sabato 29 settembre 2007

LE PAROLE DELLA TRAGEDIA BIRMANA

Le parole della tragedia birmana
Estremo Oriente - ven 28 set
Soltanto Bush raccoglie davvero e subito il grido “democrazia” dei monaci

Tratto da IL FOGLIO del 28 settembre 2007

Nella tragedia birmana c’è chi vuole fermare gli assalti dei soldati e chi la marcia dei buddisti, ci sono parole forti e parole deboli.

Bush, per esempio, la chiama “Birmania” già da prima che i monaci scendessero in piazza per gridare “democrazia” (parola fortissima, spirituale e reale) contro il regime corrotto e feroce dei militari che pretendono di affondare un popolo nel loro “Myanmar”, che danno la caccia ai giornalisti, che sventrano i monasteri, arrestano e uccidono i monaci colpevoli di aver avviato una protesta pacifica e libertaria.



L’America del presidente che ha fatto della democrazia la sua strategia di politica estera invita le nazioni che possono esercitare influenza sulla Giunta a far qualcosa per fermare il massacro, per aiutare quella popolazione che aspira legittimamente a un futuro libero e si batte per averlo con la nonviolenza.


E subito, l’America, aggrava le sanzioni, bracca i soldi di 14 alti dignitari di quella banda di colonnelli faccendieri che sparano ad altezza uomo contro monaci che in mano hanno ciotole vuote.
E subito, l’America, appare la sola nazione a rispondere davvero al grido.

Non è questo un caso di scuola per spiegare quando si deve e si può esercitare una forte ingerenza umanitaria? Sì. Non bastano le vigorose pressioni, vanno denunciati i balletti da Guerra fredda all’Onu, con russi e cinesi intenti a limare le parole deboli delle risoluzioni di condanna e a scongiurare altre sanzioni. Possibile che l’Europa e l’Italia sappiano solo manifestare “preoccupazione” (parola debole)?







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