domenica 25 febbraio 2007

GRAZIE PER LE PREGHIERE(RENDERSI CONTO CHE SENZA DI LUI NON SI PUO' FARE NULLA E' UNA RIVOLUZIONE NELLA VITA)


Se siamo seri con la nostra vita quotidiana, con gli incontri che viviamo, con l’esperienza che facciamo tutti i giorni, vediamo che la verità è domandare, è mendicare
Volevo ringraziare tutti gli amici .In questo periodo molto faticoso..

per la me e la mia famiglia ci siamo sentiti sostenuti dagli amici e soprattutto dai tanti amici.
Ognuno ha invocato un santo, molti di voi mi hanno segnalato letture,molti mi sono stati fisicamente vicini
Mi e' difficile ringraziare uno per uno perche' so di dimenticarmi di qualcuno
Mi piace pero' mettere alcuni nomi che rappresentano la compagnia fisica anche perche' mi sembrerebbe una presenza astratta. Betti, Stella, Lorena, Lorenza e Luca, Ennio,Salvatore e Anna,Laura e Giuseppe,Nico,Miriam,Augusta
Mario e Armanda,Alberto e Ezia,Patrizia e Franco,Cristina e Egidio con Maria,Paolo e Barbara,Rosalba,il gruppo di preghiera di Brusaporto,don Giovanni,Daniela Roberto con i figli,don Fabio,don Antonio,Anna e Paolo,Luisella e Franco,Gabriele ,Agnese,Dorita e Raffaele con Francesco,Andrew,Massimo e Rosaria
i miei figli ,le mie nuore i miei nipoti,Angela e Bruno,le maestre,il parroco di brusaporto,padre Scalfi,i miei fratelli i miei cognati tutti i nipoti e l'unica nonna ROSI,Laura,Emi,Stefano e Esterina....
Un grazie particolare a Padre Lepori ( Abate del monastero di Hautrive)
e a tutti i suoi monaci.Un grazie poi al piccolo Tommaso:la sua nascita mi ha riempito il cuore di gioia e di speranza.



Giovanni ha fatto solo la visita in anestesia ,ci hanno chiamato poi per dirci che la retina non era completamente staccata e che iniziare una serie di interventi su un occhio cosi' compromesso per il momento non ne valeva la pena.
Il rischio poteva essere piu' grande dell'esito (non potevano garantire un esito )
Giovanni non ha mai visto da quell'occhio se non le ombre ,ora vede certamente meno ma l'occhio ha la possibilita' di rimanere al suo posto senza procurargli dolore.
Per noi e' gia' un grande esito,Giovanni puo' riprendere una vita normale (troveremo altre strategie per aiutarlo nelle autonomie)
Anche nel nuovo ospedale abbiamo trovato (dopo un po' di difficolta')una buona accoglienza e abbiamo potuto stare accanto a Gio fino al suo addormentamento.
I medici sono stati gentili e affettuosi riconoscendo che tutto sommato,a volte,
le procedure standard si possono cambiare.
L'anestesista (essendo in pensione ed essendo stato chiamato per Giovanni ci ha potuto far compagnia durante tutto il risveglio)(anche questi sono tutti miracoli per noi)Poter vivere un ricovero piu' famigliare e' certamente piu' facile per tutti.
Fra un mese e mezzo dovra' essere nuovamente controllato (lo fara' la primaria di niguarda che ormai e' diventata una vera amica)
Avevo molta paura e mi ero lasciata prendere dall'ansia e dal panico.
L'incontro con Padre Mauro Lepori, la giornata passata insieme con lui e alcune amiche nel suo convento,le letture dei suoi libri, le preghiere, l'aver provato a toccare tutta la mia miseria,tutto il mio limite ,la mia incapacita' ad abbracciare,
mi hanno permesso di poter gridare "voglio tutto nonostante la mia incredulita'"
qui sotto metto alcuni brani che mi hanno aiutato in questo periodo:

+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù sceso dal monte e giunto presso i discepoli, li vide circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro.
Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li interrogò: “Di che cosa discutete con loro?”. Gli rispose uno della folla: “Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto. Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti”. Egli allora, in risposta, disse loro: “O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me”. E glielo portarono.
Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando. Gesù interrogò il padre: “Da quanto tempo gli accade questo?”. Ed egli rispose: “Dall’infanzia; anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. Gesù gli disse: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”. Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: “Credo, aiutami nella mia incredulità”. Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: “Spirito muto e sordo, io te l’ordino, esci da lui e non vi rientrare più”. E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: “È morto”. Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.
Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: “Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?”. Ed egli disse loro: “Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera”.

Parola del Signore
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Antico Testamento
Io sono con te
Laura Cioni
Passo passo, alla scoperta della figura di Giacobbe. Il rapporto personale con il Mistero, la lotta con Lui e la Sua presenza costante. La mendicanza inconsapevole di Gesù Cristo, volto mite e umile di Dio. Una lettura biblica di padre Lepori, abate del monastero cistercense di Hauterive

Dev’essere proprio un grande aiuto alla memoria vivere a Hauterive (Svizzera), in un monastero cistercense che risale ai primi decenni del XII secolo, fondato da una figlia diretta di Clairvaux, l’abbazia in cui fu abate in quel medesimo secolo san Bernardo.

Il nucleo della costruzione risente, nella chiesa romanica e nel chiostro gotico, delle indicazioni dell’architettura cistercense, semplice e nuda come la preghiera che per tanto tempo ha riempito la pietra; i secoli poi hanno arricchito il monastero con altri edifici barocchi. Singolare l’origine di Hauterive: un signore rinunciò alla vendetta per un grave torto subito e volle quel luogo come segno della grazia del perdono. Ancora oggi i monaci cantano l’ufficio divino in gregoriano.

La sera del 27 febbraio molte persone hanno potuto attingere, per usare il paragone della donna cananea del Vangelo, alle briciole della mensa spirituale di quella vita, ascoltando la meditazione che l’abate di Hauterive, padre Mauro Lepori, ha tenuto nella chiesa di Sant’Alessandro, in centro a Milano, sull’incontro di Giacobbe con il Mistero. Si è trattato di una lettura biblica, la cui caratteristica di semplice profondità non poteva che richiamare l’essenzialità della vita monastica, nutrita dalla parola di Dio e continuamente rivolta verso di essa in un paragone costante con l’esperienza quotidiana di ricerca del suo volto e di amore ai fratelli. Nulla dunque in quella lettura di pedante e di erudito, ma la presenza del respiro della vita a cui tutti gli uomini, anche inconsapevolmente, aspirano.

Isacco e Rebecca
Padre Lepori ha iniziato a raccontare la vita di Giacobbe con la lettura dei versetti del capitolo 25 della Genesi, in cui si narra che Isacco supplicò il Signore affinché sua moglie Rebecca, che era sterile, concepisse un figlio, e fu esaudito: ella rimase incinta di due gemelli, che già nel suo grembo lottavano tra loro, come avrebbero fatto poi, una volta nati, per gran parte della loro vita. All’inizio vi è dunque una sterilità fecondata, ha commentato padre Lepori e un conflitto, che rinnova quello di Caino e Abele. Egli poi si è soffermato su un altro episodio della vita di Giacobbe, ovvero la sua partenza per mettersi alla ricerca della sposa voluta da Dio per realizzare l’alleanza conclusa con Abramo e qui è stato toccato uno dei vertici della meditazione, quando, citando il Vangelo di Giovanni - «Abramo vide il mio giorno e se ne rallegrò» - è stato fatto osservare che qui tutto è teso verso Gesù Cristo.

Nel viaggio si pone l’episodio del sogno di Giacobbe, il momento per lui del passaggio dalla fede dei suoi padri al rapporto personale con Dio. Il Signore lo raggiunge nel momento della sua impotenza, lontano dalla sua patria, solo, di notte, e gli dice: «Ecco, io sono con te». La promessa non è un sogno, ma una presenza per sempre. La risposta di Giacobbe è quella del timore e della venerazione, della sorpresa del manifestarsi del Signore dentro la vita, in un istante che da allora diventa il perno dell’esistenza, perché è il luogo dell’incontro con il Mistero. Allora, sono ancora le parole di padre Lepori, la vita si unifica: «Il Signore sarà il mio Dio» è infatti la risposta di Giacobbe e l’accento posto su questa riduzione a uno, su questa semplificazione è tipicamente monastico e nelle stesso tempo molto in sintonia con una delle ultime affermazioni di don Giussani.

Segnato per sempre

Un terzo punto della vita di Giacobbe è stato posto in evidenza, quello della lotta con Dio, durante il ritorno nelle terre di suo padre. Per tutta la notte egli lottò contro un misterioso avversario, lo vinse, ma rimase segnato per sempre da una slogatura all’anca. Egli lotta per approfondire il rapporto con il Mistero, ne chiede il nome; ma Dio non è una parola, è un volto, uno sguardo, una benedizione. Il nome di Dio si svela in Gesù Cristo. Giacobbe già mendica Cristo, volto mite e umile di Dio, che salva l’uomo fino a soffrire per lui, fino al perdono.nella sua lotta, Giacobbe vince la paura di Dio che alberga nel cuore di ogni uomo, la paura del proprio simile che l’ha ripreso quando si è accorto dell’avvicinarsi di suo fratello Esaù. Ed è qui, all’alba di un nuovo giorno che avviene il miracolo di un insperato cambiamento dei rapporti: la riconciliazione si compie senza intervento dell’uomo, è grazia. Il faccia a faccia con Dio si riflette sui rapporti umani, cosicché la via della pace è la ricerca del volto di Dio.
Da allora Giacobbe pare quasi scomparire come figura singola: diventa padre e popolo, il suo nome stesso si confonde con quello del popolo di Israele, con quello di ogni uomo coinvolto con il mistero di Gesù Cristo.



Una meditazione quaresimale diventa così l’occasione per una rilettura intensa, confortante e vera del proprio percorso umano. 21 Maggio 2003
Incontro con Mauro Giuseppe Lepori
L'abate che ha ispirato il titolo del Meeting 2003

È un uomo che misura molto bene le parole, l’abate di Hauterive, di quelli che costringono gli interlocutori a una profondità insolita nel guardare anche le cose più semplici. Mauro Giuseppe Lepori è stato eletto abate nel 1994, a soli 35 anni, dopo aver studiato filosofia e teologia all’Università Cattolica di Friburgo, nella Svizzera francese. Lepori è già stato ospite del Meeting nel 1998, in occasione della celebrazione del nono centenario dell’architettura cistercense in Italia, dove ha raccontato l’origine misteriosa e affascinante del monastero di Hauterive, fondato nel 1138 da un’abbazia figlia di Clairvaux, il monastero di San Bernardo.
È dal rapporto con lui che è nata l’idea del tema del Meeting 2003: “C’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?”. L’abbiamo incontrato per scoprire da dove è nato questo titolo e per capire meglio perché si tratta di un tema così attuale e interessante.Da dove nasce l’idea del titolo del prossimo Meeting?

E’ ispirata dalla Regola di San Benedetto che all’uomo che si presenta in monastero per diventare monaco cita il Salmo 33 dove si chiede appunto: “C’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?”. Se colui che si presenta risponde “Io”, allora gli si propone tutto il resto della Regola, tutto il cammino alla sequela di Cristo nella comunità monastica. Mi sembra un titolo molto attuale perché riassume il fondamento di ogni cammino di umanità vera nella libertà del cuore che è il desiderio.
Secondo lei oggi c’è quest’uomo che vuole la felicità, che lotta per la sua felicità?

L’importante è che la risposta a questa domanda sia “io”, cioè che di fronte a quella domanda ognuno dica “io”, che ognuno voglia essere lui quell’uomo lì: questo è il vero problema, perché se io non divento quell’uomo che desidera la vita e brama giorni felici, a me non serve a niente, per esempio, che il Papa sia così grande, non servirebbe neanche che Gesù Cristo fosse venuto, morto in croce e risorto. L’importante è capire come la risposta più importante sia “io”: “io”,evidentemente, non da solo, ma che questo desiderio lo assuma e lo viva per la verità della mia umanità e di conseguenza per la verità di tutta l’umanità del mondo. Che il mondo sia diverso dipende da me, dalla domanda di ognuno di noi. Quando si capisce che la verità della vita è domandare, perché la salvezza viene da un Altro, si capisce anche quanto è importante la domanda, il desiderio, di ognuno. Infatti il Papa chiede a ognuno di pregare, non lo chiede ai solo monasteri, non lo chiede neppure solo ai cattolici; lo chiede a ognuno, lo propone come verità per la salvezza del mondo, come verità anche dentro al mondo, di fronte al mondo.

Nella sua esperienza quand’è che ha risposto “io” a questa domanda?

Si risponde ogni giorno, ogni istante. È vero che ci sono dei momenti della vita in cui questo “io” è più sottolineato e determina magari anche un cambiamento di rotta. Il momento in cui è nata per me la vocazione al monastero, mi ricordo benissimo che ero tutto assorbito dal capitolo XV del Vangelo di San Giovanni - “Rimanete in me e io in voi, se rimanete in me e io in voi porterete molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla”. Lì è stato un punto cruciale per me, preparato da tantissime esperienze in molti anni, percepito mille volte, ma lì ha proprio determinato un cambiamento di vita. Rendersi conto che senza di Lui non si può fare nulla è una rivoluzione nella vita: si capisce che la vita si compie perché un Altro la compie, quindi lo stare con Lui, il domandare Lui, diventa il compito essenziale dell’esistenza. Penso che i monasteri e i monaci siano semplicemente dei segni che questo è vero per tutti: non si può vivere nel matrimonio, non si può vivere la missione senza questa consapevolezza.

Cosa tiene viva questa chiarezza di giudizio ed esperienza nella routine di tutti i giorni e magari in certe situazioni più aride, diciamo?

Anche la routine sia un’esperienza del limite, come l’aridità è un’esperienza del limite. Ed è proprio l’andare al fondo della propria umanità che porta a domandare: è la vita stessa, la realtà umana stessa che è maestra di verità nella posizione della vita. Se siamo seri con la nostra vita quotidiana, con gli incontri che viviamo, con l’esperienza che facciamo tutti i giorni, vediamo che la verità è domandare, è mendicare. Il problema è che molto spesso abbiamo bisogno di fare un’esperienza negativa per metterci a mendicare, invece la santità è vivere la mendicanza come positività della vita, come respiro della vita, non solo come medicina, salvataggio, ma proprio come verità della vita, come pienezza di vita. I santi pregano perché amano la vita, la pienezza, perché desiderano la felicità, non solo perché fanno l’esperienza del limite, della tristezza, del peccato.
Perché lei cita Giacobbe come esempio di uomo che lotta per la propria felicità? Cosa lo rende così grande e paradigmatico?

Io penso che Giacobbe sia grande perché lui l’incontro con il Mistero, il rapporto con il Mistero lo vive dentro la sua umanità. È in cammino per cercarsi una moglie - non è che fosse partito per il monte Sinai…-. Anche tutta la disputa con Esaù viene dal suo desiderio di dominare. Lui incontra il Mistero proprio dentro questa carne - questa vita nella carne, direbbe San Paolo -. Questo lo rende grande e paradigmatico per ognuno di noi: è paradigmatico del cristianesimo, è una profezia del cristianesimo, perché Gesù Cristo Lo si incontra nella carne della vita, dentro la vita nella carne, questa vita fatta di tutta la nostra umanità. Giacobbe è paradigmatico anche perché ogni persona che incontra veramente il Mistero e che lo accoglie nella sua vita diventa un segno per tutti, perché ogni uomo è fatto per questo, è fatto per compiere la propria umanità nell’incontro con il Mistero. Giacobbe, come Abramo, è un segno della verità della nostra umanità.

Quando parla della lotta di Giacobbe con Dio, dice che Dio colpisce duramente Giacobbe con una ferita che si porterà dietro per tutta la vita, che significato ha questa ferita?

La ferita è il simbolo del bisogno di salute-salvezza, di guarigione. Nel caso di Giacobbe è una ferita che lo determina nel suo modo di camminare, per cui ad ogni passo è come educato a riconoscere in sé il limite che un Altro deve compiere. La ferita che ognuno di noi porta dentro sé è una memoria nella carne di un bisogno strutturale, è la spina nella carne di San Paolo che Dio non gli toglie perché dice: “Ti basta la mia grazia”. Quindi è un’educazione a vivere per la grazia di un Altro, perché la mia vita non si compie per la mia forza, per la mia potenza, ma perché c’è un Altro che mi dà la sua grazia, mi guarisce, mi porta e mi rimette in piedi.

A cura di Alessandro Caprio

Altre sono state le letture che mi hanno sostenuto e soprattutto alcune figure bibbliche:Abramo,Giobbe,Giuseppe,Maria.......

I SANTI e NON SANTI INTERPELLATI

SAN GIUSEPPE SAN ANTONIO (PADOVA)SAINT CHARBEL
GIOVANNI PAOLO 2
BEATO TOMMASO DI OLERA
DON GNOCCHI(mentre scendevamo per raggiungere la sala operatoria ,scendendo dall'ascensore abbiamo visto il ritratto di don Gnocchi e ci siamo rincuorati)
Giovanni mette sempre il cappello di don gnocchi che e' appoggiato sulla sua tomba e lo prega)
Il nonno Nando (che con la sua vita molto simile a quella di Giobbe non ha mai abbandonato l'abbraccio a Cristo)
SAN LUCA
DANIELA (una bella ragazzina down che da poco e' morta per leucemia)
Don Giussani
Giovanni si chiama.Giovanni Paolo Luigi ed e' nato il 15 Ottobre.
(fortunatamente l'anestesia e' stata il 23!!!!)
Maria la madre di Gesu'( Maria, l'addolorata quella piegata sotto la croce di Gesu', sfinita dal dolore, all'estremo delle sue forze impotente distrutta .
Questa Maria attaccata alla croce piena di lacrime e di domande.
Questa Maria che non ce la faceva piu' questa Maria che e' stata affidata da suo figlio Gesu' alle cure di Giovanni"Madre ecco tuo figlio Giovanni ecco tua madre"
Tutti noi abbiamo bisogno di sostegno.


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