domenica 9 settembre 2007

L’omone che curava ustionati a Baghdad oggi sfama clandestini a Jesolo

sab 8 set
Profughi in attesa del visto da rifugiato
Occhiare di riguardo, di Toni Capuozzo

Tratto da il foglio del 7 settembre 2007

L’ho conosciuto a Baghdad. Il luogotenente Enrico Santinelli, un omone cordiale e indaffarato, era uno degli uomini della Croce rossa italiana, uno dei tanti che si alternò in una missione difficile e felice, perché riuscita: mettere in piedi e far funzionare un centro per grandi ustionati all’interno del più grande ospedale della capitale.


Arrivavano ogni giorno, i feriti dagli attentati e le vittime di una guerra minore e sconosciuta, donne andate a fuoco per un ritorno di fiamma dai fornelli di un gas malamente distribuito – e spesso ai loro abiti religiosamente corretti ma irrimediabilmente sintetici, erano aggrappati anche i bambini, e le vittime erano due – o semplicemente ustionate dai mariti, per punizione, per odio, per una mala supremazia. L’ho rivisto a Jesolo, in Veneto. Anima, insieme con altri suoi colleghi e qualche volontario, un centro di accoglienza. Sono andato a trovarlo quando l’eco di una accesa polemica si era ormai spenta, con il finire brusco della stagione estiva. “ Il fatto è che è successo tutto molto in fretta. Il 21 agosto al presidente nazionale, Massimo Barra, arriva una richiesta urgente del ministero dell’Interno: accogliere un centinaio di clandestini per svuotare il Cpt di Gradisca d’Isonzo, sovraffollato. Nel giro di dodici ore, dalle sette del mattino alle sette di pomeriggio abbiamo approntato questo centro”. La palazzina della Croce rossa è di una bellezza lineare, e porta bene i suoi anni. Entrò in funzione negli anni Venti, e deve aver servito come centro elioterapico, o come colonia marina, perché sorge in mezzo ai pini, e si affaccia sul mare, su una spiaggia lunga e deserta. Di certo, fu requisita negli anni di guerra, e servì da base per la X Mas, e per i comandi tedeschi. Poi ospitò profughi ungheresi nel ’56, e cecoslovacchi nel ’68, e vietnamiti nel ’82, e polacchi nel 1987 – un barometro dei cambiamenti del mondo – e croati e bosniaci e poi kosovari mano a mano che la Jugoslavia si disfaceva. Poi una palazzina adiacente è stata ristrutturata, e adibita a centro di formazione per il personale della Croce rossa, e la vecchia struttura è passata a ospitare, almeno nel corso dell’ultima estate, un’ottantina di carabinieri, poliziotti e finanzieri richiamati a rinforzare i reparti locali quando, in stagione, la costa adriatica diventa una sola, grande e provvisoria città. “Abbiamo dovuto chiedere ai poliziotti di trasferirsi in un albergo. Puoi immaginare le polemiche, là fuori: ecco, ci rovinano la stagione, ecco i poliziotti sloggiati per fa posto ai clandestini…”. I clandestini sono quasi tutti giunti a Lampedusa agli inizi di luglio, e poi spostati a Gradisca, e sono quelli per cui la pratica di concessione dello status di rifugiati politici è più avanzato. Vengono tutti dall’Africa – Eritrea, Somalia, Nigeria, Ghana, Ciad – tranne un pachistano. Sono settanta uomini, venticinque donne e cinque bambini. Il personale della Croce rossa – cinque dipendenti, sei volontari, tre crocerossine e tre pionieri, cioè volontari con meno di diciotto anni – fa del suo meglio: modificano il menu secondo i gusti – oggi, nel salone della mensa, luminoso e ospitale arriva l’indicazione di diminuire la pasta e aumentare il riso – comprano di tasca loro indumenti e suppellettili, impartiscono lezioni di italiano. I successi di oggi sono due: a quasi metà degli ospiti è stato procurato un tesserino sanitario valido per tre mesi, e per tutti è stata abilitata una connessione a Internet su un computer. Quanto durerà? “Non so, due o tre mesi, il tempo che gli venga riconosciuto lo status di rifugiato. Nel frattempo sono liberi, se vogliono possono anche uscire. Vedi, io lo considero una specie di trampolino per l’integrazione, questo. Sono gente perbene, che ha un passato difficile”. Parlo con qualche gruppetto di ospiti. Non tutti raccontano volentieri le loro storie. Uno mi mostra i segni della detenzione sui polsi e sulle caviglie. Un altro racconta di una persecuzione religiosa in famiglia, perché non voleva abdicare alla sua fede cristiana. Uno cita un passato da autista per Mani Tese, a Khartoum, come una carta di credito. So di due donne sospettate, nel loro paese, di un rapporto lesbico. E’ difficile giudicare. Lo farà, compito ingrato, una commissione paritetica, con sede a Gorizia, incaricata di vagliare, nel solo Veneto, millecinquecento domande. Fuori, sono i giorni di Gorgo, della mattanza, della fiaccolata per Guido e Angela, delle polemiche sull’indulto. Sono queste le storie che occupano le cronache locali. Non fa quasi notizia che al Cpt di Gradisca, di nuovo al limite, con 240 presenze su 248 posti, otto clandestini palestinesi sono saliti sul tetto per protesta, lamentando mancanza di informazioni sulla loro sorte. Me la immagino, la Commissione, a discutere di Hamas e Abu Mazen, e di Israele, e del diritto dei palestinesi all’asilo.


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