domenica 7 ottobre 2007

UNA SECONDA ENCICLICA DI BENEDETTO XVI SULLA SPERANZA


Personificazione della Speranza
Figura femminile coronata di stelle, con lo sguardo rivolto verso il cielo e
le mani sollevate in atto di orazione, è la raffigurazione classica di questa virtù teologale

Chi ha nel proprio cuore questa virtù è un uomo assai fortunato che, attraverso anche momenti di profondo sconforto e di sfiducia non perderà mai di vista la strada da percorrere, né la fiducia in se stesso e nelle sue capacità.



Religione - sab 6 ott
di mons. Tommaso Stenico

Tratto dal blog Umanesimo Cristiano | Tommaso Stenico il 5 ottobre 2007

Dopo la Deus Caritas Est Papa Benedetto sta lavorando a una sua seconda enciclica sul tema della speranza. Lo rivelerebbero alcune agenzie di informazione.
Stavolta al centro della riflessione, dovrebbe esserci, appunto, un’altra virtù teologale: quella della speranza.

In un discorso ai Vescovi messicani, due anni fa, lamentava che «dinnanzi ad un panorama mutevole e complesso come quello attuale, la virtù della speranza è sottoposta a dura prova nella comunità dei credenti».

Se i rumori dovessero essere confermati personalmente ne sarei felice. Sono da sempre “devoto” di questa virtù.

Essa è la seconda delle tre virtù teologali, dette così perché vengono direttamente da Dio e donate all’uomo perché possa essere partecipe della sua natura divina ed è sicuramente, tra le tre, la più misconosciuta.

Infatti, mentre è facile parlare della fede e della carità, farsi capire e capire in quanto sono termini e immagini che fanno parte della nostra formazione culturale durante gli ultimi quindici secoli, per la speranza le cose sono un po’ più difficili.

L’esperienza umana
La speranza sembra far parte di una serie di categorie mentali che non ci appartengono più. La speranza indica qualcosa che deve venire, è l’attesa di un evento che, nella fede, è certo che accadrà, ma dal punto di vista prettamente umano potrebbe anche non accadere.

Il fatto è che la società in cui viviamo ci spinge sempre più verso uno stile di vita pragmatico, utilitaristico, dal riscontro immediato.

La stessa fede, la stessa carità sono - in un certo senso - più comprensibili in quanto più facilmente si possono vedere incarnate in un uomo, in una donna, in una situazione…

La speranza, invece, non lo è, almeno non nell’immediato.

Nell’immediato, quello che promette la speranza non lo si vede quasi mai; la speranza è come quel tesoro nascosto che l’uomo custodisce gelosamente ma non lo utilizza fino a quando non è certo che possa essere utile a se stesso e agli altri.

Chi ha nel proprio cuore questa virtù è un uomo assai fortunato che, attraverso anche momenti di profondo sconforto e di sfiducia non perderà mai di vista la strada da percorrere, né la fiducia in se stesso e nelle sue capacità.

La speranza è, in un certo senso, la più laica delle virtù teologali per il semplice motivo che sperare anche solo in un bene terreno è fonte di speranza nei momenti bui della vita.

L’uomo ha bisogno di sperare. Dal suo primo apparire sulla Terra l’uomo ha sempre cercato di migliorare la propria condizione di creatura di passaggio.

La speranza pone l’uomo nella condizione di vivere: per un amore, per una fede, per un ideale, per la realizzazione dei propri sogni, per quello che volete, ma comunque per qualcosa che migliori la sua condizione morale e materiale (da qualunque punto di vista) e per questo si affanna, lotta, indaga, ricerca…

La sua vita non ha senso se non si dà da fare in qualunque campo: da quello morale a quello scientifico, dal filosofico al materialista, ecc. Perciò, oggi più di ieri, anche il pensiero cristiano deve permeare la società e collaborare con tutti gli uomini di buona volontà alla costruzione di una mentalità nuova.

Ma la speranza è anche necessaria all’uomo per lottare contro il nemico più assurdo e imbattibile (dal punto di vista meramente umano!) che da sempre lo segue passo passo fino all’epilogo: l’idea della morte!

Questa sorella dagli occhi di teschio che san Francesco chiamava sorella nostra morte corporale ha sempre oscurato i sogni dell’uomo; il suo sforzo di creare qualcosa, di trovare nuovi orizzonti, di darsi una discendenza sono sempre stati dettati anche dalla necessità di sconfiggere quest’idea mostruosa che ha sempre popolato i suoi incubi e dalla quale, nonostante tutti gli sforzi, non è mai riuscito a sfuggire.

La speranza è l’ossigeno della nostra esistenza e chi non spera non vive: vegeta. Chi fa uso di droghe quotidianamente ha perso il senso della speranza nella sua vita, pensa che non può cambiare modo di vivere, che nessuno gli vuol bene e che a nessuno può dare un affetto vero; sa che nel suo futuro c’è solo la morte per overdose o per una partita di droga tagliata male, ma non gliene frega niente: non ha paura della morte perché è già morto!

Che tristezza pensare che molti uomini, anche di una certa levatura intellettuale, preferiscono sostenere questi morti viventi fino alla fine (purché non diano fastidio con scippi per le strade e furti negli appartamenti) piuttosto che dare loro un’iniezione di speranza (mi riferisco alle proposte di legge antiproibizioniste che, per fortuna, il Parlamento Europeo, nel mese di settembre 98, ha rigettato).

In conclusione, la seconda virtù teologale, così misconosciuta e incompresa, è l’elemento essenziale della nostra vita, anche solo dal punto di vista umano. Basta guardarsi intorno, nel quotidiano, riflettere solo sulla giornata di oggi che sta per passare per renderci conto di quanto sia vitale la speranza, di quanto sia indispensabile per una vita vissuta veramente.

Sarebbe sufficiente fermare il nostro pensiero su come abbiamo lavorato, su come abbiamo guardato nostra moglie o nostro marito, su come abbiamo parlato ai nostri figli o ai nostri genitori, per capire che tutto quello che facciamo, tutto quello per cui viviamo, tutto il sudore e le lacrime che mettiamo nel nostro vivere, sono retti dalla speranza in una vita migliore, in un affetto vero, in un’azione che rimarrà nella storia affinché possiamo dire a noi stessi, al termine di questa vita: muoio soddisfatto, ho seminato quel che ho potuto e, se anche non ho raccolto, qualcun altro raccoglierà; in ogni caso, la vita che ho vissuto ne valeva la pena!

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