intervista di Giancarlo MazzucaIl Resto del Carlino, 31 gennaio 2007
IL CARDINALE non nasconde la sua soddisfazione. Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, è appena tornato da Roma dove, assieme a quindici vescovi e due ausiliari dell’Emilia Romagna, ha incontrato il Papa e i responsabili delle principali congregazioni vaticane, in quella che comunemente viene chiamata visita "ad limina" (la terza per una regione italiana dopo Abruzzo e Campania).
Un incontro normalmente di routine, ma in questo caso straordinario, perché è la prima volta che tutto l’episcopato della regione viene ricevuto dal papa Benedetto XVI.
Eminenza, un bilancio del viaggio...
Positivo. Abbiamo potuto incontrare il Pontefice, ma abbiamo avuto anche dialoghi molto fruttuosi con i capi di dicastero. Abbiamo potuto esporre i problemi della regione e abbiamo avuto un’informativa generale sulla situazione della Chiesa in Occidente. Per noi vescovi ci sono anche stati momenti di maggiore conoscenza reciproca e di convivialità che, per i tanti impegni, non sono facili da trovare. C’è anche stato spazio per la preghiera sulle tombe dei santi Pietro e Paolo e alla Basilica mariana di Santa Maria Maggiore.
Parlava dei problemi della regione: quali, in particolare, avete esposto al Papa?
In quello che dirò cercherò di esprimere anche il pensiero dei miei confratelli. A nostro giudizio, il problema fondamentale resta la nostra capacità di rispondere alla sfida che la società ci lancia in questa regione. Una sfida che posso così riassumere: noi possiamo vivere bene anche senza la fede cristiana. La società tende a ridurci ad agenzia di servizi di solidarietà e volontariato. Una specie di Croce rossa che raccoglie i feriti in una società sempre più conflittuale.
Mi sembra quindi che il disagio sia diverso rispetto a quello avvertito dal cardinale Biffi vent’anni fa quando parlava di una regione "sazia e disperata"...
È vero. Ora ci dicono: noi possiamo vivere come se Dio non ci fosse e viviamo anche bene. Se prima eravamo sazi e disperati, oggi possiamo tentare di essere sazi e non più disperati. Cercano di vivere uno stile di vita che considerano buono e non più disperato; secondo ciò che Del Noce chiamava un gaio nichilismo. Questa sfida s’inserisce in un contesto dove dominano alcuni fatti che riguardano sia la società civile che religiosa. È chiaro, comunque, che non bisogna generalizzare: risposte a domande di questo genere debbono essere prese con grandissima saggezza per evitare di fare una caricatura della società e non la fotografia esatta.
Ma quest’agnosticismo nasce da lontano.
La nostra sfida s’inserisce – come dicevo – in un contesto dove dominano alcuni fatti che riguardano sia la società civile che religiosa. Da una parte dobbiamo fronteggiare una grave crisi di vocazioni che riguarda tutte le diocesi dell’Emilia-Romagna, dall’altra viviamo un profondo cambiamento nella società civile in cui le due grandi "agenzie educative", la famiglia e la scuola, stanno fronteggiando momenti di grandissima difficoltà.
Il punto focale è l’emergenza giovani...
La condizione giovanile mi sta preoccupando ogni giorno di più perché l’emergenza educativa rischia di diventare una catastrofe educativa. Tra i ragazzi si sta facendo strada un atteggiamento rinunciatario. Vanno a scuola sempre più malvolentieri e in numero preoccupante si rifugiano nella droga e nell’alcol. Il vostro giornale ha fatto bene ad approfondire la piaga dell’alcolismo: credo che sia ora il fenomeno più preoccupante tra i giovani. Qui non si tratta di essere più o meno pessimisti od ottimisti. Qui si tratta di porsi tutti quanti la domanda: in quale condizione esistenziale si trovano i giovani?.
Lei chiama in causa soprattutto la scuola e gli insegnanti...
Credo sia fondamentale costruire un rapporto tra persone basato sull’autorevolezza di chi educa. Un’autorevolezza che si costruisce su questi presupposti: "io educatore ti fornisco una proposta di vita, che ho personalmente messo alla prova, e che ti trasmetto volentieri perché i conti son tornati". Se manca questa proposta, il giovane ha la consapevolezza che l’educatore non si appassiona più al suo destino e quindi il rapporto tra insegnanti ed allievi si spezza. Ed una società nella quale una generazione cessa di narrare all’altra il grande racconto della vita, non ha futuro.
La Chiesa può rinsaldare questo rapporto ormai spezzato?
Come diceva Giovanni Paolo II l’uomo è la via della Chiesa. Cioè la Chiesa deve prendersi cura dell’uomo. E noi lo stiamo facendo per quanto possibile: non dimentichiamo la forte rilevanza che hanno le nostre comunità parrocchiali. I nostri parroci sono spesso eroici in questa missione all’interno delle comunità. Non mancano poi grazie a Dio forme aggregative come associazioni e movimenti giovanili che hanno una robusta proposta educativa e raggiungono un numero vasto di ragazzi. Anch’io sto vivendo un’esperienza molto significativa: dopo essere apparso in due trasmissioni televisive a ‘È tv’, ho ricevuto tantissimi e-mail da giovani di tutt’Italia, anche laici, che mi chiedono di spiegar loro il senso della vita.
Cardinale Caffarra, a Roma avrete anche affrontato il problema dell’immigrazione in Emilia-Romagna...
Certo. A Roma siamo anche stati ricevuti dai responsabili del dicastero sull’immigrazione che hanno apprezzato il nostro impegno quotidiano. Un tentativo di dialogo che si svolge su tre livelli d’intervento: primo, cerchiamo d’aiutare gli immigrati nei loro bisogni più immediati; secondo, abbiamo costituito, credo unici in Italia, un coordinamento giuridico regionale che ci consente di affrontare il tema dell’immigrazione nel contesto della legalità. Terzo, ci siamo trovati d’accordo sul fatto che l’emergenza non deve essere affrontata secondo il modello francese (assimiliamo gli stranieri secondo un modello astratto) o quello inglese (circoscriviamoli in tante comunità etniche): occorre che gli immigrati che vogliono vivere nel Paese accettino di entrare in un universo di valori che ha alla base la Costituzione. È il caso, ad esempio, della poligamia che in Italia non è ammessa.
E per quanto riguarda il problema dei rapporti con gli immigrati di altre religioni?
Il problema l’ha già risolto Gesù quando dice agli apostoli: andate e predicate a tutti. Esiste poi un rapporto molto buono con Chiese cristiane non cattoliche. Penso, per esempio, alle Chiese ortodosse e alla Chiesa copta eritrea.
Benedetto XVI vi ha detto qualcosa in particolare?
Nell’udienza pubblica ha fatto un cenno ai giovani e alla famiglia invitandoci a dedicare una particolare attenzione alla preghiera. Quando poi mi ha visto in privato con il vescovo ausiliare monsignor Vecchi aveva sulla scrivania una pianta di Bologna: ha dedicato molta attenzione al capoluogo della regione.
Lei si è soffermato spesso sul degrado di Bologna e sul disagio di molti bolognesi. Alcuni giorni fa, le famiglie particolarmente numerose della città hanno chiesto il suo aiuto per superare le ristrettezze economiche in cui versano aggravate dai recenti aumenti delle tasse comunali...
Sto ascoltando con attenzione il grido d’allarme di queste famiglie bisognose e posso anticipare che nei prossimi giorni riceverò una nutrita delegazione di queste famiglie per vedere cosa possiamo fare in concreto.
L’ultima domanda è quasi dissacrante, ma gliela faccio lo stesso: lei, acceso tifoso rossonero, che pensa di Ronaldo al Milan?
Lei versa aceto su una piaga. Le dico la verità: non penso che il Milan debba essere una casa di riposo per anziani!
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