sabato 6 ottobre 2007

AIUTARE UN BIMBO A NASCERE ECCO IL MODO PER APPLICARE LA 194

ven 5 ott
Il lieve calo degli aborti nel 2006, dato da leggere con realismo
di Eugenia roccella
Tratto da AVVENIRE del 5 ottobre 2007
Spesso una donna incinta non aspetta altro che un gesto di accoglienza e solidarietà, la garanzia di non essere sola, di sopravvivere, di poter contare su qualcuno.



I dati sull’aborto relativi al 2006, presentati ieri in Parlamento dal ministro della Salute, Livia Turco, sono stati interpretati da molti come un risultato fortemente positivo. La legge 194 sull’interruzione di gravidanza – si è detto – funziona bene, nel senso che riesce a far diminuire il ricorso all’aborto tra le donne italiane.

Gli interventi abortivi, in questi trent’anni, sono nettamente calati: dunque la prevenzione e l’informazione ci sono state, e hanno avuto i loro effetti. Non vogliamo fare i guastafeste, però per essere obiettivi bisognerebbe ricordare che il tasso di abortività va sempre correlato a quello di natalità: il numero assoluto delle interruzioni di gravidanza dice poco se non viene messo a confronto con quello dei bambini nati.

Secondo i demografi, quando le nascite sono al di sotto del cosiddetto indice di sostituzione (come è il caso dell’Italia, dove ormai nascono meno bambini che in qualunque altro Paese europeo) anche gli aborti scendono a picco. Le gravidanze, insomma, sono talmente poche che quelle non volute diventano sempre di meno.

I commenti favorevoli hanno sottovalutato anche l’aumento vertiginoso di aborti tra le immigrate. È questa la notizia davvero impressionante che emerge dalla relazione: il numero di aborti tra le straniere negli ultimi dieci anni è triplicato. In Italia ormai un aborto su tre è effettuato da donne con cittadinanza estera, e il dato continua a crescere. Ma si può realisticamente parlare di "libera scelta" per donne che sanno che tenere il proprio bambino vuol dire spesso non avere più casa né lavoro? Mentre infatti le motivazioni che portano le italiane a interrompere la gravidanza sono molteplici, spesso legate a fattori culturali (la regione con il maggior numero di aborti è l’Emilia Romagna, tra le più ricche d’Italia), per le straniere sono in grandissima parte economiche e sociali. Sarebbe dunque più facile intervenire per offrire sostegni concreti alla maternità: l’esperienza dei Centri di aiuto alla vita (Cav) insegna che a volte basta davvero poco per far pendere la bilancia dalla parte della vita. Racconta la dottoressa Paola Bonzi, del Cav Mangiagalli di Milano, che nel 2006 il suo centro ha fatto nascere più di 800 bambini, con un budget davvero irrisorio: eppure nel 2007 nemmeno quel piccolo aiuto economico sarà disponibile, perché i fondi (raccolti in gran parte grazie a sottoscrizioni private) sono finiti. Spesso una donna incinta non aspetta altro che un gesto di accoglienza e solidarietà, la garanzia di non essere sola, di sopravvivere, di poter contare su qualcuno. Oggi si pone quindi con vera urgenza il problema della prima parte della legge 194, di cui da tempo chiediamo la piena applicazione.

Prima di tutto servono altri dati. In una recente interpellanza, l’onorevole Luca Volonté ha chiesto al ministro di fornire una serie di informazioni che attualmente non sono incluse nella relazione annuale sull’aborto. È necessario conoscere, per esempio, il rapporto tra i colloqui svolti nei consultori e i certificati emessi. Questo dato, benché necessariamente parziale, è fondamentale per pesare l’efficacia della rete pubblica nell’individuare e rimuovere le cause che portano le donne ad abortire.

Se non riusciremo ad applicare la prima parte della legge 194 sarà difficile continuare a parlare di solidarietà. La prima forma di solidarietà non può che essere quella che permette a un bambino di nascere.

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