giovedì 15 febbraio 2007

ECCO IL DON GIUSSANI CHE NON CONOSCETE



Libero 15 febbraio 2007
Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo l'introduzione del libro "Don Giussani Vita di un amico" di Renato Farina, in uscita per Piemme martedì prossimo, 20 febbraio (190 pp., 13,5 Euro). Il testo, dedicato al sacerdote brianzolo scomparso il 22 febbraio 2005, contiene documenti fotografici ed epistolari inediti. Tra questi, una lettera, scritta dal fondatore del movimento di Comunione e Liberazione, inviata ai "coscritti" del 1922. La missiva è del 1948, e precede di pochi giorni la scadenza elettorale del 18 aprile.

Il testo della lettera è riportato nella pagina a fianco. Lo precede un altro stralcio del libro di Renato Farina, in cui l'autore presenta e contestualizza il documento poi riportato. La missiva è datata 12 aprile 1948: in essa don Giussani, allora 25enne, invita a seguire le indicazioni del Papa e dei vescovi per la prossima scadenza elettorale, una delle più decisive della storia della repubblica. Il tema è di grande attualità: il legame tra i cattolici e le decisioni delle autorità ecclesiali. Giussani usa toni perentori: «Chi non ubbidisce al Papa non può dirsi cristiano».

di RENATO FARINA
Un giorno d'estate del 1995 don Luigi Giussani mi domandò di scrivere la storia di Comunione e liberazione. Mi disse: «La storia del movimento è un miracolo. Il movimento c'è perché Dio ha voluto fare un miracolo dove meno tutti se l'aspettavano. Devi restituire con lo scritto questa sorpresa, lo stupore di un miracolo, come la prima alba». Ci incontrammo molte volte nei mesi successivi. Sei-sette colloqui si svolsero alla presenza di alcuni amici e collaboratori della prima ora, altri furono a tu per tu, dove abitava in via Martinengo o dove capitasse. Ero l'uomo più fortunato del mondo. Potevo accedere quando volevo ad una delle più grandi personalità di quest'ultimo secolo. Mi consentì di leggere suoi antichi appunti, potevo guardare dentro la valigia delle sue cose più belle e riposte. Sono un disgraziato. A un certo punto rinunciai. Ero diventato vicedirettore di Vittorio Feltri al "Giornale" nell'ottobre del 1996, e la pratica fu chiusa. Disse: «Va bene, ma...». Restituii le carte, le agende, i bloc notes con le mie sintesi, non conservai nulla. Mi odiavo. Negli ultimi tempi della sua vita però don Giussani si ricordò di quel progetto (in realtà ogni volta che ci vedevamo scorgevo nei suoi occhi il disappunto e poi il perdono di quella mia fuga per la carriera). Accettò volentieri la pubblicazione di un libro con le interviste "ufficiali" che mi aveva accordato in venti e più anni. Siccome mi vergognavo, e volevo fosse libero di lasciar cadere la cosa, la richiesta gli fu posta da Gisella Corsico e da Alberto Savorana, le persone a lui più vicine e a cui sono ancora grato per quel sì. Scrissi l'introduzione, affastellando in un mosaico confuso episodi e detti vissuti con lui in giro per il mondo. Lo rividi dopo e mi confermò: «Non è questo libro la nostra opera, mi aspetto qualche cosa d'altro da te. Ti ricordi, vero?». Mi ricordo. Ho frugato nella memoria, nei testi disponibili a stampa, in quaderni sepolti in archivi e in bauli. Soprattutto ho tenuto davanti il suo volto, e quello di mia moglie e dei suoi amici (lui è lui ma anche di più: don Giussani è i suoi amici). Quasi ogni giorno, dal febbraio della sua morte, sono andato a guardare, e spero a farmi guardare, da quegli occhi, incorniciati sulla tomba al cimitero Monumentale di Milano, zona Famedio, dove Giussani giace, ma di certo non è immobile. C'è la sua fotografia presa durante la sua ultima intervista, condotta da Roberto Fontolan. C'è l'essenza di don Giussani in quella faccia. Commossa, triste ma contenta, realista e dunque capace di scorgere e di palpare Dio nelle cose, in me e in te, amico che leggi.
Un uomo vivo che non sta mai fermo
Dicevo che non sta fermo, don Giussani. Ad esempio, già al cimitero muta l'ambiente circostante. Cambiare. Trasformare. Rendere più umani noi stessi e dunque il mondo. Quando lo incontrai per la prima volta avevo sedici anni e lui, cinquantenne, mi pareva vecchissimo. Ma leggeva il mio cuore, il cuore di tremila liceali: la voglia di felicità, di baciare quella ragazza e di combattere per i poveri, e gustare la poesia e il cibo, e guardare il cielo, sentire la musica, ed essere amati senza morire. Tutto. Non meno di tutto, e subito, adesso, non nel cielo dopo la morte. Non le regole, ma il senso della vita. E perciò il desiderio di cambiare noi stessi e il mondo. Da sempre l'uomo è stato tutto in questo desiderio. Si capiva che l'unico motivo per cui Giussani stava in mezzo a noi era perché il suo-proprio-suo Gesù Cristo gli aveva comunicato che aveva una risposta buona per noi. Una delle prime cose che gli udii dire, in una "tre giorni" a Pesaro, nel settembre del 1971 fu la citazione di un frammento di un filosofo greco: «Mandaci, o padre Zeus, il miracolo di un cambiamento». Disse: «Pensate... Il primo vagito della filosofia, di un uomo che riflette sul suo destino, è questa mendicanza». Citava a memoria, e mi è rimasto stampato dentro. Non avevo mai trovato conferma. Finché, poco tempo fa, ho recuperato il frammento 38 di Simonide, sesto secolo avanti Cristo: «Dormi bambino, dorma il mare, dorma lo sconfinato male; ma, se è possibile, un cambiamento venga da te, padre Zeus». Il senso religioso, il cuore dell'uomo, il «mazzolin di fiori» (lo chiamò così in una delle conversazioni per scrivere la storia che non ho scritto) non è un fosso da riempire di impalpabile soprannaturale, ma è la domanda innamorata che questa nostra vita materiale, l'amore per la donna, la politica, il lavoro, gli amici, il tempo libero siano utili, abbiano un destino, non siano un giro di giostra per dimenticare il nulla in cui sprofonderemo. «Pulvis et umbra», poetò Orazio. No, che non sprofonderemo nel vuoto. Don Giussani lo scrisse ventiquattrenne all'amico del cuore: «Sei pulviscolo, ma sei mare» (12 dicembre 1946). Questo è l'uomo: un guazzabuglio di finitezza e di immensità. «Cosa c'entra Cristo con la matematica? Con il pullman preso la mattina, con gli occhi della compagna di banco?». Lui fa fiorire le ossa in questo deserto, il Suo lieve giogo ci conduce adesso, qui, ora - in pascoli smaltati di piccoli fiori, che secondo santa Teresa di Lisieux è il modo migliore per immaginarsi il paradiso. Insomma, sto facendo confusione. La stessa di quell'altra introduzione alle interviste.
Anche il Famedio è cambiato
Volevo dire che persino il Famedio del Monumentale di Milano è cambiato grazie a lui. Bisogna sapere che questo bellissimo camposanto progettato dall'architetto Carlo Maciachini a metà Ottocento è stato pensato senza il crocifisso sulle cappelle. Diciamocelo: è un tempio massonico. La morte è greve. I marmi sono lividi. Cercano di far durare nel tempo la gloria, ma si capisce che vince la morte. Nel Famedio giacciono, il piano di sotto rispetto al sarcofago di Alessandro Manzoni, i milanesi illustri degli ultimi secoli. A me piace ricordare che ci sono Antonio Maspes, favoloso corridore su pista, celebre per il surplace, e Giorgio Gaber, il cantautore che anche Giussani amava per quell'ironia triste ma non disperata di fronte alla vita. Tutte quelle tombe, incassate nei muraglioni, erano tetre, immusonite. Poi è arrivato don Giussani. Sulla lapide c'è la foto, e una sua frase, coniata nell'ottobre del 2004, per il pellegrinaggio alla Madonna di Loreto dei suoi ciellini in occasione del ventesimo anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità. «Oh Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza!». L'infinito amato grazie a Dante In quell'ooohhh con l'accento di sospiro, e in quella certezza nella Madonna «di speranza fontana vivace» (Dante, Paradiso), c'è il Gius. Desiderio di infinito, ma questo infinito qui, nella terra, nel sasso. Insomma, la gente porta bigliettini e fiori. Rose, peonie, ciclamini, un rigoglio che sfida il buio di quella specie di tunnel funerario. Ecco, piano piano c'è stato un contagio. In centocinquant'anni mai c'era stato un mazzolino di margherite, al massimo roba di plastica. Ed ora è uno sbocciare davanti a ogni loculo, in modo ordinato, sereno. Ho scritto "il Gius": è stato chiamato presto così dai suoi compagni di seminario. Il primo a definirlo in tal modo è stato il suo amico Ruben Enrico Manfedini, in una lettera sequestrata dai superiori. Era una specie di bollettino di una compagnia clandestina di cristiani, che sorgeva nel gelo ecclesiastico come una fontana zampillante: e qui si torna alla Madonna.
Ideali di gioventù anche da vecchio
L'introduzione finisce subito. Vuole essere un'avvertenza. Questa non è una biografia ufficiale, e tanto meno completa. Ha per me lo scopo di cominciare a pagare un debito verso chi, insieme con mio padre e mia madre, mi ha dato la vita. Scrivere queste pagine è cercare di non sprecarla. E magari spingere qualcuno, per curiosità, ad alimentare un desiderio sepolto. Non è un ricordo, ma il modo con cui riconosco la Presenza che mi ha suscitato la speranza. Così auguro al lettore. Avevo preso nota di una frase, in quel 1995: «Dio permette di rendere il passato strumento per una Sua modalità presente». Cito la lettera che don Giussani, ventitreenne, scrisse al suo amico Angelo Majo, di lui poco più giovane: «"Non rinnegare mai gli ideali della tua gioventù" diceva il marchese di Puena a Carlo V adolescente.i assicuro che la giovinezza è tutta nell'infinità dei desideri, e dei sogni che ora scrollano la tua anima magnifica. Ti assicuro che Lui ci dona la possibilità di realizzarli: e che la nostra giovinezza non cessa mai: in liceo mi dicevano: "fuoco di adolescenza": come mai ora mi è cresciuto?... Perdonami, raccomandami alla Madonna, vivi pazzo - "matto" - con letizia». È il 9 gennaio del 1946 ("Lettere di fede e di amicizia ad Angelo Majo", San Paolo). Firma: «Sempre tuo aff.mo don Luigi». Affezionatissimo a me, affezionatissimo anche a chi tra voi comincerà a conoscerlo adesso.
IL LIBRO
LA BIOGRAFIA "Don Giussani Vita di un amico" di Renato Farina (nella foto la copertina) esce per l'editore Piemme martedì prossimo, 20 febbraio (190 pagine, 13,50 Euro). Il testo, dedicato alla vita del sacerdote brianzolo scomparso il 22 febbraio 2005, contiene documenti fotografici ed epistolari inediti CHI È Luigi Giussani è nato a Desio, in Brianza, il 15 ottobre 1922. Seminarista a Venegono, ha lasciato gli studi teologici per dedicarsi - alla fine degli anni '50 - all'insegnamento nelle scuole superiori (in particolare al Liceo Berchet di Milano). Qui ha dato vita al movimento di Gioventù Studentesca, poi sfociato nel 1969 in Comunione e Liberazione, oggi diffuso in oltre 70 paesi di tutto il mondo. È scomparso il 22 febbraio 2005, dopo un periodo di malattia. I suoi funerali sono stati celebrati due giorni dopo nel Duomo di Milano, dal cardinal Joseph Ratzinger, due mesi prima che fosse eletto Papa. Il libro contiene il testo della predica pronunciata a braccio dal futuro Benedetto XVI SU RETE 4 Domenica prossima, 18 febbraio, alle 17.30 su Rete 4 è prevista una puntata del programma "Vite straordinarie" dedicata a don Luigi Giussani. Lo speciale contiene interviste, filmati inediti e e un'intervista a Don Juliàn Carròn, il sacerdote spagnolo successore di Giussani alla guida di Cl.


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