giovedì 27 settembre 2007

SPRINGSTEEN,LA SPERANZA TRA ROCK E DIO


Il ritorno del «Boss» • Venerdì nei negozi il cd della star con la E Street Band: chitarre e ritmo contro il vuoto di senso Esce «Magic», nel nuovo cupo album storie di disperazione ma anche di fede
di Luca Miele
Tratto da AVVENIRE del 25 settembre 2007

La tragedia si è già compiuta. Il mondo è «a pezzi» e nulla sembra sfuggire al crollo. L'«incendio» è acceso e sta salendo veloce. C'è ancora una «casa» da raggiungere, una identità a cui aggrapparsi, ma la strada del ritorno è «lunga».

Torna, con Magic (nei negozi da venerdì), Bruce Springsteen, uno dei più formidabili cantori americani, capace di attraversare 30 anni di cultura popolare a «stelle e strisce», restituendone un impasto di mito e realtà, sogno e crudezza, speranza e disillusione. E torna con un disco - che celebra il ritorno con i vecchi compagni di strada della E Street Band - livido, duro. La speranza che potente risuonava in The rising, composto all'indomani dell'11 settembre, sembra essersi spezzata.

La morte in Magic è ovunque, assieme al rimpianto, alla disillusione. C'è la morte che ha inondato la città di New Orleans («non misuriamo il sangue versato/ ci limitiamo ad accatastare i corpi fuori dalla porta», Last to die). C'è la morte del «motociclista girovago» (Gypsy Biker), su cui aleggia lo spettro dell'Iraq, che torna a casa chiuso in una bara. C'è la morte di Terry Magovern, compagno di lavoro di Springsteen, cantata nella struggente Terry's song. E c'è la morte - «qualcuno oscilla appeso ad un albero» - dalla quale l'America non sembra riuscire più a liberarsi, nonostante i sortilegi dell'illusionista di turno (Magic).

Tutto l'album è pieno di immagini cupe. Il cielo è «oscurato da ombre», la città «brucia». I confini vacillano e la vertigine ha coinvolto un intero mondo. Non a caso ricorre il verbo to drift, andare alla deriva.

Eppure non c'è rassegnazione. Di fronte al nulla che lo circonda, il protagonista di Radio Nowhere urla di voler sentire «chitarre», «ritmo», «voci» in un crescendo che riecheggia un passo degli Atti degli apostoli. Rock, dunque, contro il nulla. La musica come riscatto del vuoto. Con il nulla, d'altronde, i personaggi di Springsteen hanno sempre avuto a che fare.

In Born in the Usa era proprio il nulla - «nessun posto dove andare, nessun posto dove correre» - che inghiottiva la vita del reduce del Vietnam.

In Nebraska il nulla prende la forma del «grande vuoto» nel quale è scagliata l'anima di un condannato a morte.

In Open all night l'uomo che corre nel buio della notte invoca il rock perché «lo tiri fuori dal nulla». Il rock, insomma, come sorta di «preghiera».

Long walk home - puro sound E Street Band con sax e chitarre a rincorrersi - evoca il viaggio e il ritorno a casa, il giorno dei veterani, gli spazi aperti: insomma tutta la costellazione «mitica» che da sempre accompagna la musica di Springsteen.

Non c'è la volontà di obliterare il presente. Il male, il dolore, la confusione dei nostri tempi possono essere riscattate. Come? Tornando a quel patrimonio che si sostanzia nei valori fondamentali dell'America:

«Mio padre diceva Ragazzo, in questa città siamo fortunati/ È un bel posto per nascere/ È un luogo che ti abbraccia/ Nessuno ti sta addosso e nessuno ti lascia solo// La bandiera sul tribunale/ dice che ci sono cose scolpite nella pietra/ Chi siamo, quello che faremo e quello che non faremo».

Come già in The rising, denso di riferimenti biblici, anche in Magic emerge prepotente il senso religioso.

In I'll work for your love Springsteen canta di una donna che vive un suo calvario privato.

Le costole della donna emergono dalla sua schiena «come le stazioni della via Crucis», la luce disegna «un'aureola» attorno alla sua testa, e «gocce di sangue cadono a terra» («drops of blood», come nel Vangelo di Luca, 22.44). Fino alle parole: «Sono qui cercando il mio pezzo di Croce».

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