domenica 23 marzo 2008

NELLA TESTIMONIANZA DEL CARDINALE ZEN LA MEMORIA DI UN POPOLO

Molti volti si saranno affacciati nella memoria di Zen, lui che di 'martiri viventi' ne ha conosciuti moltissimi (e ancora ne conosce, giacché l’o­ra della prova non è terminata). Uno, in particolare, ci piace pensare abbia trovato un posto speciale nel cuore e nella me­moria del cardinale: quello di Martina Zhu, una donna di Shanghai talmente provata che i cattolici locali chiamarono 'l’addolorata'. Difficile non immaginare che la sua storia – di incredibile fede e immenso dolore – non abbia proiettato una qualche luce sulle riflessio­ni del cardinale, specie quando – a commento della nona sta­zione (l’incontro di Gesù con le donne di Gerusalemme) – egli invitava a pensare 'alle mam­me di tanti giovani perseguitati e imprigionati a causa di Cri­sto'. Martina Zhu è una di loro. Rimasta vedova con otto figli, ne vide quattro prendere la strada del sacerdozio e farsi ge­suiti. Con l’eccezione di Miche­­le, che si trovava a Roma, tutti furono imprigionati l’8 settem­bre 1955.


Cina - sab 22 mar
di Gerolamo Fazzini
Avvenire del 22 marzo 2008

«Al­l’età di 16 anni mi accu­sarono di essere nelle mani delle potenze capitali­ste straniere, per essere addestrato come agente speciale. Un’accusa grave, in quei tempi di repressione verso la comunità cattolica di Shan­ghai. A motivo di ciò, non ho più potuto fare ritorno nella mia famiglia in Cina».




Il cardi­nale Joseph Zen – che ha scrit­to, per volontà del Papa, i testi della Via Crucis al Colosseo – ha alle spalle una sua Via Cru­cis. Una storia di controlli subì­ti, di limitazioni imposte dal re­gime, di amici minacciati, di tanti conoscenti imprigionati e spesso uccisi... La sua è l’espe­rienza di molti cattolici cinesi.

Non a caso, presentando il te­sto delle sue meditazioni, il ve­scovo di Hong Kong scrive: 'Il Papa ha voluto che io portassi al Colosseo la voce di quelle so­relle e di quei fratelli lontani'.

Se 'in tante parti del mondo la Sposa di Cristo sta attraversan­do l’ora tenebrosa della perse­cuzione', il calvario della Chie­sa cinese ha una sua terribile e sorprendente unicità. Zen ieri sera, con parole asciutte, lo ha riproposto come icona di ogni persecuzione anticristiana.

Che la cifra del martirio sia per lui un tratto distintivo della missione affidatagli, lo ricordò lui stesso all’indomani del Concistoro che due anni fa lo fece cardinale: 'Il colore rosso che indosso esprime la dispo­nibilità di un cardinale a versa­re il proprio sangue. Ma non è il mio sangue che è stato versa­to: sono il sangue e le lacrime dei numerosi eroi senza nome della Chiesa ufficiale e sotterra­nea che hanno sofferto per es­sere fedeli alla Chiesa'.


A chi avrà pensato ieri sera il vescovo di Hong Kong, mentre in mondovisione sfilavano le immagini della Via Crucis al Colosseo? Molti volti si saranno affacciati nella memoria di Zen, lui che di 'martiri viventi' ne ha conosciuti moltissimi (e ancora ne conosce, giacché l’o­ra della prova non è terminata). Uno, in particolare, ci piace pensare abbia trovato un posto speciale nel cuore e nella me­moria del cardinale: quello di Martina Zhu, una donna di Shanghai talmente provata che i cattolici locali chiamarono 'l’addolorata'. Difficile non immaginare che la sua storia – di incredibile fede e immenso dolore – non abbia proiettato una qualche luce sulle riflessio­ni del cardinale, specie quando – a commento della nona sta­zione (l’incontro di Gesù con le donne di Gerusalemme) – egli invitava a pensare 'alle mam­me di tanti giovani perseguitati e imprigionati a causa di Cri­sto'. Martina Zhu è una di loro. Rimasta vedova con otto figli, ne vide quattro prendere la strada del sacerdozio e farsi ge­suiti. Con l’eccezione di Miche­­le, che si trovava a Roma, tutti furono imprigionati l’8 settem­bre 1955.


Il maggiore, France­sco Saverio, era ai lavori forzati già da due anni. Ebbene: Marti­na per quasi tre anni si recò a trovare ciascuno dei figli nelle diverse prigioni in cui erano ri­chiusi. A piedi, facendo chilo­metri di strada. Insultata dalle guardie, incoraggiava i figli ad accettare le sofferenze, conser­vando la fiducia in Dio. Finché vennero trasferiti in campi di lavoro in province lontane e per oltre vent’anni mamma Martina non li potè più rivede­re. Furono liberati all’inizio de­gli anni Ottanta. Tranne uno, Francesco Saverio, che morì in carcere.
Come tanti, troppi sui compa­gni di fede.

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