lunedì 5 febbraio 2007

STUDIO DELL'ESSERE E NON DEL NULLA


quest'articolo comparso su Tracce nel 2003 ci puo' aiutare ad andare a fondo delle ragioni del nostro essere.


Filosofia: studio dell'Essere e non del nulla
Alessandro Banfi
Le quattro pagine della lettera alla Fraternità “sovvertono” quattro secoli di pensiero occidentale, la cui parabola sembra finire nel nichilismo: dall’Essere al nulla. Un professore di teoretica ha riletto con Tracce il testo di don Giussani, sorprendendone la forza culturale di giudizio sulla modernità e sull’oggi

C'è sempre un aspetto delle parole vere che vengono dette da don Giussani che riguarda il giudizio sul tempo che viviamo, sulla cultura contemporanea, persino sulle “mode” dominanti. Anche la lettera del 22 giugno ai membri della Fraternità è pienamente in questa logica e anzi costituisce in modo sorprendente una lettura dei grandi temi culturali e filosofici degli ultimi quattro secoli. I rapporti tra l’io e la realtà, tra l’Essere e il tempo (per citare il titolo di un famoso libro di Heidegger), tra l’Essere e il nulla (per dirla con Sartre) sono descritti e scolpiti in modo semplice e profondo. Per cominciare ad approfondire alcuni di questi temi, ne abbiamo parlato con Massimo Borghesi, professore di Filosofia teoretica all’Università di Perugia.

La lettera riguarda Maria, «la personalità della Madre di Cristo - scrive Giussani - gioca un ruolo che ora capisco quanto sia decisivo». Ma la lettera parte da una descrizione del rapporto tra l’io e la realtà. Quale concezione della realtà emerge? E perché è così connessa all’idea di libertà?
La libertà, come altrove sottolinea Giussani, è la capacità di separare il vero dal falso, il bene dal male, l’essere dal nulla. Capacità che trova la sua compiuta realizzazione nel riconoscimento e nell’abbraccio, nel venire abbracciati dall’Essere. In questo “separare”, la libertà può tanto attuarsi quanto distruggersi, optare per il falso, il male, il niente. L’io è il dramma della libertà. Questa trova il suo compimento allorché il desiderio di essere (dell’Essere), che è alla radice del cuore di ogni uomo, trova la sua soddisfazione.
C’è un legame profondo che unisce la libertà al desiderio, al desiderio più profondo che alberga nel cuore umano, quello della felicità. Un uomo avverte di essere libero quando il suo desiderio di felicità non trova impedimenti, quando è soddisfatto. La felicità è il compimento della libertà. Porta con sé, almeno per un istante, la percezione di essere “salvi”, sottratti all’ombra gelida della morte. Nella sua dinamica la felicità non può essere separata dall’oggetto, o dal soggetto, che la rende possibile. Non si è felici da soli, né liberi da soli. Ciò muove il desiderio a rinvenire nel mondo una realtà che lo colmi nel suo vuoto, che liberi l’io dalle sue limitazioni. Questo “altro”, che il cuore ardentemente e confusamente cerca, è solo parzialmente soddisfatto dagli “altri” incontrati. Questo “altro” è cifra dell’infinito. La libertà è, nell’uomo, la capacità dell’infinito.

«È il dramma supremo che l’Essere domandi di essere riconosciuto dall’uomo», scrive Giussani, e più avanti aggiunge: «Dio ti destina all’eterno, perché ti destina a capire chi tu sia». La mentalità contemporanea nega la vertiginosità di questo rapporto e tende a rinchiudere l’uomo nell’infelicità di “istruzioni per l’uso”…
« Il vero dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole». È una frase di Giovanni Paolo I, citata da Giussani in È se opera, che corrisponde a ciò che tu chiami “istruzioni per l’uso”. La riduzione del cristianesimo a mera dottrina morale, che ha contrassegnato la stagione ecclesiale negli ultimi decenni, non fuoriesce da una posizione farisaica. Non si comprende così come l’autentica moralità sia sempre l’esito di un’affezione, di una gratitudine, di un riconoscimento della “positività” dell’Essere. Questo riconoscimento è impedito perché l’Essere è dato come ovvio, come accade a tanti nell’ambiente ecclesiastico, o è sprofondato nel nulla, nell’abisso del negativo, come avviene nella cultura dominante. In ambedue i casi sfugge il cuore misterioso che registra la nostra esperienza del mondo, rimane inevasa, attutita e violentata, la domanda di senso che si sprigiona dalla ragione e dal cuore.
Nell’intervista a Renato Farina su Libero di un anno fa - un’intervista eccezionale per le novità e le sottolineature - Giussani afferma di rendersi conto, ogni giorno più vivamente, che l’«Essere è Mistero». Questa percezione accompagna non solo la realtà di Dio, ma anche quella del mondo e dell’io. La gratuità dell’esistere, la sua non necessità, affonda nell’insondabile Mistero divino, nella sua libertà che trova la sua ragione, priva di ragioni, in un Amore inconcepibile. È questa percezione che rende possibile lo “stupore” di fronte a un Essere percepito come “avvenimento”. Anche la filosofia contemporanea parla dell’Essere come Evento, come fa Heidegger, ma separa poi l’Evento dal desiderio. L’Essere è avvenimento se è percepito come una gratuità amorosa che corrisponde al desiderio di felicità e di libertà. Se è sperimentato all’interno di un’esperienza d’amore. Introdurre al “mistero ontologico”, alla scoperta di come l’Essere domandi di essere riconosciuto dall’uomo, è l’elemento che urge in Giussani nel corso degli ultimi anni. La sua passione educativa si è fatta tensione amorevole finché lo sguardo, oltre il formalismo e il nichilismo imperanti, possa ridestarsi alla sorpresa di un gratuito, di una positività che eccede ogni attesa. Si comprende, in questa prospettiva, la vicinanza a von Balthasar, alla sua estetica teologica. Si comprende perché l’autore parli dell’«Essere come attrattiva», come fa ne L’uomo e il suo destino, e possa poi pubblicare un volume dal titolo L’attrattiva Gesù. Questa attrattiva si chiama Grazia. Non c’è nulla di più potentemente persuasivo, bello, di un amore gratuito, immotivato. Parafrasando von Balthasar: «Solo l’amore è credibile». Questo non solo vale sempre, ma assume oggi, nella devastazione generale degli affetti e delle ragioni, un peculiare valore storico.

« La Madonna ha rispettato totalmente la libertà di Dio - dice Giussani - non vi ha opposto un suo metodo». La cultura filosofica dominante, da Cartesio in poi, ha invece sottolineato un metodo autonomo che, alla fine di questa parabola, ha dimostrato di essere riduzione e non apertura…
Se Dio esiste, è Dio che stabilisce la modalità, per l’uomo, con cui vuole essere conosciuto. La conoscenza sorge dalla conformazione all’oggetto: questo è il principio del realismo, che si oppone a ogni idealismo che vuole stabilire a priori la forma dell’oggetto. Maria è metodo, strada verso Dio, perché è formata da Dio secondo una modalità umanamente unica. È l’essere creato come Dio l’ha sempre desiderato, come l’ha immaginato. Lei, che è mater Dei, è l’essere filiale per eccellenza, è la figlia del suo Figlio. Questo è il cuore verginale di Maria, vergine e madre, cuore bambino, cuore umano che si rimette a Dio in tutto. Maria è metodo di Dio perché non ha opposto a Dio un metodo proprio. È metodo perché è senza metodo. È lo strumento e l’espressione umanamente più alta della libertà di Dio.
Scrive Giussani: «La Madonna è il metodo a noi necessario per una familiarità con Cristo». Necessario. Come leggeresti questa necessità?
« La Madonna è come l’invito del principe», scrive Giussani nel suo “Messaggio per Loreto”. Può invitare i convitati perché v’è in lei un’attrattiva - l’“attrattiva Maria” - che le consente di entrare nel cuore dell’uomo. È la Mater misericordiae che, come la Madonna di Piero della Francesca di Sansepolcro, avvolge con il suo manto i supplici e i poveri.
In questo senso è “forma” eminente dell’Essere, forma privilegiata. C’è in Giussani, latente, un concetto di forma che, analogamente a Balthasar, sostiene la sua riflessione. L’Essere è, è tanto più “essere”, quanto più diviene forma, quanto più corrisponde all’immagine con cui Dio lo ha concepito. Quanto più l’uomo si sottrae a questo disegno tanto più scivola verso il nulla. In Maria la forma dell’Essere risplende secondo un’intensità ineguagliata. Per questo attrae poiché in lei, la misericordiosa, il volto del Figlio è ancor più esaltato. Un cristianesimo senza Maria, come accade nel settentrione europeo, protestante, è un cristianesimo cupo, triste. Questo, insieme alle guerre di religione, spiega l’ateismo moderno più di molte sottili analisi filosofiche. Nell’economia divina Maria rende manifesto il volto materno di Dio. Per l’uomo è una gratuita necessità.

Per molto tempo la sottolineatura è stata sulla compagnia, oggi è sulla figura di Maria. È evidente che non c’è contraddizione, ma perché oggi, perché qui, questa sottolineatura che ha conseguenze anche culturali?
Questo è vero. C’è in Giussani, nel corso degli ultimi tempi, un’insistenza sulla figura di Maria che non ha nulla a che fare con un devozionalismo scontato. Questa sottolineatura è parallela a quella dell’“Essere come carità”, anch’esso prevalente nelle sue ultime riflessioni. Sono passaggi importanti che consentono di misurare i limiti di ogni possibile «mistica del gruppo» che, come afferma Giussani in L’attrattiva Gesù, non fuoriesce da un’ottica sociologica, meramente naturalistica. È dal 1980, dal colloquio con Testori contenuto ne Il senso della nascita, che Giussani insiste sul fatto che non è più il tempo delle «crociate organizzate», dei «movimenti organizzati». Il che non significa, com’è ovvio, la fine dell’idea di movimento. Significa piuttosto che un movimento cristiano non deve, enfaticamente, concentrarsi su di sé, quasi che l’appartenenza militante a esso garantisse gnosticamente la salvezza, ma deve aiutare a guardare fuori di sé. Una compagnia cristiana è una compagnia vocazionale. In caso contrario oscilla tra militanti e svagati compagni per il tempo libero. La sottolineatura di Maria è, in Giussani, un giudizio storico. Oggi, nel tempo del nichilismo, non è la magia del discorso che può persuadere quanto il mostrare, il testimoniare, l’Essere come misericordia, il volto amoroso dell’Essere. Nella terra desolata che viviamo, suggestionata dalla tentazione manichea di concepire il mondo e la vita come male, solo l’esperienza di un vero amore, come suggeriva Guardini nella conclusione de La fine dell’epoca moderna, può ridestare l’io all’affezione all’Essere. È per questo che nell’intervista a Libero Giussani indica in Maria l’opposizione presente al nichilismo, in Maria della quale vorrebbe comporre un articolo poiché «qualunque cosa Ella tocca diventa umana e insieme la colloca nel Mistero».

La grande conseguenza dell’incontro con Cristo attraverso Maria si chiama carità. «L’essenza dell’Essere è amore, questa è la grande rivelazione. Perciò tutta la legge morale è totalmente definita dal termine carità». «Tutta la legge morale», anche questo è eversivo rispetto, ad esempio, alla morale kantiana, che è poi quella dominante, almeno nella facciata ipocrita del potere contemporaneo…
« L’essenza dell’Essere è amore», questa è un’affermazione vera che per essere compresa deve essere sperimentata. Chi ha vissuto un istante di carità e di dedizione può intuirlo. Viceversa il moralismo kantiano si dimostra del tutto impotente di fronte al nichilismo odierno. L’esperienza cristiana consiste nell’introduzione alla misericordia del Padre come volto dell’Essere. È a partire dai dialoghi del ’94, contenuti in «Tu» (o dell’amicizia), che Giussani insiste, a partire dall’ontologia trinitaria, sulla natura dell’Essere come “relazione”, “comunione” e questo contro ogni monismo che vuole dissolvere i molti nell’Uno. Questa natura dell’Essere, che non porta dentro di sé la morte e la contesa, come vogliono la gnosi e i fondamentalismi odierni, si palesa come carità. Nell’intervista a Libero Giussani dichiara: «Dio come Mistero di carità, è l’unica lettera che vorrei scrivere, a quelli di Cl, a tutti».

La forma della carità è una speranza “vivace”. Rileggendo l’Ariosto, ho trovato che Orlando, quando scopre dell’amore fra Medoro e Angelica, si mette a piangere e il suo pianto non si arresta più e lui stesso si stupisce perché, dice il poeta, il suo piangere è una «fontana vivace». È una citazione di Dante, illumina il senso della parola. Vivace nel senso di inesauribile, di opposto alla morte, ma anche il contrario dell’abitudine, dell’adagiarsi, del tran-tran…
Ci siamo adagiati… tanti corrono, laici ed ecclesiastici, a coprire le prime file del teatro, del teatro “cristiano”. Rimangono pochi a voler bene ai poveri cristi di cui è piena la società odierna. Colpisce in Giussani il pathos, un pathos testoriano, che lo porta a parlare di “vortice”, nell’intervista a Farina, di “esplosione”, nella Lettera alla Fraternità. E questo contro il formalismo, la ripetizione di una ritualità senz’anima, lo spegnersi del desiderio che si aggrappa, meccanicamente, a gesti consuetudinari. Solo la carità, in cui convivono stupore e sacrificio, apre alla speranza, alla speranza che l’Essere trionfi sul nulla, l’amore sulla morte. Apre alla gioia, alla certezza che l’Essere è buono, che mi vuole bene. Il cristianesimo è l’esperienza che introduce a questa percezione dell’Essere. In caso contrario è un’ideologia che, come tutte le ideologie, contribuisce a rendere più pesante il fardello dell’esistenza.

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