giovedì 20 settembre 2007

NIENTE DEBITI SIOGNOR MINISTRO


Finalmente a viale Trastevere si ricomincia a parlare di educazione. Gli addetti ai lavori aprono, ma mettono in guardia Fioroni. Alla guerra delle tabelline seguirà l'esame più difficile, quello dei fatti
di Roberto Persico

Tratto da TEMPI del 13 settembre 2007
......Ma c'è di più, incalza Aprea, nel documento di Fioroni al centro c'è il "curricolo", cioè la scuola, con i suoi organismi amministrativi e sindacali; gli studenti e le famiglie sono solo i destinatari di ciò che la scuola sovranamente decide di concedere. «Per noi, invece, al centro dovevano stare gli studenti e le loro famiglie, erano loro il fine:....



Gira e rigira, si finisce sempre lì. Per quanto si dica e si faccia, l'aspetto che più immediatamente colpisce della scuola è "che cosa" ci si insegna: a torto o a ragione, non c'è provvedimento che caratterizzi di fronte all'opinione pubblica l'operato di un ministro quanto i "programmi" che emana.

E settimana scorsa sono usciti, per l'appunto, i "programmi" di Fioroni, per usare una parola tradizionale ma imprecisa. Perché per l'esattezza bisogna parlare di "Indicazioni per il curricolo per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo d'istruzione". Che mandano in soffitta le "Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati" del ministro Moratti, datati 2004, e nei fatti poco applicati.

Si tratta di poco più d'un centinaio di pagine in tutto - disponibili sul sito internet del ministero della Pubblica istruzione - per dire quel che si fa dall'asilo alla terza media, la maggior parte dedicate a riflessioni su ragioni, scopi e metodi della scuola in generale e delle diverse discipline in particolare, le altre - sanamente poche - dedicate a dettagliare sobriamente quel che ci si aspetta che un ragazzino sappia e sappia fare alle fine della terza elementare, della quinta, della terza media. Indicazioni che non possono che provocare chi di scuola si intende.

A sinistra, ovviamente, tira aria di soddisfazione. «È molto importante - ci dice Enrico Panini, segretario della Federazione lavoratori della conoscenza della Cgil, meglio nota come Cgil scuola - che il ministro abbia annunciato una fase di discussione sul testo della commissione, perché riprende la tradizione migliore della scuola italiana, in cui in vista dell'introduzione di nuovi curricoli si è sempre discusso, perché la discussione permette di approfondire e correggere le proposte». È soddisfatto anche perché non sono previste sperimentazioni «affrettate, come in anni passati quando si chiedeva che venissero sperimentate in settembre innovazioni introdotte in agosto; qui invece si dice alle scuole "se già fate qualcosa in linea con le nuove indicazioni, continuate; se no, non fate nulla, intanto continuate quel che state facendo", perché è importante che le innovazioni siano introdotte con la dovuta riflessione».

Panini sottolinea quanto sia importante che si tratti di "indicazioni" e non di "programmi". È facile obiettare che anche la Moratti, tre anni fa, parlava di "indicazioni"; ma nel mirino c'è il programma in quanto appartenente a un'idea di scuola in cui il ministro centralmente detta a tutti ciò che devono fare. Al contrario le indicazioni tracciano un quadro all'interno del quale spetta all'autonomia delle scuole e degli insegnanti individuare i percorsi più adatti alle rispettive situazioni. «D'altro canto è importante - prosegue Panini - che vi sia un curricolo nazionale, perché ritengo che la scuola sia la fonte primaria dell'identità nazionale, luogo dove si elabora e si trasmette quel complesso di valori condivisi che fanno l'identità della nazione. Poi, certo, ci sono dei limiti, per esempio ho delle perplessità sul fatto che lo studio del Novecento sia ridotto alla sola terza media, oppure vorrei una sottolineatura delle problematiche legate all'identità di genere; ma nel dibattito che si apre, che mi auguro il più largo possibile, i difetti possono essere migliorati».

Guai a parlare di programmi
Sulla stessa lunghezza d'onda il senatore Andrea Ranieri, responsabile scuola dei Democratici di sinistra: «Il fatto che si tratti di indicazioni e non di programmi rende finalmente vera l'idea base dell'autonomia, di una cornice nazionale dentro la quale le scuole elaborano autonomamente i loro percorsi». Gli piace poi il fatto che «la facciano finita con un po' di ideologismi». Per esempio? «Per esempio spariscono le "educazioni" specialistiche, a questo e a quello: si passa dalle "educazioni" all'educazione, si sottolinea il valore educativo di tutto il percorso». Un limite? «Poca attenzione alle tecnologie, a come le nuove tecnologie cambiano i modi di percezione dei ragazzi».

Dall'opposizione invece partono bordate. «Fioroni si è vantato di avere reintrodotto la grammatica e le tabelline - sbotta inviperita l'onorevole Valentina Aprea, già sottosegretario a viale Trastevere, oggi responsabile scuola di Forza Italia - ma le tabelline, la grammatica e le poesie a memoria le avevamo già reintrodotte noi! E anche le nostre erano "indicazioni", offerte all'autonomia delle scuole perché potessero sviluppare "piani di studio personalizzati", cuciti su misura delle esigenze degli studenti e delle classi. L'unica novità è l'eliminazione dell'informatica e della valorizzazione dell'inglese e della cultura dell'autoimprenditorialità (obiettivo europeo!) che avevano reso più attuale e moderno il nostro impianto».

Ma c'è di più, incalza Aprea, nel documento di Fioroni al centro c'è il "curricolo", cioè la scuola, con i suoi organismi amministrativi e sindacali; gli studenti e le famiglie sono solo i destinatari di ciò che la scuola sovranamente decide di concedere. «Per noi, invece, al centro dovevano stare gli studenti e le loro famiglie, erano loro il fine: la scuola e i docenti erano soltanto i mezzi messi a disposizione dallo Stato per coinvolgerli, con precisi spazi istituzionali, nella costruzione dei propri percorsi formativi». Insomma ancora una volta sarebbero di fronte due diverse visioni dello Stato, una impositiva e prefettizia, quella tipica della sinistra, l'altra propositiva e sussidiaria, tipica della tradizione cattolica e liberale.

Più possibilista Fabrizio Foschi, presidente di Diesse, l'associazione di insegnanti legata alla Compagnia delle opere: «Sgombriamo il campo da equivoci: così come le "indicazioni" precedenti non erano "di destra", così le attuali non sono "di sinistra", ovvero come in quelle non dominava il tradizionalismo più bieco, in queste non domina affatto il progressismo più spinto. Entrambe si richiamano a una cultura pedagogica, al valore di persona, scuola, apprendimento, istruzione, educazione, e perciò è in base a un giudizio culturale prima che politico o didattico o sindacale che devono essere valutate. Ma la cultura è una riflessione sull'esperienza, non uno schema che si applica sulle teste degli altri; allora credo che tocchi agli insegnanti cominciare a valutare alla luce della loro esperienza quello che viene loro proposto». «Il limite delle "Indicazioni" Moratti - continua Foschi - è che erano apparse - forse per difetto di comunicazione o piuttosto per pregiudizi diffusi in una certa base docente - come prescrittive nei nessi che portavano dagli obiettivi più generali al dettaglio del lavoro; così pochi sono riusciti a usarle come strumento di formazione e consolidamento di una cultura dell'esperienza».

Riusciranno le nuove "Indicazioni" in questo compito? «Io dico che le premesse ci sono. La lettera introduttiva del ministro è molto interessante, perché parla di "educare istruendo", un'espressione che ha sempre sintetizzato la nostra preoccupazione, e della necessità che la scuola sia un luogo di incontro tra persone; poi si trovano a ogni piè sospinto riferimenti alla scuola come luogo di sintesi di esperienze e di trasmissione di saperi che nascono dalla tradizione. Infine, il contenuto più specificamente prescrittivo si limita alle competenze essenziali in uscita dai vari livelli, lasciando agli insegnanti l'individuazione dei percorsi per raggiungerli». Anche Marco Rossi Doria, "maestro di strada", ora collaboratore del ministero e membro della commissione che ha steso le "istruzioni", è soddisfatto per motivi simili: «Intanto per come la commissione ha lavorato: persone di appartenenze culturali diverse si sono incontrate, non su una mediazione politica, ma su alcuni punti fondamentali. Così tornano al centro il ragazzo, la sua crescita e la relazione educativa; non in astratto, ma ancorata all'istruzione. Poi non ci sono più centinaia di obiettivi che legano le scuole, ma l'indicazione delle competenze essenziali che tutti devono raggiungere; come, lo sanno gli insegnanti. E poi queste cose sono finalmente scritte in un linguaggio chiaro, piano, scientificamente fondato ma accessibile a tutti».

Lo spazio per un cambiamento
E sono parecchi, in effetti, i passaggi del testo suscettibili di un consenso ampio: «Una scuola che intende educare istruendo - si legge nella lettera introduttiva - non può ridurre tutto il percorso della conoscenza alla semplice acquisizione di competenze. Compito della scuola è educare istruendo le nuove generazioni, e questo è impossibile senza accettare la sfida dell'individuazione di un senso dentro la trasmissione delle competenze, dei saperi e delle abilità. La prima domanda da porre riguarda "chi educhiamo". Se c'è un punto su cui non possiamo non trovarci d'accordo è che il nostro compito è quello di educare "la persona": un essere unico ed irripetibile. (. ) Questa persona, unica e irripetibile, può essere educata a conoscere, ad accettare, a tirar fuori e costruire sé, solo entrando in rapporto con la realtà che la circonda. E la realtà è fatta di persone, di fatti, di eventi, del presente e del passato, di cui il presente è figlio. La scuola è luogo di incontro e di crescita di persone. Persone sono gli insegnanti e persone sono gli allievi». Il pensiero va alla legge Berlinguer, che definiva gli insegnanti "risorse per il funzionamento del sistema" e le premesse gettate da Fioroni sembrano di più confortante tenore. Certo, il rischio è che restino dichiarazioni di principio, come quelle del ministro sulla reintroduzione delle tabelline e dell'analisi logica. Forse ha ragione Giorgio Israel, quando scrive su Il Foglio che «ben venga questa mossa del ministro; purché non si tratti di una semplice mossa di natura politica, a cui non segua nulla; o, peggio, segua qualche nuova commissione controllata dalle stesse persone e dalla stessa ideologia che ci ha portato al disastro».

Timeo Danaos et dona ferentes: giusto essere cauti quando le aperture vengono da una parte che da almeno trent'anni demolisce la scuola italiana (e non solo); ma gli spazi ci sono. «Può essere una sfida interessante - conclude Foschi - toccherà agli insegnanti coglierla».

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