lunedì 12 febbraio 2007

MONS: LUIGI NEGRI A OTTO E MEZZO


La Chiesa non può non testimoniare la misura alta della vita di cui fa esperienza, e questo deve arrivare anche al tentativo di influire sulla legislazione degli Stati, proprio perché è in gioco una modalità più umana di vivere.

Mons.Luigi Negri a Otto e mezzo

“Quando ho incontrato Cristo, mi sono scoperto uomo” (M. Vittorino)
9 febbraio 2007
Con l’acutezza che gli è congeniale, Giuliano Ferrara ha dato un fondamentale contributo ad individuare gli elementi strutturali, fondanti della vicenda che ha portato alla elaborazione del DDL sui cosiddetti “DI.CO” (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi). In due serate del suo programma su La7, mettendo a confronto Galli della Loggia, Pera, Cicchitto, Ezio Mauro, Ostellino e Mons. Luigi Negri, il direttore de “Il Foglio” ha tracciato un disegno nitido e drammatico della posta in gioco.
Nella seconda serata di “Otto e mezzo”, quella con Ostellino, Mauro e Mons. Negri, il dialogo ha preso l’avvio dall’editoriale di “Avvenire” del 6 febbraio: “Il perché del nostro leale ‘Non possumus’”. Non possiamo: scendere a compromessi, negoziare, mediare: espressione forte, raramente usata nella Chiesa, che ricorda la reazione di Papa Pio IX dopo la Breccia di Porta Pia, ed entra in gioco in circostanze particolarmente drammatiche.
Il richiamo all’altro editoriale, quello di Ezio Mauro su “Repubblica”: “Se il Dio di Ruini diventa di destra”, ha fatto sì che l’obiettivo si spostasse dai contenuti dei DI.CO alle motivazioni della battaglia culturale che la Chiesa italiana ha intrapreso sull’intera vicenda: ma la torsione non è stata fuorviante. In questo senso è stata preziosa ed illuminante la testimonianza di Mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro. Nei suoi interventi lucidi ed appassionati, Mons. Negri ha affermato questi punti:
1. La Chiesa italiana non ha bisogno né di essere maggioranza, né minoranza, non spera in nessuna di queste condizioni che sono situazionali; essa ha bisogno di essere missionaria, presenza globale nella vita della società. Questo popolo che mangia e beve, veglia e dorme, vive e muore non per sé ma per Cristo, si incontra con gli uomini che vivono le circostanze della loro vita, viene a contatto con le strutture di esercizio del potere. L’espressione grave “Non possumus” viene utilizzata quando ci sono in gioco grandi principi teorici: in questo momento la vicenda dei “DI.CO” non esprime l’aggiustamento di problemi di convivenza, ma il confronto di due antropologie, di due visioni della vita, di due modelli: la famiglia e questa altra forma di convivenza difficilmente identificabile nella sua identità. La Chiesa dice: “La famiglia E’ questa, non la famiglia cattolica in senso riduttivo, ma la famiglia nella sua struttura e natura profonda, definita da Benedetto XVI: ‘Unicità irripetibile’”. E’ quindi un valore non di parte, ma di tutti. Sarebbe stato più leale aprire un confronto su queste due concezioni, ad es. con un dibattito in Parlamento.
2. Perché questa “intransigenza” della Chiesa proprio in Italia, mentre l’Europa sembra scivolare su una china molto più ripida rispetto a queste tematiche? Bisogna rifarsi al discorso di Benedetto XVI a Verona: anche in Italia il fenomeno della scristianizzazione, della secolarizzazione è forte, ma non ha ancora completamente dominato la vita della società. Qui la Chiesa ha ancora risorse di radicamento nel popolo, di cultura popolare, di tradizione morale che le permettono di vivere l’evangelizzazione come straordinaria battaglia al servizio dell’umanità: in questo paese, ma non solo. Il Papa ha legato sorprendentemente questa possibilità della Chiesa italiana al futuro della fede in Europa e nel mondo.3. Di fronte al pensiero debole della politica, alla mancanza di elaborazione e di tradizione culturale dei partiti (mancanza riconosciuta pacificamente dai due interlocutori laici della serata), perché pensare che una proposta di pensiero forte della Chiesa sia necessariamente legata ad una volontà di potere? Non si tratta piuttosto di un servizio che la Chiesa fa per alzare il livello del dialogo, del confronto culturale, perché anche il pensiero debole si paragoni con questa misura più alta? Perché non riconoscere che la denuncia attuata da parte della Chiesa del liberalismo radicale prefigurava e metteva in guardia dalle conseguenze tragiche del totalitarismo? Giovanni Paolo II chiamava questo: “servizio alla verità”.
4. Che dire dei “cattolici democratici” che si ergono a paladini della laicità? Da un lato è evidente che la mediazione politica deve essere fatta a partire dalla piena responsabilità dei singoli o dei gruppi; d’altro canto però il politico cattolico deve tenere presenti le preoccupazioni fondamentali della Chiesa, non può agire a lato, prescindendo o svincolandosi da una appartenenza alla Chiesa. Spesso invece il singolo obiettivo ha finito per valere più della appartenenza alla Chiesa. Se un merito ha avuto in questi anni il Card. Ruini, è stato quello di ridare al popolo cristiano la coscienza della propria identità, della dinamica culturale e dell’intervento politico caratteristici della comunità cristiana. E’ finita la delega in bianco della Chiesa ai politici e agli intellettuali cattolici, che meccanicamente la rappresentino.5. Il “pensiero forte” della Chiesa ha origine in fenomeni reali della società: il punto di partenza non è una questione di potere e quindi di egemonia, è la testimonianza del grande “sì” alla vita detto da Dio in Gesù Cristo e che vive nell’esperienza del popolo cristiano. La Chiesa si trova di fronte ai bisogni dell’umanità, che sta vivendo un momento delicatissimo per la scomparsa dei criteri di riferimento fondamentali. Di fronte all’incertezza assoluta e ai rischi che la accompagnano, la Chiesa sente la responsabilità di far vedere che c’è un modo più umano di vivere la vita. Diceva Manlio Vittorino, un retore romano dopo la sua conversione: “Quando ho incontrato Cristo mi sono scoperto uomo”. La Chiesa non può non testimoniare la misura alta della vita di cui fa esperienza, e questo deve arrivare anche al tentativo di influire sulla legislazione degli Stati, proprio perché è in gioco una modalità più umana di vivere.




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