lunedì 10 marzo 2008

IO, LERNER, MIO PADRE MINATORE E I SESSANTOTTINI AL POTERE

Infine, caro Gad, a te che – con sufficienza – ritieni altri non titolati a parlare, rispondo che, per quanto mi riguarda, io – Antonio Socci, firmatario di quell’articolo sulla dignità e il dolore degli operai (che ieri era, anch’esso, in prima pagina) – non prendo lezioni da te in questa materia. Perché gli operai (e soprattutto i minatori) che muoiono o finiscono mutilati sul posto di lavoro non li conosco per sentito dire come lorsignori giornalisti che dall’estremismo rosso sono passati ai mass media della borghesia.
Antonio Socci

Mentre assistiamo sbigottiti e disgustati alle candidature – ultimo segno di una totale decadenza e inaffidabilità della politica – sto seriamente maturando un’idea: non vedo l’ora di non votare. Per la prima volta in vita mia…

“GAFFE” LERNER, LA VOCE DEL PADRONE E L’OPERAIO DELLA THYSSEN UMILIATO

da “Libero” 7 marzo 2008



Non so se Gad Lerner (che torna ad essere per l’occasione “Gaffe” Lerner) si sia risentito quando, nel suo blog, sono arrivati questi messaggi indignati (con lui) per ciò che è accaduto mercoledì sera al suo programma, L’Infedele. Di sicuro deve esserne imbarazzato Fausto Bertinotti (come vedremo).

Prima di leggere alcune di queste mail riassumo l’accaduto.

Il titolo della puntata era “Povero Marx imbavagliato!”, con tanto di foto del filosofo barbuto col bavaglio. A essere silenziato e strapazzato in modo imbarazzante da Lerner, però, è stato l’operaio simbolo dell’attuale classe operaia (sedotta e abbandonata), ovvero Ciro Argentino, il giovane lavoratore della ThyssenKrupp, amico dei poveri operai morti in fabbrica a Torino nel rogo del dicembre scorso.

Argentino era stato invitato alla trasmissione insieme con due ospiti politici: Fausto Bertinotti e Matteo Colaninno (figlio di Colaninno), già dirigente di Confindustria e oggi capolista del Pd in Lombardia.

Evidentemente l’operaio era stato chiamato lì per dar voce alla rabbia operaia (di questi tempi più che giustificata), ma siccome non si comportava a comando e ha osato per due volte disturbare il signor Colaninno, sovrapponendo la sua voce alla voce del padrone, per lesa maestà ha scatenato la spropositata reazione di Lerner che gli ha intimato – con toni che oggi nessuno usa - di non disturbare più o altrimenti di andarsene.

Il povero operaio intimidito, zittito e pallido, non ha più osato “disturbare”, non trovando il coraggio di alzarsi e mandare a quel paese il conduttore.

La scena ha colpito molti. E qualcuno ha scritto subito al blog di Lerner.

Giuseppe A. Possedoni, per esempio, ha inviato questa mail: “Caro Collega, nella tua, come in ogni altra trasmissione che diffonde dibattiti in tv, le interruzioni, anche irruente e fatte con toni in grado di innervosire un morto, avvengono continuamente.
Solo nel tuo programma di stasera, però, mi è capitato di vedere il conduttore (cioè tu) rivolgersi a un ospite nel modo assolutamente inammissibile che hai usato nei confronti dell’operaio della Thyssen quando ha dato sulla voce all’imprenditore Colaninno”.

Un certo Sandro, a sua volta, osserva sarcastico: “E bravo gaddino, lo sapevo che avrebbe fatto carriera, l’ho sempre saputo fin da quando facevo il ‘gabbiottaro’ a Lotta Continua…. ma certe volte riece a sorprendermi per la sua scorrettezza dialettica come quando zittisce l’operaio della Thyssen trattenendo, anzi non trattenendo, lo sdegno per le pressanti domande che mettono in difficoltà il suo ‘protetto’ Colaninno.

Poi qualcosa sull’ex ‘prodiano’ Bertinotti: è passato senza soluzione di continuità dal sostegno al moderato liberismo del governo alla sferzante retorica classista (ma ndò stava negli ultimi due anni?)…..non più credibile!!!!”.

Infine un’altra telespettatrice, Silvana Mazzarello, scrive a Lerner: “Ti ho sempre ammirato molto e non mi perdo una tua trasmisione ma….(e qui la mail diventa tutta maiuscola, nda) non permetterti mai più di umiliare ed azzittire nel modo che hai usato stasera una persona come l’operaio che hai bistrattato. C’è modo e modo !!!

Capisco che non ti stia simpatico perché probabilmente non vota Pd. Però non ti puoi permettere di riversare su gente che già sta soffrendo una situazione anche la pubblica umiliazione. Chiaro ?!!!”.

Probabilmente è stato più di un incidente. Più di una gaffe. Lerner, nei suoi programmi, ha sempre dedicato molta attenzione al mondo operaio e di recente, dopo la tragedia della Thyssen, ha realizzato pure uno speciale dell’Infedele sugli operai di Torino.

La sua è infatti la generazione che è passata da Lotta continua e Potere operaio al Palazzo del potere. E’ l’informazione di Sinistra. Allora come si spiega l’incidente di mercoledì sera?

Prima spiegazione: è stata solo una gaffe. Probabile, può capitare a tutti di sbagliare.

Ma c’è anche una seconda spiegazione possibile (e se ne trova traccia nel blog di Lerner): si può ritenere che ieri come oggi questi intellettuali di sinistra sempre abbiano pensato gli operai come scenografia e tappezzeria, da far parlare o gridare a comando, all’interno del proprio palinsesto ideologico. Una volta Bertinotti diceva che il Pci aveva insegnato agli operai a non togliersi più il cappello davanti al padrone. Mercoledì si è avuta la sensazione che si sia fatto togliere di nuovo il cappello all’operaio davanti al padrone, capitalista “illuminato” candidato del Partito democratico. E’ stata una scena imbarazzante. Molti hanno avuto la percezione di cosa sia la Casta.

Anche perché al telespettatore veniva da pensare che il debordante conduttore non si permette di rivolgersi con quei toni agli ospiti “importanti”, come certi industriali e banchieri, o D’Alema o Bertinotti.

E il compagno Bertinotti – di fronte a quella scena umiliante – non ha sentito il bisogno di intervenire per dire a Lerner che, a quel punto, insieme all’operaio se ne sarebbe andato anche lui.

A meno che mi sia sfuggito qualcosa, è stato lì a guardarsi la reprimenda senza obiettare. Chi tace acconsente. Eguale atteggiamento del resto ha tenuto “la mia saggia amica Lella Costa” (come si esprime Lerner, pratico di salotti sessantottini) e pure “il prete di strada don Andrea Gallo”. Tutti “de sinistra”, a parole, ma incapaci di sollevare la minima obiezione di fronte a una scena avvertita, almeno da certi telespettatori, come un’umiliazione.

Il contributo della signora Costa, in tutta la serata, si è sostanziato in una battutella freddina su Fabrizio Corona che non c’entrava niente ed era peraltro assente. Che talento umoristico! Peccato non si sia cimentata sui due ospiti presenti, Bertinotti e Colaninno. O su Lerner e la sua sfuriata.

Probabilmente i presenti neanche si sono resi conto dell’assurdità della scenata perché forse danno per scontato che l’operaio – ancorché chiamato come ospite in un programma – non deve disturbare e deve aprir bocca quando lo decide l’illuminato Conduttore.

Quella è la sua parte in commedia. L’operaio deve far casino solo se sono i sindacati o il partito a ordinarglielo. Se invece è il cuore, la coscienza, la dignità a farlo parlare – mettendo così in imbarazzo il signor Colaninno, chiaramente a digiuno di politica, ma schierato a Sinistra – allora la voce del proletariato si può silenziare e poi si può proseguire amabilmente la borghese conversazione salottiera.

Era chiaro che Colaninno, il quale si è sempre presentato in tv come confindustriale e mastica poco di politica, fosse in fortissimo imbarazzo di fronte a chi lo contestava da sinistra e a chi ironizzava sul suo sbarco nel partito di D’Alema e Veltroni.

Ma così “scortato” da Lerner ha dato la sensazione di essere molto a corto di argomenti. Ha dato l’impressione di essere l’ultimo rampollo di quella borghesia italiana che si è sempre caratterizzata per la furbizia. Col cuore a sinistra e il portafogli a destra. Solidarietà vivissime dunque a Ciro Argentino. La classe operaia non va in Paradiso, con questa Sinistra, e chissà che non mandi tutti all’inferno. Antonio Socci


RISPOSTA DI LERNER E REPLICA MIA CARO GAD, ORA ASCOLTA QUESTA STORIA…

da “Libero”, 8 marzo 2008

Io sono figlio di un minatore. E ho una storia da raccontare a Gad Lerner perché non si è affatto pentito dell’umiliante scenata rifilata, mercoledì, nel suo programma, all’operaio della Thyssen. Né chiede scusa, come pure gli è stato suggerito dai lettori del suo blog. Errare è umano, ma perseverare è triste. Mi dispiace che Lerner faccia prevalere l’orgoglio (di professionista famoso e potente) sulla giustizia verso i deboli. E trovo avvilente che Bertinotti e Colaninno abbiano assistito alla scena col loro silenzio-assenso.

Rispondendo al mio articolo di ieri, Lerner dice di “avere zittito Ciro Argentino” (l’operaio della Thyssen) perché “non la smetteva di interrompere Matteo Colaninno”. Che squisita sensibilità per uno che viene da Lotta Continua. Si vede che oggi il suo cuore si intenerisce per il giovin signore bisognoso di coccole (“ma anche” candidato nel Pd come Calearo). In realtà l’operaio non ha prevaricato Colaninno, era lui, il neocandidato, a essere visibilmente inadeguato e in contraddizione con se stesso, come è apparso anche giovedì sera ad “Annozero”. Così Lerner se n’è preso cura.

“L’ho tutelato” aggiunge Lerner “e lo rifarei, paro paro. Come Ciro Argentino ben sa, se ho alzato la voce con lui non è solo perché inceppava la trasmissione, ma semmai per un eccesso di confidenza”. Lerner dice di essere pappa e ciccia con Argentino: “Sa benissimo che io sono un borghese, mica un proletario. Che conosco diversi imprenditori di questo paese, alcuni dei quali sono stati miei editori”.

Mi pare che la risposta migliore a tale ricostruzione sia quella di una sua lettrice, Letizia, che ha scritto al blog di Lerner: “Diciamo che Ciro Argentino stava cercando di interrompere con domande assolutamente in sintonia con quelle che molti si ponevano da casa e lei, signor Lerner, non lo lasciava parlare … Diciamo che gli operai Thyssen le servono, ma meglio che stiano composti e tranquilli mentre gli amici, ai quali non riserva siffatte amorevoli ruvidezze, ci spiegano che è finita l’era dei conflitti…Diciamo anche che ci saremmo aspettati che Bertinotti dicesse qualcosa su questo modo di trattare, saggiamente, gli operai come ‘amici’ e i padroni come, appunto padroni… Diciamo che la ruvida amicizia poteva tenerla per qualcun altro e invece ha preferito fare questa figura imbarazzante per la quale, essendo lei l’ospite, dovrebbe chiedere pubblicamente scusa…”.

Gad fa capire che da Libero non prende lezioni perché – a suo dire - non daremmo spazio in prima pagina alle “morti bianche”. Intanto non è vero, infatti mercoledì stesso poteva trovare sulla prima pagina di questo giornale l’articolo di Lucia Esposito intitolato: “Quelle assurde morti bianche e gli ispettori che non vedono”. In secondo luogo Lerner usa la polemica (infondata) contro Libero per evitare di rispondere ai suoi stessi lettori. Le mail che ho riportato ieri e oggi sono arrivate al suo blog. Perché non risponde almeno a loro?

Infine, caro Gad, a te che – con sufficienza – ritieni altri non titolati a parlare, rispondo che, per quanto mi riguarda, io – Antonio Socci, firmatario di quell’articolo sulla dignità e il dolore degli operai (che ieri era, anch’esso, in prima pagina) – non prendo lezioni da te in questa materia. Perché gli operai (e soprattutto i minatori) che muoiono o finiscono mutilati sul posto di lavoro non li conosco per sentito dire come lorsignori giornalisti che dall’estremismo rosso sono passati ai mass media della borghesia.

Mio padre dall’età di 14 anni fu costretto, per poter mangiare, a fare il minatore in un bacino carbonifero toscano, fra Monteriggioni e Castellina in Chianti. Gli incidenti erano all’ordine del giorno. Almeno una quindicina furono mortali. Il 2 febbraio del 1953 la campana suonò proprio per mio padre. Era ventottenne. Faceva il terzo turno, alle 2 di notte, stava tagliando dei picchetti di legno, uno gli scivolò e – ricordo il suo racconto - “fu terribile. La mano completamente tranciata, con le dita per terra, un dolore insopportabile, il sangue che usciva a fiotti”. I minatori nelle ore notturne erano totalmente abbandonati. Il telefono funzionava solo di giorno e mio padre stava morendo dissanguato. Fu il ghiaccio di quel febbraio a salvargli la vita: “era un freddo pungente e questo mi salvò da una pericolosa emorragia perché si formò un enorme coagulo di sangue raggrumato dal gelo della notte. L’ambulanza arrivò dopo quattro ore. Arrivammo in ospedale la mattina alle sei, svenni e mi portarono in sala operatoria”.


Da allora mio padre perse la mano, ma se non fosse stato per il freddo siberiano che quella notte congelò il sangue al suo moncone, lui sarebbe morto e io non sarei nato sei anni dopo.

Come vedi dunque conosco la materia. A mio padre piaceva dipingere. E io sono cresciuto in una casa dove una sua tela rappresentava proprio due minatori che trasportavano in barella il corpo di un loro compagno. Una scena terribile che lui aveva vissuto. Vinse un giorno anche un premio di poesia raccontando i drammi degli uomini della miniera.

Mio padre era cattolico, militante della Dc fin dalle elezioni del 1948. Era un minatore iscritto alla Cisl in una terra rossa. Leggeva molto ed era anticomunista perché riteneva che il comunismo fosse la peggiore truffa per gli sfruttati, come dimostrava ciò che accadeva nei Paesi dell’Est.

Però nutriva una forte antipatia per i signori, specie nullafacenti, e i figli di papà, soprattutto quando si atteggiavano a rivoluzionari. E quando io ebbi 14 anni e presi a frequentgare un liceo pieno di figli di papà che militavano in Lotta Continua e che sputavano sulla Dc, mio padre con grande durezza e disprezzo verso questi “signorini” mi fece notare che era grazie alla Dc che io a 14 anni potevo studiare e non dovevo fare il minatore come lui e come mio nonno. E aggiungeva: “stai attento, perché questi signorini fanno la rivoluzione sulla vostra pelle. Loro hanno il culo al caldo. Vi distruggono la scuola che è l’unica opportunità dei poveri, perché poi lorsignori, figli di papà, la loro strada ce l’hanno sempre assicurata e ve li ritroverete con la cravatta a comandare, fra dieci anni”.

In effetti è accaduto così. E il vizio di silenziare gli altri è quello antico della generazione Sessantottina. Ricordo i compagni di Lotta continua e affini, di solito borghesi, che nelle assemblee studentesche quando chiedevo la parola, essendo noto come cattolico, mi spiegavano sarcasticamente che io non potevo parlare. I padroncini hanno sempre amato comandare. Zittire i proletari è naturale per chi pensa di dover “dare la linea alle masse”, non ascoltarle. Voi siete la mente, non è vero? Mio padre è morto un anno fa. E’ morto perché la miniera gli aveva rovinato i polmoni. Colpa del carbone. Anno scorso, dopo una caduta, non è più riuscito a respirare. Era un grande. Una straordinaria dignità, il coraggio delle proprie idee, con la sua fede virile e il suo profondo senso della giustizia che lo faceva ribellare davanti a tutti i torti. Seguiva sempre con passione politica i programmi di informazione e mercoledì sera, caro Gad, mi sono chiesto come avrebbe reagito davanti alla tua scenata. Ti avrebbe mandato a quel paese. Come pure il figlio dell’industriale candidato di Veltroni. Lui, che era anticomunista, avrebbe difeso la dignità del comunista Ciro Argentino, incitandolo a non farsi silenziare, ad alzarsi e sputtanare il tuo “progressismo”.

In quella piccola, triste scena dell’Infedele, c’è un po’ la storia d’Italia. Di una borghesia troppo furbetta e inadeguata, di una classe operaia presa per il naso dai Capi comunisti e di un ceto intellettuale arrogante che non conosce la grandezza e la nobiltà del chiedere perdono. Spero che tu, Gad, che sei intelligente e hai una sana inquietudine, possa scoprirle almeno in questa occasione.

Antonio Socci



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