martedì 20 febbraio 2007

LA RAGIONE E LE RAGIONI DELL'ACCOGLIENZA


Cominciamo dalla prima parola che avete usato nei vostri interventi: felicità.
Alcuni di voi hanno detto una frase un po’ paradossale a riguardo dell’accoglienza che viene prestata a persone che non sono della famiglia: lo faccio per la mia felicità, per imparare ad essere felice io.


La ragione, le ragioni dell’accoglienza - Milano 27 gennaio 2007
Cesana

Cominciamo dalla prima parola che avete usato nei vostri interventi: felicità.
Alcuni di voi hanno detto una frase un po’ paradossale a riguardo dell’accoglienza che viene prestata a persone che non sono della famiglia: lo faccio per la mia felicità, per imparare ad essere felice io.
Che cosa significa? Perché?
Che cos’è la felicità?
La felicità inizia con dei bisogni. Cioè la felicità è un’esigenza che abbiamo. Un’esigenza di che cosa? Quando possiamo dire di essere felici? Quando siamo certi del senso positivo della vita cioè che la vita vale la pena di essere vissuta. Una persona è felice, lieta, quando si alza alla mattina con la coscienza del senso positivo della vita, nonostante le grane e i problemi in famiglia e al lavoro.
Quindi da una parte occorre avere il bisogno di questa positività (se non si ha fame non si ha il gusto di mangiare), dall’altra occorre scoprire il senso positivo della vita.

Il senso positivo della vita, per poter essere affermato, deve innanzitutto vincere tutte le contraddizioni che nella vita ci sono.
Se ci mettiamo i paraocchi e guardiamo solo le cose che vogliamo vedere noi, le cose che possiamo controllare della realtà, come fa la stragrande maggioranza delle persone (che poi non è vero che possiamo “controllarle”), – es. la nostra casa, i nostri figli, il nostro futuro, l’estate, il tempo libero – non vediamo le contraddizioni. Se invece ci guardiamo in giro vediamo che di fronte alla nostra esigenza di un positivo nella vita, di fronte all’esigenza di riconoscere che la vita è positiva – per cui uno si sveglia alla mattina con la voglia di affrontare la giornata – ci sono tantissime obiezioni, contraddizioni, difficoltà.
Inoltre, se ci guardiamo dentro senza prenderci in giro, vediamo che queste contraddizioni non sono solo fuori, sono anche dentro di noi.

Allora come facciamo ad affermare che la vita è positiva se c’è così tanto contro, fuori e dentro di noi, se poi questa battaglia alla fine si perde perché si muore?
L’accoglienza della persona che ha bisogno (ad un bisogno, nostro, aggiungiamo un altro bisogno, quello di chi accogliamo, e lo dilatiamo) è l’affermazione che la vita è dentro una positività così grande da vincere il bisogno, da esserne più forte.
Quando vedo una persona così io sono affascinato. Perché una persona che accoglie il bisogno, lo prende in casa, che alle sue grane aggiunge quelle di un altro, che di fronte ad un bambino disabile se lo tiene e non soccombe… quando vedo una persona così io vedo che il positivo della vita è più forte delle sue contraddizioni. Questo è il fascino. Per questo uno è spinto ad accogliere.
Perché vuole conoscere questa vicenda per cui la positività della vita è più forte di quello che sembra contraddirla. Tant’è vero che quando i colleghi che si occupano solo del week-end, ecc., sentono che tu hai adottato un bambino ti fermano e vogliono sapere perché l’hai fatto.

Questa cosa “prende”: com’è che io sono lì a calcolare tutto ciò che succede fino all’esaurimento nervoso e lui che ha già tre bambini ne prende in casa un altro?
Oppure com’è che ha il bambino down e non si distrugge?
Questo è il fascino dell’accoglienza e per questo uno si sente trascinato a ripetere l’esperienza: per capire cosa c’è dentro.
Perché una volta che si è affascinati non si è ancora capito cosa c’è dentro, non si è ancora capito cosa costituisce al profondo questa positività.
Qual è il fattore che determina questa invincibilità, questa speranza contro ogni speranza?
Accogliendo ci si addentra in questa avventura di capire cos’è il fattore che determina quella vittoria per cui qualunque cosa succeda io “non vado sotto”.
Infatti ciò che ha fatto grande il cristianesimo, che ha persuaso, convinto nel cristianesimo è proprio questa posizione di speranza.

Nell’antichità classica gli ammalati erano allontanati perché erano pericolosi, avevano le malattie infettive e curarli voleva dire rischiare la morte. Con il cristianesimo gli ammalati hanno cominciato ad essere assistiti e il rischio di morire continuava ad essere alto, ma gli infermieri sapevano che la morte non è l’ultima parola sulla vita.Questo ha convinto il popolo della verità cristiana. Non ci si convince della verità cristiana con dei discorsi. Cristo che cosa è venuto a fare? E’ venuto a far vedere che la morte non è l’ultima parola sulla vita e che quindi con tutto quello che succede la felicità è possibile.
Per questo quando si fanno gesti di accoglienza è giusto dire che lo faccio innanzitutto per me, senza superficialità. Lo faccio perché io voglio capire qual è la natura di questa speranza che mi è stata suscitata da quelli che ho visto intorno a me.
Cioè è vero che si può amare l’altro così com’è. E’ vero.

2) Ed è vera un’altra cosa: facendo l’esperienza dell’accoglienza lo sguardo sulla realtà si allarga, cioè sente di più le cose: come Lorenza ha sentito il bisogno di amici del suo bambino gli altri non lo sentono, e questo non se lo dimentica più.Ma questa è una conoscenza, una sensibilità, nei confronti della realtà, è un modo di percepirla infinitamente più profondo di quello invece superficiale che ci caratterizzava.
Questo è il secondo motivo di fascino: il mondo lo si vede diversamente e lo si vede più in profondità, lo si vede di più per quello che è, e poi non se ne ha paura.
L’accoglienza è veramente emblematica perché fa vedere che Dio, come dice il Papa, è carità cioè è amore: non una definizione, non è una spiegazione della realtà, non è il ditino del prete che ti richiama. Uno è capace di amare le cose come sono, capace di attaccarsi, di non spaventarsi, capace di viverle.
Avventurarsi nell’accoglienza vuol dire scoprire la ragione profonda e misteriosa che tiene su tutto.
Cosa tiene su tutto questo? Qual è la promessa?
E’ una promessa misteriosa, è qualcosa che manifesta la vita, che si vede nelle persone di cui siamo rimasti affascinati, che scopriamo nell’esperienza perché amiamo di più la realtà. Si capisce tuttavia che la grandezza e la forza di questa positività non sono nostre, non sono un nostro possesso: noi le viviamo, le sentiamo, le manifestiamo ma non sono nostre.
Sono visibili ma sono imprendibili: sono misteriose. E questo mistero ha un nome: Gesù Cristo.
La presenza di Cristo non è un sentimento, non è un suono, è un’esperienza. Ma è l’esperienza di ciò che si possiede senza averlo. A chi poi si appassiona nella conoscenza di questa presenza, di questo nome, gli si sviluppa anche l’intelligenza, cioè comprende che l’unica possibilità è questa. Capisce ciò che dice Kirkegaard: “Se c’è un Dio che dice di essersi fatto uomo è dovere dell’uomo di conoscerlo”.
Non ci si può più sottrarre: è stata esercitata un’accoglienza nei nostri confronti.
L’accoglienza nei nostri confronti è proprio la speranza che è stata data a noi, alla nostra vita.

3) Poi c’è un altro aspetto dell’accoglienza affascinante proprio dal punto di vista della ricerca della felicità. Abbiamo detto che la felicità è un bisogno che trova una risposta che riguarda la positività del vivere e quindi è un prendere, ma è anche un dare. Non c’è felicità senza dare.
E il modo più profondo di dare è generare cioè dare la vita, trasmettere la vita.
Tutti capiscono, anche i singles di lusso (i quarantenni) che se tu non dai la vita tu non ce l’hai, ti sfugge.

L’accoglienza ti invita alla generazione. L’aspetto biologico della generazione non è l’aspetto principale. L’aspetto principale della generazione è l’amore al destino. E prendendo in casa un estraneo si capisce che la vita si trasmette come amore al destino.Questo non vale solo per i figli che si prendono in casa o per i figli che non sono come si sarebbe voluto ma vale per noi, vale per tutti. E’ una legge dell’esistenza che se vissuta incrementa la felicità perché uno costruisce.
Che cosa c’è di più grande che “fare" un uomo? Cosa c’è di più grande dell’educazione? Dell’amicizia? Nulla.

L’accoglienza insegna anche questi aspetti. La generazione della vita è la comunicazione del suo senso, cioè è l’instradamento al destino. Posso avere mille limiti ma con mio figlio o con chi mi sono preso in casa, o con la mamma che ha 90 anni, devo essere sicuro che faccio questa compagnia al destino. Non importa se mi lamento, se non sono capace: tutto ciò è secondario. Cercheremo di tenerlo presente, di valutarlo, di rimediare dove si può ma è secondario rispetto al senso di positività della vita, rispetto allo scopo per cui ci facciamo compagnia.
Di questo dobbiamo essere certi perché questo è il fattore vero che costituisce il rapporto, l’amicizia, la paternità, la figliolanza. Non è altro.

Concludendo
Primo aspetto. E’ giusto il richiamo alla ricerca della felicità. Dobbiamo renderci conto bene, quando ce lo diciamo, di quale esperienza sia, perché gli altri non saranno convinti dai nostri richiami o dai nostri rimbrotti o dal nostro farci vedere che noi accogliamo e loro no. Ma saranno convinti da un fascino, cioè dallo sguardo diverso sulla realtà, dal modo diverso di vivere, dal sentimento diverso della vita.

Secondo aspetto. Il modo con cui Dio ha salvato il mondo è un modello anche per noi. C’è un bellissimo intervento del Papa fatto recentemente, mi pare ai vescovi svizzeri, che dice che Dio ha salvato il mondo fallendo. Dio è venuto nel mondo e non ha miracolato tutti, ha fatto alcuni miracoli, non ha risolto tutti i problemi che c’erano, anzi ha detto che avrebbe creato ulteriori problemi; non ha ammassato intorno a sè delle folle immense, ma 13 persone; non ha fatto un discorso sul significato della morte, è morto.
Dio ha salvato il mondo fallendo cioè lasciando vivere la libertà di chi aveva intorno, la libertà degli uomini, anzi mendicando la libertà degli uomini come collaboratori. Egli ha affidato alla libertà degli uomini – 12 uomini diventati 11 e un traditore, semianalfabeti, lontani da qualsiasi punto di potere, ai margini del mondo – il messaggio della salvezza del mondo.
Il metodo di Dio per salvare il mondo è quello di salvaguardare la libertà: chi pensasse accogliendo un bambino, accudendo al familiare ammalato, di risolvere i suoi problemi sarebbe un illuso perché il metodo non è la risoluzione ma la condivisione. La condivisione lasci spazio, per quello che è possibile, alla libertà di colui che viene accolto, qualsiasi sia la sua condizione.
La condivisione vuol dire che io sto insieme a te e grido come gridi tu, domando come domandi tu.
Il calcolo sulla vita non risolve la vita. La vita va vissuta, il bisogno va condiviso: certo se riusciamo a sistemare le cose è meglio, ma non è detto che ci si riesca e quindi è perfettamente inutile illudersi.
Anzi, più si va avanti, più si capisce che la vita è una continua riproposizione, in un certo qual modo, sempre delle stesse questioni che però richiedono un affronto sempre più profondo.

Terzo aspetto. Non si può avere nessuna pretesa: domanda si, pretesa no.
Tutte le domande che ci sono dobbiamo aiutarci a farle venire fuori, ma senza nessuna pretesa, perché la nostra vita ha un Padrone che non siamo noi.
E ciò che allarga lo sguardo e permette finalmente di vedere senza rabbia, senza ira e senza sconforto è il fatto che tutta la nostra storia è stata investita da questo Padrone, che certamente a voi ha affidato una delle testimonianze più semplici, più dirette, più manifeste di qual è il modo con cui questo Padrone della storia è entrato nella nostra vita: ci ha amato.
Cari amici, ve lo dico di cuore, queste cose dovete saperle. Bisogna che ci sia coscienza di ciò che siamo.
Ciò che siete è per il mondo, perché il mondo veda.


Nessun commento: