Tanta violenza richiede da parte nostra tanta conversione
La ola degli ultrà per Carlo Giuliani
Libero 4 febbraio 2007
di DREYFUS
A Livorno sono apparse ieri mattine queste scritte: "Morte allo sbirro", "Un altro Filippo Raciti: Ultras liberi" e "2/2/07: vendetta per Carlo Giuliani". Carlo Giuliani? Proprio così. Aspettiamo una parola della signora Haidi Giuliani. È importante la dica. Ormai è una senatrice. Siede nei banchi di Rifondazione comunista. Suo figlio fu ucciso in piazza Alimonda a Genova, il 20 luglio del 2001. Stava scagliandosi, con il passamontagna calato, contro dei carabinieri bloccati su una piccola jeep ingrippata durante le manifestazione contro il G8. Era un tentativo di linciaggio. Un no global, dieci secondi prima, aveva cercato di infilare un'asse di legno nella testa dei militari. Poi toccò a Giuliani buttarsi contro i suoi coetanei: impugnava, quel venerdì, ore 17 e 25, un estintore rosso. Prima che riuscisse a centrarla, la vittima designata, recluta calabrese Mario Placanica, sparò e lo colpì. Legittima difesa. Da quel momento l'estrema sinistra si è mossa per vendicarsi. Per Rifondazione e per la sinistra diessina, per i verdi e i centri sociali, Giuliani è diventato un eroe. Gli è stata dedicata un'aula del Parlamento, dove siede la madre. Ecco, stronchi subito, signora, questo grido ignobile. Lo faccia. Proponga di intitolare l'aula a quell'ispettore, che non voleva tirare in testa estintori a nessuno. Sarà il modo migliore per onorare anche Carlo, che non sapeva quello che faceva. Morte allo sbirro, dice la scritta livornese (a Piacenza ne sono apparse altre: «Catania... uno di meno», «Onore ai diffidati»). Ci ricorda un locale alla moda degli ultrà della politica che sono anche gli ultrà del Venezia. Parliamo del locale del centro sociale di Mestre «Allo sbirro morto». Lì impera Luca Casarini, uno dei capi della rivolta vicentina contro la base americana. Ed è per accontentare personaggi come lui e filosofie come quelle dipinte sul muro da quei mascalzoni di Livorno, che l'Italia è appesa ad un governo incapace di tutto tranne che di strangolarci con le tasse. Filippo Raciti: come sarebbe bello intitolargli uno stadio. Colpito da una bomba (la parola carta risparmiatecela per favore), è morto dopo un'agonia con la faccia bruciata. Ha fatto in tempo a donare i suoi organi, perché sapeva che stava per morire, anche se sperava. Si spera sempre. Non ci si rassegna a morire. Specialmente se tocca essere uccisi per la cosa più idiota dell'universo: un gol, che non cambia niente, che non dà nessuna coppa né scudetto. Un gol che sarebbe la cosa più bella del mondo se si ama sul serio la lotta leale che è lo sport. Filippo Raciti era un ispettore di polizia, 38 anni, moglie e due figli, un bravissimo ragazzo - si dice adesso. Ma ai bravi ragazzi bisognerebbe dare la possibilità di non crepare e di non essere menati. Se fosse sopravvissuto sarebbe stato il numero 203 della lista degli uomini in divisa feriti dagli ultrà dall'inizio di questo campionato finalmente pulito. Pulito? Sporco di violenza e ipocrisia. La legge dei grandi numeri è spietata: il morto doveva arrivare per forza. Non possono esserci tanti ferimenti senza qualcuno che ci muore. I poliziotti, i carabinieri, i baschi verdi lo sapevano. Non sono mica scemi. Nessuna sanzione per le canaglie che li assaltano. Un loro collega era stato gravemente ferito il 10 gennaio durante una partita della Salernitana. In galera? Nessuno, soltanto qualcuno denunciato e il divieto di entrare allo stadio: tanto quelli menano fuori, tirano bombe nei pressi, che gli frega? Era nelle cose, questa morte. Nessun giornalista abile a starnazzare contro Moggi e che sape va tutto da prima, ha avvertito il pericolo. Sanno tutto sul numero dei calci d'angolo e dei minuti di possesso palla. Di quante ore invece la polizia sia messa sotto pressione dagli ultrà, che nessuno punisce mai, questo non rientra nelle statistiche previste dall'informazione. Ora che un sottufficiale di Pubblica sicurezza è morto, non sono apparse le scritte dei poliziotti o degli amici delle forze dell'ordine, a sostegno dell'amico caduto, magari inneggianti vendetta. Sono brava gente questi signori che le prendono tutte le domeniche per quattro soldi. Vedono il sangue sulla loro fronte, e poi rientrano in caserma, e non c'è nessuno che prenda concretamente la loro parte. Al massimo si dice: «Queste immagini non c'entrano con lo sport, e non le vorremmo mai vedere». Ma si usino i microfoni per imporre ai governi misure drastiche contro chi muove le mani, e se uno tira una bomba non si dica: era un petardo. Ma resta la realtà politica. La violenza ha libero corso, è accettata e sostenuta politicamente. La magistratura è nota assai più per i processi contro le forze dell'ordine a qualunque grado e livello piuttosto che per la giusta sanzione dei criminali organizzati in squadre di coloritura politica o sportiva. E la politica è generica. I teppisti si sentono incoraggiati, se le istituzioni intitolano un'aula a un ragazzo morto; un poveretto senz'altro, che esanime suscita pietà, ma caduto mentre stava compiendo un atto vandalico e non merita il riconoscimento di eroe dello Stato. Signora Haidi, riscatti il suo livore contro le forze dell'ordine, e scriva qualche parola pubblica per il poliziotto Raciti. Bertinotti ordini sia intitolata a lui l'aula dove si raduna la commissione che si occupa di sport. E Livorno, patria di quei cialtroni che a freddo hanno rivendicato il morto, abbruni le sue bandiere, listi a lutto i suoi gonfaloni. La smetta di coccolare come eroi i propri ultrà. Non stiamo qui a dire destra o sinistra. Non ci importa. Magari a Piacenza sono stati fanatici di destra. Amen. Quello che conta è che non ci siano più reggicoda o, peggio, burattinai in grisaglia di questi infami che si coprono la faccia con i passamontagna: allo stadio, alle manifestazioni. E per favore stringiamoci intorno a questi ragazzi che rischiano la pelle perché la nostra vita sia più serena. Smettiamola di guardare l'ombelico dei nostri guai. C'è chi versa la sua esistenza per difenderci da gente cui poi dedichiamo le aule parlamentari.
LA FIRMA DI "ACAB" MA IL SITO VIENE CHIUSO «Morte allo sbirro», «un altro Filippo Raciti, ultras liberi», «2/2/2007 vendetta per Carlo Giuliani» e «più sbirri morti»: sono le tre scritte apparse ieri sui muri di Livorno e subito fatte cancellare dal sindaco della città. Quasi tutte erano firmate Acab, («all cops are bastards», tutti i poliziotti sono bastardi), gruppo politico oltranzista di tifosi ultrà. Gli stessi hanno poi chiuso il loro sito Internet per una pausa di riflessione.
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