giovedì 3 maggio 2007

GLI USA LA CHIESA E LA DIFESA DELLA LIBERTA'


di Paolo Bernardini

In un momento storico in cui nel preambololo alla costituzione europea ci si rifiuta di fare menzione delle radici cristiane, in cui si cerca di far dimenticare, in ogni ambito del sapere, i legami con la tradizione cristiana, Woods ci ricorda che la civiltà occidentale deve alla Chiesa Cattolica molto di più di quanto la società voglia percepire o percepisca. Riproponiamo la postfazione al libro di Thomas Woods, "Come la chiesa cattolica ha costuito la civiltà occidentale", edito dalle Edizioni Cantagalli.
La Chiesa che così tanta importanza ha avuto nel passato del mondo, altrettanta, e ancor maggiore, ne avrà nell’avvenire, quando gli Stati tutti, che ancora troppi, a torto, ritengono i pargoletti mostruosi della modernità, torneranno al messaggio di pace e federalismo dei padri fondatori, all’idea della limitazione del governo e della non ingerenza negli affari internazionali, e l’individuo riconquisterà la libertà perduta. Ad essa guarderanno i popoli nella loro sinfonica attesa, ancora una volta, come a una roccaforte di libertà.

di Paolo Bernardini
Questo libro di Thomas E. Woods Jr. affronta uno degli aspetti più recenti di una vicenda complessa e affascinante: la storia della Chiesa Cattolica e le idee in merito ad essa negli Stati Uniti d’America e tra le nuove generazioni di storici e teologi cattolici.

Gli Stati Uniti, da sempre di confessione protestante, si sono sviluppati e sono cresciuti, in qualche modo, dalla dialettica, a volte durissima, scaturita tra i diversi movimenti protestanti: alcuni maggiormente inclini alla tolleranza, come i quaccheri di William Penn, altri chiusi su posizioni rigide, come i puritani del Massachusetts. Alla diversa posizione dottrinale si affianca una diversa distribuzione geografica, e questo evita, nuovamente, ogni volta e quasi sempre, la degenerazione del conflitto. Dalla necessità di una convivenza pacifica tra movimenti protestanti deriva l’apertura ecumenica, non confessionale, ma a-confessionale ed essenzialmente teistica, della Costituzione americana. Nella strada così aperta si inserisce, come un cuneo sempre più acuminato e spesso, il Cattolicesimo, la cui storia ha segnato notevolmente i territori coloniali di formazione culturale spagnola (la California soprattutto), ma che ha influito in maniera esigua nell’ambito delle tredici colonie che diedero vita agli Stati Uniti.

Il Cattolicesimo americano è stato immensamente arricchito, numericamente e ideologicamente, dal grande flusso migratorio ottocentesco proveniente dall’Europa: dall’Italia, dall’Irlanda, dalla Polonia, soprattutto, ma anche da numerose regioni tedesche a prevalenza cattolica, giungevano masse indistinte legate da un solo credo, anche se tale credo non era sufficiente a garantirne la pacifica convivenza.

Tuttavia, nell’Ottocento “laico”, l’epoca della grande secolarizzazione, quando religioni civili e nazionali –“tristi parodie” della vera religione – che ogni volta, come ha appena mostrato Michael Burleigh nel suo libro Earthly Powers (2005), dovevano adottare forme parareligiose di ideologia per sostenersi e legittimarsi, parodiando l’avversario da cui erano strettamente dipendenti, quella teologia ridotta a nano in machina (ma pur sempre deus) dentro l’automa che gioca a scacchi e fa vincere ogni partita alle ideologie – anche e soprattutto materialistiche –, di cui parla Walter Benjamin nella prima delle sue Tesi di filosofia della storia, quell’ideologia vissuta da milioni di emigranti delle classi più povere, portava con sé una religiosità primigenia, un Cattolicesimo appassionato e viscerale che era qualcosa di molto più profondo rispetto al sentimento di appartenenza nazionale; la nazione, infatti, ovvero lo Stato, li allontanava in grandi masse e offriva loro, in caso contrario, null’altro che fame e morte.

Anche nel sentimento meno sofisticato della fede, e soprattutto della fede cattolica, Dio è universale: la Sua patria è celeste e quindi non legata ad alcun luogo; la vicinanza a Dio non è questione di distanze geografiche: che lo si preghi a Corleone o a Manhattan, a Pittsburgh o a Tagliacozzo non fa differenza. La vicenda del Cattolicesimo tra gli emigranti italiani a cavallo di due secoli, non solo in America Latina, ma anche in Nord America, è oggetto di studio affascinante, ancora pieno di risvolti degni di indagine storica.
Se guardiamo all’America settentrionale del 2006 non possiamo non notare come il numero di cattolici, ormai superiore, anche se di poco, ai cattolici presenti in Italia, sia elevatissimo, e come la Chiesa cattolica d’oltreoceano sia caratterizzata da una vitalità propria, alimentata forse dalla distanza da Roma: distanza che i moderni mezzi di comunicazione sono in grado di farci percepire come nulla, a loro modo, ma che comunque permane.In Italia la percezione di un rapporto disturbato, teso, ambiguo, come quello tra Stato e Chiesa, in una condizione di convivenza forzata, da veri “separati in casa” a Roma, vizia in qualche modo la relazione individuale e sociale con il Cattolicesimo stesso, il quale, oltretutto, in una condizione formatasi storicamente di monopolio, deve scontrarsi con tutti i problemi connessi a tale situazione, inclusa la disaffezione religiosa. Non è un caso che da più parti i cattolici italiani si mostrino a favore della presenza sempre più massiccia dell’Islam: in questo modo, pungolata da un avversario potente, anche la dottrina cattolica, e l’aderenza alla fede, ne verranno rafforzate. E infatti, per la prima volta nella storia italiana, stiamo assistendo al progredire forte di un temibile concorrente religioso in continua crescita come l’Islam; prima non era mai accaduto. Questa, come ogni situazione di monopoli incrinati o minacciati, potrebbe portare a un rafforzamento notevole dell’adesione non nominale al Cattolicesimo. Del tutto diversa la situazione americana. Il Cattolicesimo si trova qui in una situazione di aperta concorrenza, soprattutto con il suo “peggior nemico” storico, il Protestantesimo nelle sue varie confessioni e, in questo caso, maggioritario. Ma vi sono anche nutrite rappresentanze di un considerevole numero di altre religioni, soprattutto orientali, incluso il buddismo (esiste persino un’università buddista), tutte, o quasi, estremamente agguerrite nell’opera di proselitismo. Questa situazione alimenta una vitalità particolare in seno al Cattolicesimo in America. Ma non può essere trascurato il fatto che il sistema accademico americano, dominato dal privato, offre larghi spazi per lo sviluppo di università cattoliche, più o meno “tradizionalistiche”. Ecco quindi affermarsi le realtà di atenei del calibro di Notre Dame, in Indiana, tra i maggiori centri di ricerca al mondo; della Catholic University e della Georgetown di Washington; della Fordham e del Boston College (entrambe gesuite), rispettivamente a New York e a Boston, e perfino “new entries” con brillanti prospettive future come la Ave Maria University, in Florida, voluta da Thomas Monaghan – mecenate di origini irlandesi –, prima università cattolica fondata negli ultimi cinquant’anni negli USA nella splendida località di Naples, paradiso marino di bellezza radicalmente diversa e complementare, vorremmo dire, della nostra Napoli, legata a doppio filo con una “gated community” dove viene richiesto, alle famiglie che vogliano stabilirvisi, il rispetto della fede cattolica e delle sue pratiche.

Non sono poi da trascurare i think tank cattolici, teologi e storici della Chiesa, intellettuali a tutto tondo come George Weigel, grande biografo, tra l’altro, di un grandissimo papa quale Giovanni Paolo II. L’opera di quest’ultimo sul tema dello scontro tra laicismo e religione cattolica, Il cubo e la cattedrale, è di prossima pubblicazione anche in Italia, e può essere proficuamente letta in complementarità con il presente volume di Woods che, in qualche modo, diviene asse di sostegno per il testo di Weigel e per le sue tesi sulla prevalenza morale, in prospettiva futura e nell’immediato presente, della posizione religiosa rispetto a quella laica nella costruzione dell’Europa.
Il panorama si presenta quindi estremamente variegato.

Non stupisce dunque che proprio dagli Stati Uniti giunga questa attualissima opera di Thomas E. Woods, storico poco più che trentenne e già autore di diversi volumi tradotti in tutto il mondo: un affresco sul contributo fondamentale della Chiesa cattolica alla civiltà occidentale. Dopo averlo letto, quasi viene voglia di tornare a chiamare “Christianitas” l’Europa, come accadeva nel Medioevo, quando il concetto, e il termine, di “Europa” era ancora molto incerto (una faccenda per un’élite di cartografi) e come avvenne quando il concetto fu riscoperto e rielaborato dai Romantici, Novalis in testa, nella loro fase “cattolica” che per alcuni, come Friedrich Schlegel, fu preludio alla conversione vera e propria.

Woods propone un’avvincente narrazione che coinvolge ambiti diversi: passa dalla scienza alle opere di carità, dalla filosofia al pensiero politico ed economico, all’arte e all’architettura, dal diritto canonico a quello internazionale, per raccontare quel che in fondo ogni europeo ha sotto gli occhi da sempre, anche se troppo spesso ci è stato insegnato, dalla Rivoluzione francese fino ai contemporanei esaltatori della laicità, a guardare altrove, quando in realtà, in tutto questo, il contributo della Chiesa cattolica fu fondamentale. Woods attacca giustamente quell’abominevole, trito mito storiografico, che perdura ormai molto più in Europa che non in America, del Medioevo come l’età “dei secoli bui”, ricostruendo infine un pregevole mosaico storico che gira attorno al suo centro: la Croce.

Non si tratta di un’opera specialistica – e dunque gli specialisti avranno buon giuoco nell’attaccarla nei dettagli –, l’intento è bensì quello di dominare materiale di mole gigantesca, attraversando diversi settori disciplinari, a volte in palese contrasto tra loro per metodi e stili linguistici, come ad esempio arte ed economia. Eppure Woods è riuscito in questo intento; gli si potranno rimproverare alcuni particolari – come ad esempio l’aver sottoscritto troppo in fretta la tesi di Jaki sull’inferiorità della scienza, o meglio dell’attitudine verso la scienza, di Islam e numerose altre civiltà, compresa quella babilonese, tesi che contrasta con l’assunto coranico della parità di valore tra “scienza/conoscenza” e “devozione” per il credente – o di non aver tenuto conto di numerosa letteratura secondaria (le opere di William Shea su Galileo, ad esempio), ma il quadro di insieme regge, eccome!

Mirabile questa argomentata apologia della Chiesa cattolica, in un momento in cui viene sì attaccata, ma finalmente posta anche nella posizione che le compete nella coscienza internazionale, soprattutto se la si pone a confronto con la massa di opere di segno contrario, di attacco radicale alla Chiesa. Nessun’altra istituzione nella storia può essere presa in esame con giudizi morali ed esiti storiografici talmente differenti. Forse perché la Chiesa cattolica è la più grande istituzione a livello mondiale, e dunque la sua storia è estremamente complessa, diuturna – oltre che la più grande, la Chiesa cattolica è anche la più longeva istituzione al mondo – e in continua evoluzione.
Se scendesse sulla terra un venusiano, posto che sia interessato alla cosa, e si trovasse in una libreria dove fossero ospitati solo questo libro di Woods, e, poniamo, i virulenti attacchi alla Chiesa di Avro Manhattan, o la ponderosa opera di Karlheinz Deschner, Storia criminale del Cristianesimo, ebbene si troverebbe dinanzi a due opposte, inconciliabili visioni sulla Chiesa, e legittimamente potrebbe chiedersi se parlino effettivamente della stessa cosa. Non si può infatti trascurare una lunga tradizione protestante, che nasce con Lutero, e che ancora oggi fiorisce, in cui l’attacco alla Chiesa cattolica è considerato non solo molto onorevole, ma praticamente una necessaria tappa della legittimazione, sia delle confessioni protestanti, sia, soprattutto, degli Stati.

Per comprendere l’opera di Woods – e forse anche capire perché sia stata scritta da un giovane studioso americano – occorre non solo metterla in relazione con il vigore particolare del Cattolicesimo americano, ma anche con il pensiero libertario, ovvero anarco-capitalista, in cui Woods si riconosce. La Chiesa è vista – in questo pensiero che attacca lo Stato e difende la libertà individuale – come una forma di aggregazione libera e liberale. Nella piccola Italia, dove il liberalismo si è associato in maniera distorta, già da inizio Ottocento, con il laicismo e lo statalismo – ovvero, è divenuto una parodia di se stesso – è difficile comprendere la Chiesa come soggetto di libertà, ovvero creatrice e difensora della libertà: proprio questo è ciò tende a dimostrare Woods, sulla scorta della grande tradizione “libertarian” americana, in particolare di Murray N. Rothbard, che pure non era particolarmente credente in Dio, ma profondamente credeva, come pochi altri nel Novecento, nell’individuo e nella libertà individuale. Si tratta, tra l’altro, nel caso della Chiesa, di una entità che non obbliga nessuno a farne parte, al contrario degli Stati; non esige nessuna forma di tassazione o di rinuncia alla propria libertà; non sottrae, ma arricchisce; non limita, ma aiuta a crescere; detta norme morali, ma suggerisce il tribunale di Dio come luogo del redde rationem, unitamente alla propria coscienza, e non quello degli uomini, che ormai non funziona più; fa comprendere bene quale sia il male e quale il bene; non gode di altre contribuzioni se non di quelle volontarie e per mezzo di esse si sostiene, eppure, assai più di molti Stati, e idealmente in misura maggiore di tutti gli Stati, nella sua dimensione globale, prospera.

La storia millenaria della Chiesa ha visto nascere e morire imperi. Se credessimo nella sua totale positività, forse saremmo in mala fede: è un’istituzione ispirata da Dio ma fatta da uomini; e tuttavia, se ci facciamo sottomettere dal “teorema Giordano Bruno” che ha soggiogato così tante generazioni in Italia e non solo – un mito protestante, ma certo non privo di un fondo di verità – rischieremmo di perdere il senso, che non può essere che positivo, di un’istituzione che si sostiene nell’equilibro delicatissimo, mirabile certo, ma fragile altrettanto, che vede a un polo l’individuo e all’altro Dio. Un equilibrio arrischiato da “incertezza e alea”, per citare il filosofo tedesco Peter Wust, ingiustamente obliato ora, ma dal significato immenso, che nessun’altra istituzione ha né potrà mai avere. Forse, per dare un senso all’opera di accaniti nemici della Chiesa come Deschner, e concedere loro quella buona fede che non tutti hanno, occorre vedere come e quando la Chiesa ha agito con logiche allotrie, ovvero con la logica dello Stato, e non necessariamente dello Stato della Chiesa (come verrebbe da pensare immediatamente), perdendo così il senso originario della dottrina e cercando di imitare un’istituzione che è, questa sì – per applicare la categoria celebre proprio di Deschner –, opus diaboli.

La Chiesa che così tanta importanza ha avuto nel passato del mondo, altrettanta, e ancor maggiore, ne avrà nell’avvenire, quando gli Stati tutti, che ancora troppi, a torto, ritengono i pargoletti mostruosi della modernità, torneranno al messaggio di pace e federalismo dei padri fondatori, all’idea della limitazione del governo e della non ingerenza negli affari internazionali, e l’individuo riconquisterà la libertà perduta. Ad essa guarderanno i popoli nella loro sinfonica attesa, ancora una volta, come a una roccaforte di libertà.

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