.....La fiducia incrinata, la solidarietà interrotta. A un convegno a Milano un famoso anziano oncologo semiparalizzato da un ictus ha detto ai colleghi: 'Solo ora che sono malato ho capito quanto è necessario ascoltare i malati'. Lo ha detto con la poca voce che la sua malattia gli lasciava. I suoi allievi hanno applaudito. Ma chissà, ci siamo chiesti guardando le loro giovani facce di uomini sani sulla via di una brillante carriera, se avevano capito davvero.....
La morte di angela, incinta, 23 anni
di Marina Corradi
AVVENIRE del 7 marzo 2008
La storia di Angela Scibilia, la ragazza calabrese incinta morta all’ospedale di Polistena dopo che per giorni, prima a casa e poi in una clinica privata, i medici non si erano accorti che aveva una forma acuta di diabete, è una di quelle tragedie di malasanità che con sinistra frequenza si ripetono, soprattutto al Sud.
Ma è una storia che nella sua gravità pare fatta apposta per infrangere quell’indignazione di breve durata, quella sorta di addolorata rassegnazione con cui leggiamo di queste vicende di bambini che escono morti dalla sala operatoria in cui erano entrati per togliere le tonsille – con la promessa di un bel gelato, il mattino dopo. E certo, casi statisticamente rari, zero virgola zero uno per centomila, sennonché quello zero virgola zero uno per centomila è un figlio, e quell’errore ci agghiaccia, perché tutti abbiamo dei figli.
Forse che la medicina ha promesso di essere infallibile? No, ma l’errore di Villa Elisa a Cinque Frondi sembra incredibile: per giorni Angela, al secondo mese di gravidanza, si è lamentata di stare sempre peggio, e il ginecologo a dire: è depressione, o addirittura: fa i capricci. Ricoverata in casa di cura, l’hanno quindi trasportata in ospedale, dove finalmente le hanno trovato un tasso di glicemia altissima. È morta poco dopo. Un esame elementare, un errore strabiliante – di quelli, per intenderci, che nei vecchi compiti di scuola un professore avrebbe segnato con un solco di matita blu da bucare la carta. Ma non era un compito in classe, e una ragazza di 23 anni è morta insieme alla creatura di due mesi che le cresceva nel ventre.
Cinque medici di quella clinica ora sono indagati per omicidio colposo. Ci immaginiamo già il faldone del processo, le carte delle perizie che si aggiungono e col tempo vanno ingiallendo in un armadio di un tribunale del Sud. Se colpevoli, verranno condannati? Dovranno pagare un risarcimento? Non sarà niente, comunque, in quella casa nuova di giovani sposi rimasta silenziosa e vuota.
Ma, oltre al privato dolore, c’è una dimensione pubblica in fatti come questo. C’è un urto, come un pugno in chi apprende una simile storia. Il trauma riguarda il rapporto fra paziente e medico, legame antico e fondamentale. Nelle relazioni dei medici con questa donna qualcosa è accaduto: lei soffriva e si lamentava, e i medici non riconoscevano l’oggettività del suo dolore. Parlavano di depressione o addirittura di capricci. L’antica, eterna domanda del malato al medico in quella stanza è rimasta inascoltata, fino alla corsa affannata in ospedale, fino a quando è stato tardi.
Un errore che ha dell’incredibile. Ma colpisce, soprattutto, il non avere, quei medici, ascoltato, 'creduto' la paziente. Lei ripeteva 'sto male' e quelli, sordi. Che molti medici 'non ascoltino', o che ascoltino distrattamente, o che ascoltino solo ciò che compete all’area ristretta della loro specializzazione, è ben noto lamento tra pazienti nelle corsie d’ospedale, e nelle sale d’aspetto. Ed è un lamento che cresce. È un portato, anche, della tecnologia: «Guardano la Tac, e non chiedono nulla».
Il rapporto medico-paziente da anni è al centro di una forte conflittualità. Il numero delle cause per malpractice in dieci anni in Italia è aumentato del 184 %. I premi delle polizze assicurative contro gli infortuni professionali sono aumentati del 230%. Le cifre di un rapporto entrato in crisi. Pazienti diffidenti con la carta da bollo in tasca. Medici ridotti alla 'medicina difensiva': cioè il paziente è sano, ma, a scanso di guai, faccia venti esami.
La fiducia incrinata, la solidarietà interrotta. A un convegno a Milano un famoso anziano oncologo semiparalizzato da un ictus ha detto ai colleghi: 'Solo ora che sono malato ho capito quanto è necessario ascoltare i malati'. Lo ha detto con la poca voce che la sua malattia gli lasciava. I suoi allievi hanno applaudito. Ma chissà, ci siamo chiesti guardando le loro giovani facce di uomini sani sulla via di una brillante carriera, se avevano capito davvero.
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