martedì 27 marzo 2007

DIETRO LA CROCE


DIETRO LA CROCE
Di MONS, Massimo Camisasca 09/03/2007


I

La Via crucis è un’esperienza, è perciò una strada di conoscenza. Attraverso di essa, percorrendola passo passo, senza premura, senza cedere alla distrazione, chiedendo la grazia della immedesimazione, veniamo a conoscere chi è Dio e chi è l’uomo.
Dio mi appare in tutta la terribilità del suo amore. Ma non posso rinunciare a nessuna delle due sottolineature che l’esperienza di Dio, vissuta sulla via crucis dell’esistenza, mi porta a fare. Dio è amore, perciò è somma corrispondenza, pienezza incommensurabile, dolcezza senza fine (cfr. Sal 15, 11). Ma lo è secondo una sua misura e attraverso una sua strada, le strade della sua libertà e della nostra che ci rende simili a lui. Il suo amore è terribile, proprio perché è amante della nostra libertà, non impedisce il nostro male, ma infine da esso vuol trarre il bene.
Ci lascia percorrere le nostre strade lontane da lui, ma poi interviene sempre e continuamente per riprenderci dall’abisso del nostro niente.
Così nella via crucis Dio appare come amante e l’uomo come amato, come ricercato al fondo del suo abisso: anche se andassi in una valle oscura, tu sei con me (cfr. Sal 22, 4).

II

Nella Via crucis, abbiamo meditato nella scorsa stazione, ci è posta davanti la realtà di Dio e dell’uomo, di Dio come amante e dell’uomo ricercato da Dio, che però si sottrae a lui: la folla, i soldati, Giuda, Pietro, gli altri apostoli, Pilato, Erode; l’uomo che bestemmia, l’uomo che tradisce, l’uomo che ha paura, che non capisce, che fa dell’ironia orribile, l’uomo nella sua mediocrità bestiale.
Eppure questo quadro, certamente vero, non è completamente tale. Non solo perché c’è Maria, ci sono le altre donne, c’è Giovanni, il Cireneo, la Veronica, e più avanti il soldato e il ladrone che si convertono. Il bene e il male, il dolore e la pace, la tragedia e la speranza, la fede e l’incredulità sono intrecciati. Bisogna sempre rileggere la parabola del grano e della zizzania.
Ma c’è una ragione più profonda cui dobbiamo attingere, un’esperienza più radicale cui dobbiamo guardare in queste ore: è l’esperienza di Gesù. Egli soffre patisce, muore per noi, per me. Egli muore a causa del mio peccato, ma anche per cancellarlo, per svuotarlo, per far apparire tutta la menzogna, il vuoto, la meschinità, il nulla che lo costituisce. Gesù prende su di sé tutto il male per svuotarlo dall’interno, sconfigge così la morte, entrando dentro di essa.
Pilato dice: «Ecco l’uomo», volendo dire: «Ecco il vostro uomo, è già molto conciato, non vi basta?». Per il Vangelo invece la frase di Pilato ha un altro inconsapevole e ben più profondo significato. Vuol dire: questo è l’uomo, questa è la strada per ogni uomo, la strada che ogni uomo deve seguire.

III

La strada che ogni uomo deve seguire, così concludevamo la meditazione precedente. Ma quale strada? Cosa appare in Gesù, nel Gesù della passione e della morte e della resurrezione?
Appaiono il mistero di Dio e dell’uomo intrecciati assieme, dicevamo all’inizio. Soffermiamoci ancora un momento sul mistero dell’uomo, guardato dal punto di vista nell’esperienza di Gesù nella via crucis. Gesù è un innocente. È l’innocenza. In lui non c’è nessun interesse, se non il bene dell’altro, la felicità, che l’altro sia. E questo è vissuto da lui in senso totale. Accetta di morire perché l’altro sia, accetta di subire in silenzio tutto – quel silenzio che è una delle note più atroci e più rivelatrici di questi giorni di passione –, anche le accuse più volgari, più ingiuste e infanganti, perché, attraverso la sua obbedienza, il Padre salvi l’uomo.
«Amate i vostri nemici» (Mt 5, 44) si rivela così la parola più profonda del vangelo. Padre, perdona loro perché non sanno ciò che stanno facendo: non è forse la descrizione del nostro peccato? Della sua ignoranza? Della sua barbara superficialità?
Attraverso la via crucis si illumina il mistero del dolore innocente, il dolore di milioni di bambini ammalati, violentati, stuprati, il dolore dei popoli e delle nazioni, il dolore delle malattie, della violenza, delle morti, il dolore della follia, della violenza, della solitudine, delle distanze e delle incomprensioni... Il dolore dell’uomo trova nell’uomo dei dolori la chiave per essere almeno accostato, se non accettato. Volesse il cielo per ottenere da Dio salvezza.
Enigma insondabile e fino alla fine per noi ultimamente misterioso, manifesta però già da ora qualche raggio di luce, che si fa intensa e quasi abbagliante in certe figure, in certi santi, in talune loro parole, manifestazioni, consapevolezze.
Il dolore strumento di salvezza, di purificazione, di assimilazione a Cristo, alla vita, perciò, e infine alla gioia. Come ha scritto san Paolo nella sua frase più conclusiva: «Sovrabbondo di gioia nelle mie traversie» (cfr 2 Cor 7, 4).

IV

Partecipare, non solo assistere. Sembrerebbe questa una tentazione, un voler tentare Dio, la sua misericordia che ci ha risparmiato finora tante prove (anche se non tutte). Eppure, proprio nella Via crucis, comprendiamo, sperimentiamo che di fronte a Gesù, all’abisso sconfinato della sua affermazione positiva di noi, di me – non si può restare soltanto spettatori. Il fascino del suo volto sputacchiato, pieno di sangue, dei suoi occhi pieni di dolcezza e di accusa assieme, delle sue parole... Il fascino del suo essere senza misura dalla mia parte come nessun padre e nessuna madre possono essere... Quel fascino mi attira e mi chiede di accettare che lui entri, entri nella mia vita. È il suo desiderio intenso espresso all’inizio dell’Apocalisse. Ma quando entra devo consegnargli le chiavi di casa, devo accettare che mi porti dove vuole lui, attraverso le strade che lui sceglie per me. Arrendersi a lui, accettare di essere amato, lasciarsi amare... possono sembrare frasi romantiche, ma per chi le vive hanno la durezza, la freschezza, l’intensità della vita vera, della vita vissuta.
Lasciare che Lui abiti in me. Lui entra con molta discrezione, ma, se lo permetto, con molta determinazione. Entra ogni istante attraverso un’infinità di porte e finestre, soprattutto attraverso la preghiera, la prova, l’amicizia. Sono le sue strade preferite. I sacramenti sono parte della preghiera. Così, a poco a poco, si scopre che la nostra mentalità e il nostro cuore sono cambiati.
Si sviluppa una immedesimazione che diventa subito affetto, condivisione di interessi (gli interessi di Gesù, del suo Regno, della sua Chiesa diventano i miei).
A poco a poco ci si trova come sulla riva di un oceano, in cui ci si introduce. Eppure si è sempre sulla riva. Perché il suo amore è infinito, come la beatitudine.

V

I vangeli guardano la morte dal punto di vista della resurrezione, dopo la resurrezione. Tutti, non solo il vangelo di Giovanni. Guardano dal punto di vista della fede, della esperienza del Gesù risorto. Anche noi dobbiamo guardare alla vita nello stesso modo. Guardare alla vita senza essere scandalizzati dal male, dal dolore, dalla morte. Tutto ciò non elimina la paura, non cancella le difficoltà, i giorni duri, bui, la stanchezza del vivere... Ma áncora a un’ultima ragionevolezza buona dell’esistenza che è il frutto più importante che la fede ottiene per l’uomo.
Fides, mundi lumen. Non possiamo staccarci da questa immagine del mondo in cui brilla la luce. Non possiamo negare che la vita sia una battaglia, ma è una lotta da cui siamo certi di uscire vincitori, «In virtù di Colui che mi ha amato» (cfr. Rm 8, 37). «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8, 31), «Come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?» (Rm 8, 32). «Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» (Rm 8, 35).

Dobbiamo chiedere a Dio la grazia che questa certezza della fede diventi in noi esperienza dell’amore, esperienza della roccia, su cui costruire la nostra casa.


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