sabato 8 marzo 2008

SE IL MEDICO NON IDENTIFICA IL LAMENTO

.....La fiducia incrinata, la solidarietà inter­rotta. A un convegno a Milano un famo­so anziano oncologo semiparalizzato da un ictus ha detto ai colleghi: 'Solo ora che sono malato ho capito quanto è ne­cessario ascoltare i malati'. Lo ha detto con la poca voce che la sua malattia gli lasciava. I suoi allievi hanno applaudito. Ma chissà, ci siamo chiesti guardando le loro giovani facce di uomini sani sulla via di una brillante carriera, se avevano ca­pito davvero.....

La morte di angela, incinta, 23 anni
di Marina Corradi

AVVENIRE del 7 marzo 2008

La storia di Angela Scibilia, la ragazza calabrese incinta morta all’ospedale di Polistena dopo che per giorni, prima a casa e poi in una clinica privata, i me­dici non si erano accorti che aveva una forma acuta di diabete, è una di quelle tragedie di malasanità che con sinistra frequenza si ripetono, soprattutto al Sud.

Ma è una storia che nella sua gravità pa­re fatta apposta per infrangere quell’in­dignazione di breve durata, quella sorta di addolorata rassegnazione con cui leg­giamo di queste vicende di bambini che escono morti dalla sala operatoria in cui erano entrati per togliere le tonsille – con la promessa di un bel gelato, il mattino dopo. E certo, casi statisticamente rari, zero virgola zero uno per centomila, sen­nonché quello zero virgola zero uno per centomila è un figlio, e quell’errore ci ag­ghiaccia, perché tutti abbiamo dei figli.

Forse che la medicina ha promesso di es­sere infallibile? No, ma l’errore di Villa E­lisa a Cinque Frondi sembra incredibi­le: per giorni Angela, al secondo mese di gravidanza, si è lamentata di stare sem­pre peggio, e il ginecologo a dire: è de­pressione, o addirittura: fa i capricci. Ri­coverata in casa di cura, l’hanno quindi trasportata in ospedale, dove finalmen­te le hanno trovato un tasso di glicemia altissima. È morta poco dopo. Un esame elementare, un errore strabiliante – di quelli, per intenderci, che nei vecchi compiti di scuola un professore avrebbe segnato con un solco di matita blu da bu­care la carta. Ma non era un compito in classe, e una ragazza di 23 anni è morta insieme alla creatura di due mesi che le cresceva nel ventre.
Cinque medici di quella clinica ora sono indagati per omicidio colposo. Ci imma­giniamo già il faldone del processo, le carte delle perizie che si aggiungono e col tempo vanno ingiallendo in un ar­madio di un tribunale del Sud. Se colpe­voli, verranno condannati? Dovranno pa­gare un risarcimento? Non sarà niente, comunque, in quella casa nuova di gio­vani sposi rimasta silenziosa e vuota.

Ma, oltre al privato dolore, c’è una di­mensione pubblica in fatti come questo. C’è un urto, come un pugno in chi ap­prende una simile storia. Il trauma ri­guarda il rapporto fra paziente e medico, legame antico e fondamentale. Nelle re­lazioni dei medici con questa donna qualcosa è accaduto: lei soffriva e si la­mentava, e i medici non riconoscevano l’oggettività del suo dolore. Parlavano di depressione o addirittura di capricci. L’antica, eterna domanda del malato al medico in quella stanza è rimasta ina­scoltata, fino alla corsa affannata in o­spedale, fino a quando è stato tardi.

Un errore che ha dell’incredibile. Ma col­pisce, soprattutto, il non avere, quei me­dici, ascoltato, 'creduto' la paziente. Lei ripeteva 'sto male' e quelli, sordi. Che molti medici 'non ascoltino', o che a­scoltino distrattamente, o che ascoltino solo ciò che compete all’area ristretta del­la loro specializzazione, è ben noto la­mento tra pazienti nelle corsie d’ospeda­le, e nelle sale d’aspetto. Ed è un lamento che cresce. È un portato, anche, della tec­nologia: «Guardano la Tac, e non chiedo­no nulla».

Il rapporto medico-paziente da anni è al centro di una forte conflittualità. Il numero delle cause per malpractice in dieci anni in Italia è aumentato del 184 %. I premi delle polizze assicurative contro gli infortuni professionali sono aumenta­ti del 230%. Le cifre di un rapporto entra­to in crisi. Pazienti diffidenti con la carta da bollo in tasca. Medici ridotti alla 'me­dicina difensiva': cioè il paziente è sano, ma, a scanso di guai, faccia venti esami.

La fiducia incrinata, la solidarietà inter­rotta. A un convegno a Milano un famo­so anziano oncologo semiparalizzato da un ictus ha detto ai colleghi: 'Solo ora che sono malato ho capito quanto è ne­cessario ascoltare i malati'. Lo ha detto con la poca voce che la sua malattia gli lasciava. I suoi allievi hanno applaudito. Ma chissà, ci siamo chiesti guardando le loro giovani facce di uomini sani sulla via di una brillante carriera, se avevano ca­pito davvero.


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