lunedì 17 marzo 2008

IL PAPA IERI HA RACCOLTO LE CONFESSIONI DI SEI GIOVANI

Se il cristianesimo, infatti, non è l’esperienza di una gioia per l’anima, e se da nessuna parte si trova qualcosa che plachi la sete dell’anima, tanto varrebbe giocarsela e venderla al miglior offerente.

Non c’è niente di meglio che avere a che fare con Gesù

DAVIDE RONDONI

Discorso radicale.
Perché la vita non è una conversazione da bar.
Non è una cosa da chiacchiera continua, come quella che pervade da ogni sito, da ogni radio, da ogni schermo, la nostra vita e specie quella meno riparata dei più giovani. Ha parlato dell’anima, della possibilità di venderla. E del fatto che se pur l’anima è incancellabile nella natura umana, tale 'fiato vitale' a volte sembra svanire lasciando spazio al vuoto. Vuoto che si sente, anche dietro ai bagliori del successo, ai riflessi colorati degli onori civili o sociali.
Quel vuoto o deserto che, diceva il poeta Eliot, non è lontano ma è 'pressato sul treno della metropolitana'.
Ha portato davanti ai ragazzi le questioni più serie della vita. Ha richiamato a confessarsi, ad avere presente il proprio peccato, a impegnarsi per non ripeterlo. Ha parlato della croce. E del fatto che la vita senza guardare la croce è un circo violento e insopportabile.

Ha detto le cose di sempre, e le cose di domani. Ha citato un film, perché questo genere di problemi anima anche le più serie espressioni di arte contemporanea. Si è rivolto senza avere il problema di raccogliere consenso. Perché sapeva che il suo richiamo, il suo invito e insomma tutta la sua raccomandazione a prendere sul serio il peccato e quella possibilità di perdersi, e tutta la sua precisione e passione di pastore stavano per così dire attaccate, agganciate in cima a una certezza: non c’è niente di meglio che avere a che fare con Gesù Cristo.

Non c’è niente di meglio, di più dolce, di così umanamente intenso come 'l’incontro con un avvenimento, con una Persona', con Gesù. Una gioia che, come nel discorso del Papa, sta prima del problema del peccato e della confessione.

Sta prima, per diventare più ricco dopo. Se non ci fosse prima la coscienza, almeno iniziale, di tale gioia, nessun richiamo al peccato avrebbe senso. Per questo motivo, il Papa può dire che il ritrovo di ieri non è 'a caso'. Non è 'a caso' che la Chiesa parla di queste cose scomode. Non è 'a caso' che parla, e dovrebbe parlare, richiamando a noi che esiste la possibilità di perdersi. Del peccato, insomma. Non lo fa per affaticarci la vita ricordando cose spiacevoli. Mentre invece troppe volte accade di sentire discorsi sui peccati, e anche richiami etici, e prediche e predicozzi, fatti 'a caso'.

Discorsi che sembrano fatti apposta solo per appesantire la vita. Per avvilirla. Per uno strano gusto moralistico. Fatti 'a caso', insomma. Senza il loro vero proposito, che ieri il Papa invece richiama fin dall’inizio.

Se il cristianesimo, infatti, non è l’esperienza di una gioia per l’anima, e se da nessuna parte si trova qualcosa che plachi la sete dell’anima, tanto varrebbe giocarsela e venderla al miglior offerente.

Tanto varrebbe strapparla da sé e buttarla, in una specie di gioco. Invece, l’incontro con Gesù, dice il Papa, è la realizzazione di ciò che l’anima desidera. È per tale incontro che vale la pena prendersi cura di lei.
Riconoscerci peccatori, riconoscerci mancanti. Come sa bene chi ama davvero.

Come sa chi conosce il volto che gli riempie il cuore. Ci si sente sempre un po’ inadeguati. Un po’ difettosi.
Esistenzialmente, su un piano diverso, l’innamorato vero fa l’esperienza simile a quella del peccatore.

Come il primo sa che esiste la sua amata e vorrebbe esserne sempre degno, così il peccatore non perde la fede, anzi, ne dà segno cercando di migliorare l’anima. Questo i ragazzi lo capiscono. Questo un uomo vivo lo capisce. Che il ritrovo di ieri del Papa non era 'a caso'. Non era un esercizio di etica. Era un ritrovo di innamorati.

Avvenire, 14 marzo 2008

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