lunedì 10 marzo 2008

LAURA HA SEGNALATO LA RECENSIONE DI QUESTO FILM


....l’aspetto più innovativo e drammatico del film è il suo sguardo, limitato eppure acuto. Con cui riesce ad afferrare quel che da “sano” non era riuscito a vedere, tanto da riappassionarsi alla sua vita. Dopo film che hanno esaltato l’eutanasia, da “Mare dentro” a “Le invasioni barbariche”, la storia di un uomo che ha coraggiosamente affrontato il suo destino fino in fondo.....

Recensione di "Lo scafandro e la farfalla"

Lo scafandro e la farfalla (Le scaphandre et le papillon)
(2007, Francia)
Genere: drammatico biografico
Durata: 112'
Regia di: Julian Schnabel
con Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Marie-Josée Croze

Valutazione:
1995: Jean-Dominique Bauby è il caporedattore della rivista di moda Elle. Separato, tre figli, un’amante con cui ha un rapporto conflittuale, è un uomo frenetico e (apparentemente) sicuro di sé. Nel pieno vigore, a 43 anni, un ictus lo paralizza completamente: è una sindrome rara, chiamata “locked-in syndrome”. Dopo settimane in coma profondo, Bauby si sveglia in ospedale completamente paralizzato, a eccezione della palpebra sinistra. Non si muove, non parla, per mangiare o respirare ha bisogno di macchinari o di assistenza. Mentre la sua mente riprende a funzionare perfettamente, e rischia di impazzire.


All’ultimo festival di Cannes fu una delle emozioni più forti. Di più: fu un’esperienza – umana, visiva, sensoriale – sconvolgente. “Lo scafandro e la farfalla”, il film realizzato in Francia dal regista e pittore americano Julian Schnabel (premiato per la miglior regia sulla Croisette), è riuscito a restituire la drammaticità e la speranza della vera storia di Jean-Dominique Bauby. Caporedattore della rivista di moda Elle, Bauby era uomo brillante, spregiudicato, amante delle belle donne e delle auto sportive. Due figli dalla ex moglie, un rapporto conflittuale con la donna con cui conviveva, era l’emblema dell’uomo moderno frenetico e (apparentemente) sicuro di sé. Nel pieno vigore, a 43 anni, gli accade (siamo nel 1995) il fatto che stravolge la sua vita: un ictus lo paralizza completamente. Si tratta di una sindrome rara, chiamata “locked-in sindrome”, che dopo una prima fase in coma profondo blocca tutto il suo corpo, a eccezione della palpebra sinistra. Bauby non si muove, non parla, per mangiare o anche respirare ha bisogno di macchinari o di assistenza. Mentre la sua mente riprende a funzionare perfettamente, e rischia di impazzire. Si può voler vivere così?
Il film di Julian Schnabel è fedele trasposizione del libro omonimo di Bauby, che uscì pochi mesi dopo la sua morte, due anni dopo l’ictus. Un libro in cui raccontava la sua esperienza e che fu “scritto” grazie a un’assistente che gli leggeva , con un sistema basato sulla lettura di un elenco di lettere e sul movimento della palpebra sana: sbattendo una volta la palpebra diceva sì, due volte diceva no. Sempre con un battito di ciglia, fermava l’assistente su elenco di lettere dell’alfabeto che gli veniva recitato. Così poteva comporre le parole prescelte, segnare gli spazi e le correzioni. Sistema complicato ed estenuante, con il quale dettò per prima cosa (così vediamo nel film) un semplice “Voglio morire”.
Schnabel, che esordì da regista con il biopic Basquiat per poi affermarsi con Prima che sia notte con Javier Bardem, riproduce le difficoltà fisiche di Bauby con uno stile nervoso e originale. All’inizio, quando il protagonista (interpretato dall’ottimo Mathieu Amalric) si sveglia dal coma in ospedale, l’immagine è un tondo sfocato, dalla soggettiva di Bauby: quel che vediamo (pochissimo), è quello che lui vedeva. E quando detta i suoi pensieri e le sue frasi (che noi seguiamo con monologhi fuori campo), noi “viviamo” il suo modo di esprimersi: sempre in soggettiva, alla palpebra che si alza e si abbassa corrisponde quel “tondo” che si apre o si chiude (tanto che lo schermo è spesso nero). Quasi come l’oblò di un pesante scafandro da palombaro, che non riesce a impedire il volo della farfalla che è la sua immaginazione.
Poi, man mano riusciamo a vedere anche altro: tutto il suo corpo offeso, le persone da lui amate, chi si occupa di lui. Ma l’aspetto più innovativo e drammatico del film è il suo sguardo, limitato eppure acuto. Con cui riesce ad afferrare quel che da “sano” non era riuscito a vedere, tanto da riappassionarsi alla sua vita. Dopo film che hanno esaltato l’eutanasia, da “Mare dentro” a “Le invasioni barbariche”, la storia di un uomo che ha coraggiosamente affrontato il suo destino fino in fondo.

Antonio Autieri






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