giovedì 13 marzo 2008

RIBELLARSI AL NULLA E' POSSIBILE

Bisogna volerci bene però, e amare la ragione e i desideri veri che il buon Dio ci ha messo in corpo, non come ammasso da consegnare a ideologi e cattivi pensieri, ma come vita umana cercando maestri, padri e fratelli di strada al destino. Maestri che fanno alzare la testa e padri che fanno diventare grandi. E fratelli con cui camminare insieme, più certi e più sicuri. Maestri come un papa molto esile, padri come un giornalista molto grosso. Fratelli come il tuo compagno di classe, che non vive solo per denunciare e rinviare la felicità a un futuro migliore, ma che ti propone qualcosa la cui felicità promessa si può cominciare a sperimentare già ora. Fratelli come può essere fratello e sorella una madre che ti segue con la coda dell’occhio anche se non ti dice niente, ma tu sai che lei c’è, quel cuore c’è, quel pensiero c’è e ti fa crescere.

Postilla. Naturalmente non vi ho scritto, cari sedici-ventenni, perché qualcuno di voi magari poi mi votasse nel collegio senatoriale di Roma, dove mi candido per sostenere la buona battaglia di Giuliano Ferrara pro moratoria sull’aborto e pro cultura della non indifferenza alle intenzioni della vita. Bisogna avere 25 anni per votare il Senato, quindi voi siete esclusi. Mentre io, visto che Giuliano me l’ha chiesto e visto che Giuliano è un fenomeno, il fenomeno più scandalosamente interessante che ci sia oggi in circolazione, mi sento libero di rischiare qui e ora, nelle impreviste circostanze che mi si presentano, il giudizio che vi ho testé balbettato. Ciao.

Cari ragazzi, riprendetevi le vostre vite. Cominciate a guardare a chi vi libera la testa dall'amarezza mortifera che appesta l'aria.
Luigi Amicone


CARI RAGAZZI, SCUSATE SE QUESTA NON È UNA PREDICA, ho cinquantun’anni, quattro mesi, sei figli, sono vecchio abbastanza, non vorrei perdermi l’ultima stagione per dirvi la verità. Lost, Maria De Filippi, YouTube, iPod. Tutto bello. Tutto straordinario. E insufficiente per introdurvi nel mondo con quel che vi passa sulla testa, alla velocità di una e-mail, alla rapidità di un sms. Avete visto cosa succede quando le parole non vi vengono regalate a vanvera e il famoso dibattito, la lettura dei giornali, le educazioni sessuali e stradali, non sono oggetto dell’ultima circolare del preside. Quando la scuola e l’università non sono le quattro mura stanche e – benedetti Pink Floyd – lo studente non è un mattone nel muro, un esile papa viene zittito da quelli che conoscete bene. Un grosso giornalista viene aggredito dall’ideologia mortifera che dice, contro Dante e Montale, “vietato guardare più in là”. Li conoscete bene questi dei muri e dei divieti, perché spesso ce li avete dirimpetto, sopra, sotto, a fianco, in cattedra o in televisione, a rumoreggiare, a strillare, a impedire che altri parlino.

Talvolta sono quegli stessi che nel ’68 contestavano i metodi autoritari e il sapere falsamente neutro dei loro professori. E che a loro volta, quarant’anni dopo, sono identici, senza un pizzico di buonumore, magnanimità, ironia, uguali uguali ai loro antichi professori. Però quando i giornali e il discorso pubblico non sono il teatrino autoritario del falsamente neutro o del semplicemente illogico e assurdo – e sempre sia benedetto Ionesco – succede che salta fuori un papai che è più laico del laico che lo zittisce.

E salta fuori, dal regno dei “signorsì” a pensarla tutti uguale, altrimenti “raus”, alla lavagna, a scrivere cento volte “sono un democratico antifascista, la legge 194 non si tocca, prego ogni mattina con la Costituzione in mano, ho la tessera di Legambiente, adoro Benigni, non faccio le puzzette come Berlusconi, guardo Mtv, ho un blog antimafia e sono sulla mailing list di Beppe Grillo”, salta fuori, dicevo, perfino una maledettissima “moratoria sull’aborto”.

Una moratoria logicamente dedotta dal fatto che anche Abele, il bimbo che sta aggrappato a un cordone dentro una pancia di donna, meriterebbe la stessa attenzione che, giustamente, i governi di tutto il mondo, con la moratoria Onu sulla pena di morte, hanno riservato a coloro che languono nei bracci dei condannati alla forca.

Ma non è solo il pensiero forte, libero e profondo di un grande papa o quello di un gigantesco laico che si batte (addirittura con una “lista di scopo”) per il diritto a nascere anche di chi non si vede dal buco della serratura dei laboratori che selezionano bambini belli&sani, che si introducono come nota di sottofondo nelle pieghe della vita che corre alla velocità di Internet.

Non c’è solo l’esile papa delle magistrali lezioni di Ratisbona e della Sapienza (a proposito, leggetele, e leggete anche il suo messaggio per la quaresima, non fatevi scippare il sapere dalle persone gonfie di sé, come la famosa rana di Esopo che si credeva più intelligente del bue).

Non c’è solo il grosso giornalista che cerca anzitutto di convincere se stesso che l’indifferenza e il razzismo morale non vanno. Di belle storie in cerca di un fresco uditorio è pieno il mondo. Storie non udite, sommerse dal continuum di rumori e di parole pronunciate a vanvera, sono, messe tutte insieme o sfiorate appena come in un pezzettino che ci percuote personalmente (pensate a quell’amico improvvisamente in difficoltà, all’amicizia diversa che si risveglia, al ritrovarsi la sera che diventa una cosa diversa dal ritrovarsi solito, perché c’è un pensiero diverso, per esempio di ciò che si può fare, per quel compagno in difficoltà), la nota lieve ma ferma, quasi impercettibile ma reale, di una nona sinfonia di Beethoven.

Che dice che si può, anzi si deve, non mancare all’appuntamento di una vita a cui il destino affida un compito. Un compito a ciascuno.

Due occhi che non sono morti
Ragazzi, oggi nelle vostre strade, scuole, università, si respira l’aria di un paese marcio in un mondo pieno di cose belle. Quante mattine non si ha voglia di alzarsi, perché quante probabilità ci sono che oggi sia diverso da ieri? Quante sere si ha voglia di non andare a dormire per non alzarsi col cattivo umore di chi si sente condannato ad andare in posti dove si sentono sempre le stesse tiritere? Un parlare a vanvera e un sentirsi come nell’alveare dove tutti si danno arie di api regine e il miele che poi ti fanno assaggiare sa di rancido, sa d’ira, sa di livore, e dice niente a quel brulicare di positività, di bisogni brucianti, di buona avventura, che è avere sedici o vent’anni.

C’è un filo, talora, che si dipana in certi incontri dove ci imbattiamo in una parola vera. O in due occhi dove le immagini passano non come una biglia di vetro, non come sull’occhio di un cadavere che riflette e basta, che manda in circolo quel che dice il pensiero medio, il luogo comune, quel che passa per la situazione in cui siamo tutti Grandi Fratelli, ma alla fine capisci che i fratelli sono finti (perché il “conoscerci meglio” e il “dialogare” e il “rispetto” e le “buone emozioni” hanno il solo scopo di buttarti fuori, renderti oggetto di un gioco, mezzo di intrattenimento tra un passaggio e l’altro di un affare pubblicitario).

Due occhi. Sì, ma di quella e di quello lì. Insomma, ci siamo capiti.
Ecco, adesso che cominciamo a essere vecchi e mai come adesso sentiamo così falsi il maestro dell’attimo fuggente e la maestra dell’impossibilità ad aderire, muovere un passo, dire sì al certo, al vero, a due occhi; adesso che quarant’anni sono passati dacché iniziò la demolizione della scuola e dell’università, del sapere e della conoscenza; adesso che si è sedimentata l’istruzione di una razza di umanità forgiata su legalismi disumani e su scienze a prescindere dall’essere umano, e sul buttarsi via; adesso che ti dicono che il bello del corpo e dell’avventura dello spirito umano possono andare a farsi fottere perché il corpo è mio (ma quale tuo, buonanotte e sogni d’oro) e lo spirito è un burlone narciso (e mi piaccio di più se mi vedono o se non mi vedono?), c’è da fare qualcosa, ribellarsi, agire, incominciare non più a subire. Né il discorsetto iroso e moralizzante, né la prosopopea, il parlare a vanvera, l’istruzione a farsi padroni e opinionisti di tutto, che una scuola uguale per tutti e un intrattenimento tv che ci omologa in tutto, ci mettono dentro come regola per essere considerati buoni cittadini. Facendoci diventare presuntuosi e annoiati, come sono presuntuosi e annoiati certi vecchi reduci o certe nuove star.

La rivoluzione che vi attende
Non si può più dire addio ai sedici o vent’anni, dire “signorsì”, “agli ordini”, “siamo tutti progressisti in fotocopia”, “alé sballiamo”. Non si può più arrendersi all’indifferenza seriale, all’indignazione da Iene, alla celebrazione delle ideologie che spingono a ripetere tutto falso, violento, uguale. Ecco, ragazzi, la rivoluzione che vi attende, nelle scuole e nelle università, quarant’anni dopo che la rivoluzione fu, a detta di Pier Paolo Pasolini, «la rivoluzione dei ragionieri e degli ingegneri che si scannano tra loro».

Se non vi basta un pugno di sabbia
Aria, ragazzi. Dite che la ricreazione è finita e che volete applicarvi sul serio a capire di testa vostra le cose. Dite che, si tratti di chiesa o di aborto, di politica internazionale o di storia patria, non vi bastano più le frasi prefabbricate, la critica pregiudiziale, le formule vuote, le ingiurie scaricate addosso a chi la pensa diversamente. Dite che sono loro i secondini delle vostre menti e i becchini della vostra umanità. Loro chi? Quelli che vi tengono attaccati alla corda di idee negative come si tiene attaccato un somaro. Quelli che non permettono che il vostro incedere vada oltre il perfetto cerchio di un parterre da circo: un po’ di pacifismo, il solito antiamericanismo, quattro ingredienti per un complotto sotto le Torri Gemelle, il “Vatican-Taliban” che, ci potete scommettere (capite cosa vuole dire che le parole dette a vanvera solo il Male?), perseguita le donne proprio come fanno i talebani in Afghanistan e… fanculo. Fanculo le parole a vanvera.

Fanculo le canne, l’ecstasy e il sesso obbligati. Fanculo lo stordimento, l’intolleranza, i manettari, l’industria del ’68, il veterofemminismo. Fanculo la storia in bianco e nero, il beato Galilei e il diavolo di un papa, le crociate cattive e il multiculturalismo tanto buono da farci il sugo quando viene Natale. Fanculo gli gnè gnè… e poi, tornati a casa, non rimane in tasca che sabbia, un pugno chiuso di rabbia, un palloncino surrogato dell’amore, uno spinello per sognare tanto. Fanculo la catena di produzione di umanità ridotta a cerino acceso per lo spettacolo altrui. Fanculo i cattivi maestri.

Alla ricerca di maestri e fratelli
Non è mai stato vero quello che sta scritto in quella lapide che taluni presunti progressisti intellettualoni vi citano ogni tanto perché non hanno mai preso sul serio la possibilità di usare l’unico proiettile che sta nella vita, il solo colpo in canna che abbiamo. No, non è vero quello che sta inciso sulla lapide di Paul Nizan, «avevo vent’anni, non dite che questa è l’età più bella della vita». Sedici o vent’anni. Queste sono le età più belle. Bisogna volerci bene però, e amare la ragione e i desideri veri che il buon Dio ci ha messo in corpo, non come ammasso da consegnare a ideologi e cattivi pensieri, ma come vita umana cercando maestri, padri e fratelli di strada al destino. Maestri che fanno alzare la testa e padri che fanno diventare grandi. E fratelli con cui camminare insieme, più certi e più sicuri. Maestri come un papa molto esile, padri come un giornalista molto grosso. Fratelli come il tuo compagno di classe, che non vive solo per denunciare e rinviare la felicità a un futuro migliore, ma che ti propone qualcosa la cui felicità promessa si può cominciare a sperimentare già ora. Fratelli come può essere fratello e sorella una madre che ti segue con la coda dell’occhio anche se non ti dice niente, ma tu sai che lei c’è, quel cuore c’è, quel pensiero c’è e ti fa crescere.

Entrare nel mondo a testa alta
Guardare il mondo pieno di cose belle e dire “sì”, ascoltare chi lo racconta, seguire chi ci si è incamminato a testa alta, entrarci con la propria testa e il cuore al posto giusto. E lasciare che vada a farsi fottere tutto il resto che parla a vanvera dal punto più lontano della vita, per strapparti il cuore e mettere la tua testa al servizio di una vita piena di “no”. Scriveva Pasolini: «In questo mondo che solo compra e che disprezza, il più colpevole sono io, inaridito dall’amarezza ».

Via, ragazzi, da questa amarezza mortifera che appesta l’aria. Via dalla presunzione che esplode come una bolla d’aria nell’aria del niente. Ben venga il tempo in cui i cuori si infiammano.

Postilla. Naturalmente non vi ho scritto, cari sedici-ventenni, perché qualcuno di voi magari poi mi votasse nel collegio senatoriale di Roma, dove mi candido per sostenere la buona battaglia di Giuliano Ferrara pro moratoria sull’aborto e pro cultura della non indifferenza alle intenzioni della vita. Bisogna avere 25 anni per votare il Senato, quindi voi siete esclusi. Mentre io, visto che Giuliano me l’ha chiesto e visto che Giuliano è un fenomeno, il fenomeno più scandalosamente interessante che ci sia oggi in circolazione, mi sento libero di rischiare qui e ora, nelle impreviste circostanze che mi si presentano, il giudizio che vi ho testé balbettato. Ciao.

Nessun commento: