Aveva la fretta di finire il suo ultimo romanzo e la paura di non riuscirci prima della morte. Il suo essere brusca era in parte dovuto al fatto che non aveva più tempo. Di tanto in tanto veniva a passare il Natale a casa mia però le dovevo dare la lista degli ospiti, non voleva incontrare nessuno, specialmente giornalisti ».

Non le piacevano?
«No. Credeva nel giornalismo nobile alla Hemingway e nessun giornalista secondo lei era all'altezza. Allora criticava tutti: "Io non sono un giornalista, sono uno scrittore", ripeteva usando sempre il maschile».

Aveva paura della morte?
«Non credo. Amava la vita ed era furiosa di dover morire perché aveva ancora tante cose da fare. Siccome era atea, non credo pensasse di poter vedere tutto da lassù. Dentro di se pensava che la morte fosse la fine di tutto».

Come mai alla fine ha voluto un prete?
«Mi ha sorpreso. Pare che prima di spirare gli abbia detto: "Tra poco saprò se quello che lei dice è vero". Diceva sempre di essere un'atea di cultura cristiana. Ed è proprio per riabbracciare la sua cultura che ha voluto morire a Firenze. È stata lei a ordinare che sulla sua tomba comparisse la parola "scrittore" e non "scrittrice". È stata la regista di se stessa fino in fondo».
Alessandra Farkas
13 settembre 2007

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