L'oncologo Melazzini: una cosa è fare dichiarazioni da sani, un'altra è parlare nelle mie condizioni, affetto da sclerosi laterale «La sfida è prendersi carico in modo globale di chi soffre. Nel rapporto medico-paziente strategie terapeutiche specifiche»
Da Roma Gianni Santamaria
L'assistente gli sistema con cura i capelli. Poi gli appoggia bene la mano che deve tenere in grembo e gliela alza quando qualcuno va a salutarlo. Mario Melazzini, medico e malato al tempo stesso, si prepara a parlare nella sala stampa del Senato, dove da mesi si stanno facendo audizioni su otto disegni di legge riguardanti le dichiarazioni anticipate di trattamento. Lui è affetto da quattro anni da clerosi laterale amiotrofica (sla), malattia degenerativa che non perdona. Ma ne parla come di «intoppo», di «problema». La malattia che, nel suo caso, lascia intatte e lucidissime le capacità cognitive («è il valore aggiunto di alcune malattie», dice lui con un sorriso). È arrivato tardi e la conferenza stampa è slittata al pomeriggio. Colpa della nebbia, che non lo ha però fermato nel viaggio dalla sua Pavia al centro della politica, dove è venuto a portare le esigenze dei malati, non solo di sclerosi. E la sera prima, mercoledì, era stato pure ospite in tv da Lerner. Bisogna innanzitutto «fare chiarezza» sui termini, esordisce. Allora, una cosa è quando la dichiarazione la si fa da sani per il futuro, altro è quando ti capita «l'intoppo» che ti cambia l'esistenza, che però può essere ancora portata avanti con «una certa qualità della vita stessa». «Alcuni chiedono l'eutanasia, io no», ha detto deciso l'oncologo pavese, non condividendo la scelta di Piergiorgio Welby. Così come è stato netto quando ha definito «eutanasico» l'intervento del dottor Riccio. Melazzini ha poi ricordato come una settimana prima della lettera a Napolitano - da cui è partita la discussione che ha scosso l'Italia - lui e altri malati affetti da sla (è il presidente dell'associazione che li riunisce) si fossero riuniti a Roma, alla Bocca della verità, «per chiedere al ministro Turco, che se ne è fatta carico, alcuni diritti esigibili su assistenza e accesso ai farmaci». Insomma, la sfida è «prendersi carico in modo globale e nel rapporto medico-paziente vanno attuate delle strategie terapeutiche, grazie alle quali non si arriverebbe a parlare di accanimento». Già, spesso ci si confronta a suon di sofismi: «A volte - ammette lui candidamente, svestendo per un attimo i panni del malato e rimettendo in evidenza quelli di medico - faccio io stesso fatica a capire le definizioni dei miei colleghi. In giro c'è tanta confusione, la confusione genera paura e la paura fa fare scelte sbagliate».
Melazzini era stato invitato a parlare presso il Senato, per dare un contributo al dibattito culturale e politico in corso, dalla Fondazione Magna Carta, dal Movimento per la vita, e dalle associazioni Progetto Osservatorio e Valori e Libertà (donne di Forza Italia), proprio nello stesso giorno in cui veniva presentata un'indagine dell'Eurispes dalla quale emergerebbe un 70% circa di italiani favorevoli all'eutanasia (vedi articolo sotto). «Mi meraviglio che non sia il cento per cento», ha detto il senatore di An Alfredo Mantovano (che presiede Progetto osservatorio) , denunciando la genericità di alcune domande del sondaggio - compresa quella sull'eutanasia - e un «tentativo di manipolare l'opinione pubblica a favore dell'eutanasia». «Andrebbe nel cestino», ha concluso. Il confronto nel mondo della poltica non procede per il meglio, insomma. Per il senatore Gaetano Quagliariello non c'è, «un fronte della sensibilità e uno dell'indifferenza» verso i malati. In tutta la vicenda Welby - ha sostenuto poi il senatore vicino all'ex presidente di Palazzo Madama, Marcello Pera - non sarebbero state cercate possibili soluzioni tra visioni della vita diverse, come quella cattolica e laica, ma si è impostata la questione «in modo ideologico». Di «scorrettezza» nel mettere insieme nella stessa domanda i concetti di eutanasia e di sofferenza - oppure nell'uso della definizione di "coma irreversibile" che alcuni esperti da lei interpellati hanno bollato come «da bar» - ha parlato la forzista Laura Bianconi, capogruppo in commissione Igiene e sanità del Senato. Piuttosto «su 125 hospice ne sono stati realizzati 102 e sulle cure palliative siamo il fanalino di coda».
Per Carlo Casini, deputato europeo e presidente del Movimento per la vita, infine, nel dibattito va tenuta ferma la dizione "dichiarazioni", non vanno usate "testamento" o "disposizioni". Ha poi detto che «la convenzione di Oviedo su questo punto auspica che tali dichirazioni vengano tenute in conto, ma non obbliga il medico». Infine, secondo il giurista «dietro tutta la questione eutanasia c'è un'idea sbagliata di libertà, mentre invece la questione è come combattere il dolore
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