Molti volti si saranno affacciati nella memoria di Zen, lui che di 'martiri viventi' ne ha conosciuti moltissimi (e ancora ne conosce, giacché l’ora della prova non è terminata). Uno, in particolare, ci piace pensare abbia trovato un posto speciale nel cuore e nella memoria del cardinale: quello di Martina Zhu, una donna di Shanghai talmente provata che i cattolici locali chiamarono 'l’addolorata'. Difficile non immaginare che la sua storia – di incredibile fede e immenso dolore – non abbia proiettato una qualche luce sulle riflessioni del cardinale, specie quando – a commento della nona stazione (l’incontro di Gesù con le donne di Gerusalemme) – egli invitava a pensare 'alle mamme di tanti giovani perseguitati e imprigionati a causa di Cristo'. Martina Zhu è una di loro. Rimasta vedova con otto figli, ne vide quattro prendere la strada del sacerdozio e farsi gesuiti. Con l’eccezione di Michele, che si trovava a Roma, tutti furono imprigionati l’8 settembre 1955.
Cina - sab 22 mar
di Gerolamo Fazzini
Avvenire del 22 marzo 2008
«All’età di 16 anni mi accusarono di essere nelle mani delle potenze capitaliste straniere, per essere addestrato come agente speciale. Un’accusa grave, in quei tempi di repressione verso la comunità cattolica di Shanghai. A motivo di ciò, non ho più potuto fare ritorno nella mia famiglia in Cina».
Il cardinale Joseph Zen – che ha scritto, per volontà del Papa, i testi della Via Crucis al Colosseo – ha alle spalle una sua Via Crucis. Una storia di controlli subìti, di limitazioni imposte dal regime, di amici minacciati, di tanti conoscenti imprigionati e spesso uccisi... La sua è l’esperienza di molti cattolici cinesi.
Non a caso, presentando il testo delle sue meditazioni, il vescovo di Hong Kong scrive: 'Il Papa ha voluto che io portassi al Colosseo la voce di quelle sorelle e di quei fratelli lontani'.
Se 'in tante parti del mondo la Sposa di Cristo sta attraversando l’ora tenebrosa della persecuzione', il calvario della Chiesa cinese ha una sua terribile e sorprendente unicità. Zen ieri sera, con parole asciutte, lo ha riproposto come icona di ogni persecuzione anticristiana.
Che la cifra del martirio sia per lui un tratto distintivo della missione affidatagli, lo ricordò lui stesso all’indomani del Concistoro che due anni fa lo fece cardinale: 'Il colore rosso che indosso esprime la disponibilità di un cardinale a versare il proprio sangue. Ma non è il mio sangue che è stato versato: sono il sangue e le lacrime dei numerosi eroi senza nome della Chiesa ufficiale e sotterranea che hanno sofferto per essere fedeli alla Chiesa'.
A chi avrà pensato ieri sera il vescovo di Hong Kong, mentre in mondovisione sfilavano le immagini della Via Crucis al Colosseo? Molti volti si saranno affacciati nella memoria di Zen, lui che di 'martiri viventi' ne ha conosciuti moltissimi (e ancora ne conosce, giacché l’ora della prova non è terminata). Uno, in particolare, ci piace pensare abbia trovato un posto speciale nel cuore e nella memoria del cardinale: quello di Martina Zhu, una donna di Shanghai talmente provata che i cattolici locali chiamarono 'l’addolorata'. Difficile non immaginare che la sua storia – di incredibile fede e immenso dolore – non abbia proiettato una qualche luce sulle riflessioni del cardinale, specie quando – a commento della nona stazione (l’incontro di Gesù con le donne di Gerusalemme) – egli invitava a pensare 'alle mamme di tanti giovani perseguitati e imprigionati a causa di Cristo'. Martina Zhu è una di loro. Rimasta vedova con otto figli, ne vide quattro prendere la strada del sacerdozio e farsi gesuiti. Con l’eccezione di Michele, che si trovava a Roma, tutti furono imprigionati l’8 settembre 1955.
Il maggiore, Francesco Saverio, era ai lavori forzati già da due anni. Ebbene: Martina per quasi tre anni si recò a trovare ciascuno dei figli nelle diverse prigioni in cui erano richiusi. A piedi, facendo chilometri di strada. Insultata dalle guardie, incoraggiava i figli ad accettare le sofferenze, conservando la fiducia in Dio. Finché vennero trasferiti in campi di lavoro in province lontane e per oltre vent’anni mamma Martina non li potè più rivedere. Furono liberati all’inizio degli anni Ottanta. Tranne uno, Francesco Saverio, che morì in carcere.
Come tanti, troppi sui compagni di fede.
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