mercoledì 17 ottobre 2007

VERBUM CARO FACTUM EST

La strana familiarità di un annuncio in latino tra le chiacchiere dei dj
Religione - lun 15 ott
di Marina Corradi

Tratto da TEMPI del 11 ottobre 2007



È mezzogiorno di domenica. In auto accendi la radio, giri la sintonia, e tra lo squaccherio dei dj e degli spot incroci la fine della Messa da San Pietro. Nella inflessione tedesca di Benedetto XVI, le ultime preghiere in latino.

Dapprima non te ne accorgi. Ma un momento dopo lo sgranarsi di quella lingua antica ti seduce, come una musica bella che venga da una finestra e che tu, passando per strada, ti fermi ad ascoltare. «Angelus Domini nuntiavit Mariae».

Che cosa singolare, nella babele di voci strillanti e vacue dell'etere, lo straordinario annuncio: l'angelo e la fanciulla. Dio che domanda a una ragazzina di accoglierlo.
«Fiat mihi secundum verbum tuum».
La semplicità audace di una bambina che segue il padre: vengo con te, ovunque tu vuoi portarmi. E poi l'inaudito, l'assurdo:
«Verbum caro factum est».
Il Mistero è diventato carne. Già palpita, invisibile, nel ventre di una donna. E quante volte le hai sentite queste parole. Ma perché in latino - intercettate per caso mentre cercavi un giornale radio - ti penetrano come una lama, come fossero nuove?

La voce di Benedetto XVI, teutonica nelle gutturali metalliche eppure benevola, prega per i morti.
Requiem aeternam dona eis Domine. Requiescant in pace.
Cos'è, questo sentirti come quando torni a casa dopo essere stato in un paese straniero? Come quando arrivi all'aeroporto e riconosci l'inflessione dei tuoi posti, e allora sai che sei tornato, e sei contento. Requiescant in pace. Perché più che in italiano queste parole danno un po' di pace anche a te?
Lingua di casa, di una casa antica e dimenticata, e tuttavia nei secoli entrata in una comune memoria - generazioni di padri e figli hanno pregato prima di noi così.
E perché, ti domandi, tanto scandalo per la Messa in latino? Che cosa dietro questa avversione, se non voglia di una modernità omologata, quasi vergogna della propria storia, o ansia di assimilarsi, di essere anche nella forma "integrati" alla cultura "corretta"?

Urbi et Orbi, la voce del Papa.
«Precibus et meritis beatae Mariae semper Virginis, beati Michaelis Archangeli, beati Ioannis Baptistae et sanctorum Petri et Pauli et omnium Sanctorum»
(tutti schierati, glorioso esercito di santi, e Michele con la spada fiammeggiante). «Misereatur vestri omnipotens Deus».
Dio onnipotente abbia misericordia di voi. Non è forse la stessa cosa, in italiano? Sì, eppure come non sentire l'eco interiore di qualcosa che hai dentro da tempo immemorabile? I neonati, dicono, riconoscono la madre dalla voce: quella voce familiare già nel buio del ventre. Dopo duemila anni di Ave Maria in latino, nel distratto ascoltatore su un'auto per le strade di Milano un sussulto: questa lingua, non l'ho mai parlata, ma la conosco. Ed è bellissima. (La bellezza seduce, ma, anche, salva).
Poi la radio perde la sintonia, premono le voci ridanciane dei dj. Rumore, per distrarsi. Noi informati di tutto, e dimentichi dell'essenziale. Verbum caro factum est, nella nobiltà splendente del latino, depositato come una cosa da niente, come un seme nell'etere di una domenica mattina.

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