lunedì 8 ottobre 2007

STAMINALI ALTRI DUE SUCCESSI ITALIANI


A Milano e Roma importanti risultati della ricerca che utilizza le cellule adulte • Nel capoluogho lombardo primi trapianti autologhi in pazienti affetti da morbo di Crohn • Nella capitale la scoperta che pazienti colpiti da distrofia hanno una riserva di materiale biologico «sano», capace di differenziarsi in cellule del muscolo da riparare
di Enrico Negrotti
Tratto da AVVENIRE del 6 ottobre 2007




Due nuovi studi italiani sulle cellule staminali confermano le favorevoli prospettive che le cellule adulte hanno nella ricerca di possibili applicazioni terapeutiche. A Milano il Centro trapianti di midollo della Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena ha effettuato i primi trapianti autologhi di cellule staminali in pazienti affetti da morbo di Crohn. A Roma il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ha scoperto che pazienti affetti da distrofia facio-scapolo-omerale (Fshd) hanno nei muscoli che non sono colpiti dalla malattia una riserva di cellule staminali sane, che si sono dimostrate in grado di differenziarsi in cellule del muscolo che andrebbe riparato.

Anche se sono ancora pochissimi casi, i risultati dello studio condotto a Milano nel Centro diretto dal professor Giorgio Lambertenghi Deliliers (Università di Milano) in collaborazione con il professor Gabriele Bianchi Porro dell’ospedale «Luigi Sacco» di Milano, aprono nuove prospettive per la cura di questa malattia autoimmune infiammatoria dell’apparato digerente. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Gut (del gruppo del British Medical Journal), che è organo ufficiale della «British Society di Gastroenterology» e ha riguardato quattro pazienti affetti dal morbo di Chron non più trattabili né chirurgicamente né farmacologicamente.

La grave patologia dell’apparato gastrointestinale è infatti una malattia autoimmune, in cui le difese immunitarie dell’organismo non riconoscono più una sua parte (in questo caso l’apparato digerente) e la attaccano. La terapia messa in atto dai ricercatori italiani è consistita quindi nel prelevare cellule staminali emopoietiche (quelle che danno origine alle cellule del sangue) dal sangue periferico dei pazienti, che poi sono stati sottoposti a immunosoppressione (per abbassare il grado di reazione del sistema immunitario) e poi trapiantati con le loro cellule staminali, nell’intento, spiega la nota del Policlinico, di «resettare» i linfociti regolatorim cioè le cellule che regolano il sistema immunologico. Gli obiettivi della sperimentazione erano due: verificare che il mix farmacologico utilizzato per l’immunosoppressione non fosse tossico e dimostrare l’efficacia clinica del trapianto.

Entrambi sono stati raggiunti: è stata infatti raggiunta la remissione della malattia completa nell’80% dei casi. E a 16 mesi di distanza dall’intervento, gli stessi pazienti hanno mostrato la stessa remissione sia per i sintomi clinici sia attraverso l’esame endoscopico. «Questi risultati – osserva la nota del Policlinico di Milano – hanno spinto altri ospedali italiani a unirsi nella ricerca: ad oggi sono già raddoppiati i pazienti trattati con conferma dei risultati».

Riguarda sempre le cellule staminali, ma del sistema muscolo-scheletrico, la scoperta dei ricercatori dell’Università Cattolica di Roma del Dipartimento di Neuroscienze, diretto dal professor Pietro Attilio Tonali, dove diverse centinaia di pazienti affetti da Fshd sono seguiti dal professor Enzo Ricci, coautore dello studio.

Il lavoro, di cui sono primi autori Roberta Morosetti e Massimiliano Mirabella e che è stato pubblicato online sulla rivista «Stem Cells», dimostra che nei pazienti affetti dalla distrofia facio-scapolo-omerale (Fshd) sono presenti cellule staminali in grado di differenziarsi in tessuto muscolare e moltiplicarsi. La patologia presenta caratteri variabili: i pazienti in carrozzina sono il 5-10% del totale, ma c’è una grande variabilità nel deficit di forza muscolare, anche in soggetti della stessa famiglia.

L’obiettivo delle ricerche è quindi quello di poterle utilizzare per trapianti autologhi per pazienti di questa malattia genetica degenerativa, della quale non è ancora stato individuato l’agente causale. Spiegano infatti i ricercatori che la distribuzione a mosaico della malattia, cioè la coesistenza nello stesso paziente di muscoli affetti e di muscoli apparentemente normali faceva presupporre la presenza di cellule staminali isolate da muscoli non colpiti in grado di diventare una risorsa per trapianti autologhi «allo scopo di migliorare la massa e la forza dei muscoli deficitari». Le cellule, prelevate con una semplice biopsia, sono state poi isolate e fatte differenziare in laboratorio verso cellule muscolo scheletriche. È stato verificato che i mesoangioblasti prelevati dai muscoli sani o poco colpiti, mostrano una buona capacità di differenziare in coltura, mentre quelli estratte da muscoli in stato avanzato di malattia si bloccano nella replicazione cellulare. In assenza di terapia disponibili per correggere il difetto genetico, la ricerca apre la strada a nuove possibilità terapeutiche della Fshd. Ma se iniettate nel muscolo mostrano una capacità di spostarsi solo di pochi millimetri, mentre altri esperimenti hanno dimostrato che se iniettate nel circolo arterioso possono raggiungere i muscoli colpiti da malattia e favorire la rigenerazione muscolare. Le possibili terapie devono ancora aspettare i trial clinici (anche se dell’assenza di tumorigenicità ci sono già prove). Ma è certo che problemi di rigetto non insorgeranno perché le cellule sono prelevate allo stesso paziente.

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