giovedì 20 marzo 2008

CL LA SFIDA DELLA MISSIONE

: «Dio non permette mai che ac­cada qualche cosa, se non per una nostra maturazione. Anzi, è proprio dalla capacità che ognuno di noi e che ogni realtà eccle­siale ha (famiglia, comunità, parrocchia, Chiesa in genere) di valorizzare come stra­da maturante ciò che appare come obiezione, che si dimostra la verità della fede».










«È questo il sintomo della verità, della autenticità o meno della nostra fede: se in primo piano è veramente la fede o in primo piano è un altro tipo di preoccupazione, se ci aspettiamo vera­mente tutto dal fatto di Cristo, oppure se dal fatto di Cristo ci aspettiamo quello che de­cidiamo di aspettarci, ultimamente ren­dendolo spunto e sostegno a nostri proget­ti o a nostri programmi».



Carrón: vogliamo mostrare al mondo la pertinenza della fede con la vita di tutti

Pubblichiamo l’intervista a don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Cl, rea­lizzata da un settimanale spagnolo.


Un anno fa, era il 24 marzo 2007, piaz­za San Pietro a Roma si riempì di ciellini provenienti da tutto il mon­do per l’udienza con Benedetto XVI in oc­casione dei 25 anni del riconoscimento pontificio della Fraternità di Cl, della qua­le – nei giorni scorsi – lei è stato riconfer­mato presidente per i prossimi sei anni. Don Carrón, cosa rimane in lei di quell’u­dienza?

A Roma è stata la conferma apostolica del va­lore del carisma dato a don Giussani per la vita della Chiesa. Benedetto XVI sottolineò l’origine personale del carisma e confermò la permanenza di esso nell’esperienza del movimento. E ci rilanciò nel compito mis­sionario, che già ci aveva affidato Giovanni Paolo II. Quella sfida missionaria è oggi an­cora più decisiva, se penso a quanto è ac­caduto in Brasile nelle settimane scorse. Du­rante un incontro a San Paolo con cin­quantamila aderenti al movimento brasi­liano dei Senza Terra, Cleuza Zerbini, l’ini­ziatrice insieme al marito Marcos, ha detto: «Carrón, qualche anno fa lei aveva un mo­vimento, Nuova Terra. Quando conobbe don Giussani glielo affidò perché non ave­va più nulla da cercare; tutto ciò che dove­va trovare, lo aveva già trovato. La storia si ripete ancora una volta. Oggi non ci sono due strade: ne esiste una sola. Oggi, Nuova Terra e i Senza Terra si uniscono al movi­mento di Comunione e liberazione».
Im­magini la mia commozione, come quella che ho avvertito quando don Giussani mi ha chiamato accanto a sé dalla Spagna per gui­dare il movimento.
E come allora mi sentii così piccolo, così niente, a San Paolo ho pro­vato la stessa sensazione. Ma questo nuovo fatto che il Mistero ci mette davanti non mi fa paura, perché Colui che ha iniziato tra noi questa opera buona, la porterà a compi­mento.

Come ha accolto il rinnovato mandato di guidare il movimento per i prossimi anni? Che cosa rappresenta per lei?


Ho accettato la decisione con lo stesso spi­rito con cui accettai quella di don Giussani, cercando di obbedire alla modalità con cui il Mistero mi chiama a rispondere. Oggi so­no molto più consapevole della spropor­zione totale davanti al compito che mi vie­ne affidato. E quello che voglio vivere è be­ne espresso nel brano di Solov’ev che don Giussani ci propose come manifesto permanente del nostro movimento: «Quello che noi abbiamo di più ca­ro nel cristianesimo è Cristo stesso, Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimo­ra corporalmente tutta la pienezza della divinità».
Io desidero non avere altra co­sa più cara nella mia vita che questo.

Tutto quello che ci ha ap­pena detto che cosa signi­fica per il futuro di Cl?

I fatti imponenti accaduti in questo anno mettono in lu­ce una volta di più la nostra responsabilità, secondo il mandato del 24 marzo 2007: vivere una fede profonda e per­sonalizzata, che ci permetta di stare nella realtà, come ci ha detto Benedetto XVI, con «una spontaneità e una libertà che permet­tono nuove e profetiche realizzazioni apo­stoliche e missionarie», per collaborare in­sieme ai pastori a «rendere presente il mi­stero e l’opera salvifica di Cristo nel mondo». Una fede matura si esprime in opere nelle quali il desiderio dell’uomo si incarna e in questo modo offre un contributo alla vita sociale. La fede cattolica non è solo un affa­re privato o limitato a qualche ambito par­ticolare, ma ha un ruolo anche pubblico, poiché è un fattore che rende migliore, più umana e più positiva, la vita quotidiana e mette nelle condizioni ottimali per affron­tare i problemi e le difficoltà, nei rapporti tra le persone, nell’educazione, nel lavoro, perfino nell’impegno civile e politico vissu­to come carità.

Il contesto culturale e politico della Spa­gna e dell’Italia, fatte le dovute distinzioni, che cosa rappresenta, secondo lei, per i cri­stiani?

Un intervento di don Giussani nel 1972, mi pare di grande attualità. Giudicando un mo­mento altrettanto drammatico della nostra storia – la crisi del Sessantotto, di cui certi fenomeni attuali sono l’ultima conseguen­za – disse: «Dio non permette mai che ac­cada qualche cosa, se non per una nostra maturazione. Anzi, è proprio dalla capacità che ognuno di noi e che ogni realtà eccle­siale ha (famiglia, comunità, parrocchia, Chiesa in genere) di valorizzare come stra­da maturante ciò che appare come obie­zione, che si dimostra la verità della fede».

Ma è soprattutto la frase successiva che mi interessa sottolineare: «È questo il sintomo della verità, della autenticità o meno della nostra fede: se in primo piano è veramente la fede o in primo piano è un altro tipo di preoccupazione, se ci aspettiamo vera­mente tutto dal fatto di Cristo, oppure se dal fatto di Cristo ci aspettiamo quello che de­cidiamo di aspettarci, ultimamente ren­dendolo spunto e sostegno a nostri proget­ti o a nostri programmi».

Perciò la situazio­ne problematica che i nostri Paesi stanno attraversando è una circostanza che il Si­gnore permette per la nostra educazione, per una verifica di ciò che ognuno di noi a­ma e anche per smascherare l’ambiguità che può esserci in ogni iniziativa umana, per sua natura limitata.

Per quanto concerne la presenza pubblica dei cristiani, che cosa implica questo suo giudizio?

Nella situazione attuale, in cui – come ab­biamo visto – non basta una reattività alle provocazioni degli altri, siamo spinti a ri­scoprire l’originalità del cristianesimo. Oc­corre una presenza originale, non reattiva. «Una presenza è originale quando scaturi­sce dalla coscienza della propria identità e dall’affezione a essa, e in ciò trova la sua consistenza» (don Giussani). Come cristia­ni non siamo stati scelti per dare prova delle nostre ca­pacità dialettiche o strategi­che, ma per testimoniare la novità che la fede ha intro­dotto nel mondo e che ha «conquistato» noi per primi. La sfida che abbiamo da­vanti è quella di sempre: e­ducare adulti nella fede, se­condo un metodo che ren­da ragionevole l’adesione a Cristo. Come disse don Giussani al Sinodo del 1987, «ciò che manca non è tanto la ripetizione verbale o cul­turale dell’annuncio. L’uo­mo di oggi attende forse in­consapevolmente l’espe­rienza dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la vita lo­ro è cambiata. È un impatto umano che può scuotere l’uomo di oggi».

L’incontro, dun­que, con qualcosa che corrisponda alle esi­genze del cuore, che scuota la ragione dal torpore in cui è caduta e costituisca una ri­sposta che nessun moralismo può sognar­si.

Sinteticamente, il carisma di Cl che cosa può offrire di originale?

Quello che abbiamo ricevuto dalla grande tradizione della Chiesa e che la genialità u­mana e cristiana di don Giussani ha reso e­sperienza presente, attraente per l’oggi: nel­la fede la solitudine e lo scetticismo sono sconfitti e la vita diventa un’immensa cer­tezza proprio perché un Altro è all’opera nella storia; in qualunque circostanza e den­tro qualunque prova, si può vivere così. Que­sto è il contributo che sentiamo di poter da­re alla vita della nostra gente: mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vi­ta – esigenze di verità, di bellezza, di giusti­zia, di felicità – e quindi l’utilità della fede per la vita degli uomini del nostro tempo. Que­sta fede è speranza per la vita di tutti.

Questo basta per affrontare l’urto di un mondo che si è progressivamente allonta­nato dalla Chiesa e dalla fede e che si vuo­le costruire a prescindere, quando non e­splicitamente contro, il cristianesimo?

Le rispondo con le parole che don Giussa­ni pronunciò dopo la sconfitta dei cattolici italiani nel referendum sull’aborto del 1981: «Ecco, questo è un momento in cui sareb­be bello essere solo in dodici in tutto il mon­do. Vale a dire, è proprio un momento in cui si ritorna da capo, perché mai è stato così dimostrato che la mentalità non è più cri­stiana. Il cristianesimo come presenza sta­bile, consistente, e perciò capace di trade­re, di tradizione, di comunicazione, di crea­re tradizione, adesso non c’è più: deve ri­nascere. Deve rinascere come sollecitazio­ne alla problematica quotidiana, vale a di­re alla vita quotidiana».

C’è qualcosa di più originale e di più entusiasmante di questo?


«Come cristiani non siamo stati scelti per dare prova delle nostre capacità dialettiche o strategiche, ma per testimoniare la novità che la fede ha introdotto nel mondo» «La situazione problematica che Italia e Spagna stanno attraversando è una circostanza che Dio permette per la nostra educazione, per una verifica di ciò che ognuno di noi ama»

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