venerdì 21 marzo 2008

UNA SOLA ED UNICA COSCIENZA, QUELLA DEL POTERE ?

Editoriale di medicina e persona a cura di F. Achilli

Riportiamo in questo numero della Rassegna stampa, parte del dibattito che ha animato le pagine di importanti quotidiani nazionali, intorno al tema dell’’obiezione di coscienza: in particolare circa la "legittimità" del suo esercizio da parte dei medici.
Ci sembra decisiva una lettura attenta dei documenti proposti.


Da parte nostra alcune osservazioni:




1)L’obiezione di coscienza come diritto costitutivo della persona costituisce l’ultimo baluardo possibile al prevalere della "legge" e del "potere" sulla coscienza del singolo uomo, relativamente alla ricerca del bene.
Come afferma Benedetto XVI :
"La formazione di una coscienza vera, perché fondata sulla verità, e retta, perché determinata a seguirne i dettami, senza contraddizioni, senza tradimenti e senza compromessi, è oggi un’impresa difficile e delicata, ma imprescindibile"
Udienza all’assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita, 24/2/2007

2) Il diritto all’ obiezione di coscienza, afferma il prevalere della persona, e del suo tentativo di costruzione del Bene, nei confronti della presunzione della "legge" (o del potere di turno) di sostituirsi ad essa: il Giuramento di Ippocrate ne costituisce l’esempio chiarificatore.

3) In questo senso, la coscienza di ognuno di noi non è il regno del soggettivismo o dell’opinione, ma il luogo dove l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma che deve riconoscere, ancora Benedetto XVI.

"..ma si diffida anche della capacità della ragione di percepire la verità, ci si allontana dal gusto della riflessione. Addirittura, secondo alcuni, la coscienza individuale, per essere libera, dovrebbe disfarsi sia dei riferimenti alle tradizioni, sia di quelli basati sulla ragione. Così la coscienza, che è atto della ragione mirante alla verità delle cose, cessa di essere luce e diventa un semplice sfondo su cui la società dei media getta le immagini e gli impulsi più contraddittori"
Udienza all’assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita, 24/2/2007

Nel nostro lavoro, prima ancora che nelle questioni bioetiche, abbiamo il dovere (prima che il diritto) di porci la domanda se quello che facciamo, o che ci suggeriscono di fare, sia morale, cioè tenda a ciò che oggettivamente riconosciamo come bene.
E’ a questo Bene che oggettivamente siamo chiamati a rispondere.

Tutte le volte che i medici, e la medicina, hanno dimenticato questa domanda, e tradito la loro responsabilità di fronte al Bene, sono stati oggettivamente "strumenti" di un potere violento.
Buona lettura.

Editoriale a cura di F. Achilli

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