sabato 17 febbraio 2007

UNA CULTURA INDIVIDUALISTA

Marco Mazzi
Presidente Associazione Famiglie per l’Accoglienza

Una cultura individualista invade la nostra vita, il clima che respiriamo, le nostre famiglie i nostri figli quello che abbiamo di più caro. A volte travestita di rispetto, di libertà di fare quel che si vuole purchè non dia fastidio a nessuno


Non si parla più di legami, di compito, di dono di sè, di sacrificio per un ideale. Il centro è quel che uno sente, la soddisfazione dei propri desideri percepita come diritto, difendendosi dalla diversità dell’altro.

Nel provvedimento predisposto dal Governo in materia di convivenze, questa cultura ha fatto un altro passo avanti, dando diritti e legittimazione sociale a rapporti che volutamente, per scelta, volevano rimanere nel privato; ha esteso a tali rapporti vantaggi e benefici che finora erano propri della famiglia, senza peraltro far conseguire anche i doveri e la responsabilità pubblica che una famiglia comporta.

Una scelta che di fatto, oggettivamente, penalizza la famiglia. Mai come oggi essa è attaccata, dal punto di vista culturale, dal regime fiscale, e ora anche dal punto di vista normativo.

Il legame tra l’uomo e la donna non è un fatto privato e chiuso, ma è un bene che per sua natura va partecipato. Generare, educare, accompagnare, accogliere, sono gesti che non rimangono nella sfera privata del proprio sentimento; per la loro stessa natura hanno un valore pubblico, cioè per tutti.

In 25 anni di storia, le famiglie della nostra Associazione hanno accolto nelle proprie case centinaia di minori e adulti in difficoltà, magari segnati da gravi fatiche o handicap, accompagnandoli nell’affido o nell’adozione o nell’ospitalità; creando un tessuto sociale in cui la persona è un bene con cui ci si può coinvolgere, aiutandosi tra famiglie in un sostegno reciproco e contribuendo così alla costruzione di una convivenza rispettosa della dignità dell’uomo. E lo hanno potuto fare proprio in quanto famiglie, ossia una comunità di persone, un nucleo sociale che si è assunto una responsabilità identificabile e stabile al suo interno e nei confronti della società. L’esperienza che abbiamo accumulato in questi 25 anni ci fa dire con certezza che quello che cercano le donne e gli uomini del nostro tempo (dalla più tenera età alla più avanzata) non è una precarità, un amore a tempo, ma la chiarezza di un’identità e di una appartenenza, la possibilità di essere accolti “senza se e senza ma”.

Siamo amareggiati e preoccupati nel vedere il diffondersi di un nichilismo e relativismo che minano sempre più i fondamenti stessi della società, ma siamo al pari consapevoli della verità di una esperienza che ogni giorno accade nelle nostre case aprendo la porta ai bisogni che incontriamo e sempre più determinati a contribuire alla costruzione di una convivenza adeguata all’uomo e alla sua dignità.

12 febbraio 2007

Nessun commento: