domenica 18 febbraio 2007

L'ACCOGLIENZA DEL LIMITE E' APERTURA ALL'INFINITO

Una risposta di vita per i malati inguaribili
Incontro a Roma dal titolo: “L’accoglienza del limite è apertura all’infinito”
ROMA, venerdì, 16 febbraio 2007 (ZENIT.org).- Il Centro Internazionale di Comunione e Liberazione ha organizzato a Roma, giovedì 15 febbraio, l’incontro dal titolo: “L’accoglienza del limite è apertura all’infinito. La società, la medicina, i malati 'inguaribili'”.
"non voglio dire che bisogna promuovere la sofferenza, ma quello che dico è che ogni bambino o bambina, anche che abbiano malattie gravi, hanno il diritto di vivere, ed il sistema medico deve far di tutto perché questa vita ci sia”.



Ha introdotto la serata il dottor Felice Achilli, Primario di cardiologia e responsabile dell’Associazione “Medicina e Persona”, il quale ha dato lettura di un brano tratto da “Lo Zibaldone” del poeta e scrittore Giacomo Leopardi.

“Questo malato era assolutamente sfidato e morrà di certo tra pochi giorni – annotava Leopardi – i suoi parenti per alimentarlo come richiede la malattia in questi giorni, si scomoderanno realmente nelle sostanze, essi ne soffriranno danno vero”.

Il poeta continuava poi affermando: “Che cosa dice la nuda e secca ragione, (qui intesa come misura della realtà), sei un pazzo se l’alimenti. Che cosa dice la natura: sei un barbaro e uno scellerato se per alimentarlo non fai e non soffri il possibile”.

Il dottor Achilli ha fatto notare la concezione di Leopardi, secondo cui “la religione si mette dalla parte della natura, cioè dalla parte della struttura originaria dell’uomo”.

Il responsabile dell’Associazione “Medicina e Persona” ha spiegato che “questa frase di Leopardi introduce il tema, perché viviamo un tempo in cui sembra che il limite, la sofferenza, l’esperienza della malattia, che certamente non sono desiderabili, non abbiano più un significato, non introducano più a qualcosa di originale e significativo nella vita dell’uomo”.

“Invece – ha sottolineato il dottor Achilli – si può vivere con poca salute, ma non si può stare al mondo senza affermare un significato, per cui vale la pena lavorare, combattere e faticare tutti i giorni”. Quindi è intervenuto lo psicoterapeuta belga Pierre Mertens il quale ha raccontato la sua esperienza personale, segnata dalla nascita della prima figlia, affetta da spina bifida e con una speranza di vita di pochi giorni. Ai due giovani genitori i medici avevano detto: “C’è un problema per la vostra bambina, non vivrà più di 24 ore”.

Era il 1978, da allora e per 11 anni Mertens e la moglie hanno vissuto a fianco alla piccola Liesje affrontando insieme a lei problemi, gioie e sofferenze; nel rapporto con questa figlia così diversa, ma anche così allegra, aperta e comprensiva verso tutti, hanno scoperto il significato ed il gusto di essere genitori, hanno deciso di avere altri figli ed anchedi accogliere bambini nella loro casa.

Oggi Mertens è conosciuto per la sua attività di Presidente della Associazione Internazionale per la spina bifida e l’idrocefalo (Ifglobal), che è impegnata in diversi Paesi del mondo e che, tra l’altro, si è opposta al progetto legge di eutanasia sui neonati affetti da spina bifida, approvato in Olanda nel protocollo di Groningen.

Il dottor Mertens ha raccontato che “l’esperienza dolorosa ma estremamente arricchente di Liesje, gli ha dato una grande energia per lavorare in Africa, Asia e America Latina; per attivare centri di riabilitazione dove si lavora molto con i genitori e i bambini, utilizzando tutti i mezzi a disposizione affinché migliaia di bambini possano vivere e migliorare la propria esistenza”.

“Sono sempre felice di sentire dei successi di questo programma, perché questo dà ancora più senso alla vita di mia figlia”, ha affermato lo psicoterapeuta belga. Mertens ha concluso: “Non voglio dire che bisogna promuovere la sofferenza, ma quello che dico è che ogni bambino o bambina, anche che abbiano malattie gravi, hanno il diritto di vivere, ed il sistema medico deve far di tutto perché questa vita ci sia”.
La dottoressa Maria Luisa Di Pietro, docente di bioetica all’Università Cattolica di Roma e Presidente dell’Associazione “Scienza e Vita”, ha spiegato e ribadito l’unicità dell’essere umano, una realtà antropologica che vale a prescindere da ogni malattia che la possa attaccare.

Rispondendo ad una domanda di ZENIT su come l’introduzione dell’aborto abbia segnato la riduzione dell’essere umano e la crisi morale della civiltà, Maria Luisa Di Pietro ha detto che “sicuramente il momento in cui c’è stata la liberalizzazione dell’aborto si è introdotta l’idea che si può disporre della vita umana”.

“La cosiddetta mentalità abortiva – ha continuato la Presidente di 'Scienza & Vita' – in realtà poggia non sul fatto che la donna voglia uccidere suo figlio, perché non lo vede come un figlio, lo vede come un problema futuro. Tanto è vero che nel momento in cui si riesce a far ascoltare il battito del bambino alle donne che vogliono abortire, quasi tutte cambiano idea perché sentono che non c’è un problema ma c’è il figlio”.

Secondo la Di Pietro il momento decisivo in cui si è passati ad una mentalità antivita è avvenuto “quando lo Stato ha riconosciuto come libero diritto quello di interrompere la gravidanza”.

“E’ grave – ha continuato la Presidente di 'Scienza & Vita' - rendere la vita come qualcosa di disponibile, e soprattutto che ci sia un esercizio di autonomia e di autodeterminazione che venga prima ancora di qualsiasi altro valore e anche della vita” .

Per la Di Pietro, “il punto di partenza di questa deriva è stata la banalizzazione della sessualità. Banalizzando la sessualità e rendendola un esercizio completamente sganciato da ogni responsabilità, si è fatto in modo che il concepimento di nuove vite venisse percepito come un problema”.

E’ quindi successo che lo Stato ha riconosciuto che “il concepito è un problema” ed allora “ha dato la possibilità di eliminarlo”.

“Giustamente – ha concluso la Di Pietro – il Pontefice Giovanni Paolo II diceva che non si può fare cultura della vita se non si combatte la banalizzazione della sessualità, (cfr. n. 97, Evangelium Vitae), e credo che questo sia una cosa che bisognerebbe tenere in considerazione, perché è dall’uomo e dalla donna che scaturisce una nuova vita. Nel momento in cui il rapporto viene banalizzato, spogliato dei suoi significati personali e delle sue responsabilità, la vita che ne dovrebbe scaturire perde completamente di significato”.
Sullo stesso tema è intervenuto anche il dottor Mertens il quale ha affermato che “aborto ed eutanasia sono forme di morte, di fronte alla quali io scelgo la vita. La morte è una cosa naturale, ma non si può accettare l’idea di uccidere”.
In merito alle leggi che permettono l’aborto, lo psicoterapeuta belga ha invece osservato: “Trovo orribile che si faccia distinzione tra un aborto terapeutico e una interruzione di gravidanza, quasi che uno sia meno grave dell’altro”.



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