lunedì 19 febbraio 2007

LA FEDE NON E' UN'IDEA ASTRATTA DI DIO,MA LA SFIDA A TUTTA LA REALTA'


Per ricordare il secondo anniversario della morte del suo fondatore, monsignor Luigi Giussani, e il venticinquesimo del riconoscimento pontificio della Fraternità del movimento, Comunione e Liberazione ha promosso un incontro sul libro di Giussani Il cammino al vero è un'esperienza (Rizzoli, pp. 221, 15 euro): venerdì sera, nell'auditorium del polo fieristico di via Lunga, davanti a un folto pubblico, ha portato la sua testimonianza don Fabio Baroncini, parroco di San Martino in Niguarda, a Milano, e membro del consiglio di presidenza di Cl.


In effetti don Baroncini - l'incontro è stato presentato da Michele Campiotti, responsabile diocesano di Cl - non si è soffermato in particolare sul contenuto del libro, che raccoglie tre scritti giussaniani del periodo 1959-1964, quando ancora Comunione e Liberazione si chiamava «Gioventù Studentesca»: «Assistendo alla presentazione di un volume – ha esordito il relatore – spesso ci si augura che l'esposizione sia così esauriente da rendere superflua la lettura del volume stesso. Credo invece che Il cammino al vero è un'esperienza meriti davvero di essere letto, perché in queste pagine è testimoniato efficacemente il metodo di don Giussani, il suo intento di proporre agli interlocutori non un'idea astratta del cristianesimo, ma un contatto diretto con la persona di Cristo, come termine di confronto per un'interrogazione radicale sul significato dell'esperienza umana».
Don Baroncini ha ricordato una serie di episodi della sua più che cinquantennale frequentazione di «don Gius», come era chiamato dai membri di Cl: «La mia famiglia era valtellinese ma nel secondo dopoguerra si era trasferita a Pescarenico (Lecco). Mio padre era un “socialista umanitario”, mentre da mia madre avevo ricevuto un'educazione cattolica, nello stile dell'epoca: sul piano intellettuale aderivo alle verità del catechismo, sul piano morale mi attenevo ai comandamenti e ai precetti. Ma ricordo che, adolescente, già ero tormentato da un “brutto pensiero”: “Se ho fede in Dio e mi comporto come si deve – mi chiedevo - com'è che sono tanto triste?”».
A metà degli anni '50 il giovane Fabio Baroncini, proveniente dalle file di Azione Cattolica, incontrò per la prima volta don Giussani: «Ascoltandolo – ha raccontato - intuii la possibilità che la fede cristiana incrociasse e interpellasse la mia vita, anziché limitarsi a procedere in parallelo con essa. Soprattutto, capivo che il fatto di essere cristiano non era destinato a impoverire, a limitare la mia esperienza di uomo, anzi: nei suoi discorsi e gesti Giussani esprimeva un grande amore e interesse per l'umano, in tutti i suoi aspetti. Inoltre, se precedentemente il cristianesimo mi era stato presentato come una dottrina da apprendere a memoria, ora ero sollecitato a porre in questione ogni cosa: don Giussani invitava esplicitamente noi ragazzi delle scuole superiori, abituati ad obbedire ai genitori e agli insegnanti, a sottoporre a un continuo esame critico ciò che quotidianamente ci veniva detto e insegnato. Un giorno lo sentii dire, rivolto a noi: “Panta dokimázete, to kalòn katéchete ”. All'epoca io non sapevo il greco: Giussani ci spiegò che era una frase di San Paolo, dalla Prima lettera ai Tessalonicesi , e che significava “Vagliate ogni cosa, e trattenete ciò che vale”. Ne eravamo affascinati: finalmente qualcuno chiamava in causa la nostra ragione, la invitava a confrontarsi con la realtà».
Da questo esercizio critico emergeva un nuovo rapporto con la rivelazione cristiana, vista come risposta adeguata alle domande che agitano l'animo di ogni uomo: «In precedenza, frequentando il catechismo – ha ricordato don Baroncini – mi ero fatto l'idea che la fede avesse per oggetto Dio, genericamente inteso: ora invece scoprivo la specificità del cristianesimo, il fatto che qui tutto si gioca nella relazione tra il mio io e il Tu della persona di Cristo».
Giulio Brotti

Nessun commento: