venerdì 2 febbraio 2007

VIVERE COME SE DIO NON CI FOSSE

Vivere come se Dio non ci fosse. I cattolici e la
battaglia per l’egemonia
(CESANA DA IL FOGLIO 1 FEBBRAIO)

In quest'articolo vengono ripresi alcuni punti anche dell'incontro di sabato scorso
vale la pena leggerlo .

Poco prima di Natale, don Julian Carron
ha introdotto gli esercizi spirituali degli
universitari di Comunione e liberazione denunciando
la grande confusione che domina
la nostra società. Mi pare difficile dargli torto,
per chiunque. Ci sono vedute differenti e
spesso opposte non su questioni di secondo
grado, ma essenziali: la vita, l’amore, il sesso,
la famiglia, l’educazione e molto altro. Non
che prima tali differenti vedute non ci fossero,
ma alcune di esse erano minoritarie rispetto
ad altre, assolutamente preminenti
nell’informare la convivenza civile, pur travagliata
da scontri politici e ideologici violenti
più di oggi. Oggi tali differenti vedute
sembrano egualmente prevalenti e di eguale
valore, trasversali si dice, di fronte a un popolo
che ondeggia smarrito verso le soluzioni
più facili che, sempre come si dice, permettano
a ciascuno di fare quello che vuole
senza disturbare gli altri. La confusione è
diventata
nutrimento quotidiano di menti deboli
e moda, gioco in cui le diversità possano
stare gaiamente insieme e scambiarsi senza
traumi o rimorsi. Quando nelle mie lezioni di
storia della medicina faccio qualche affermazione
decisa, per esempio sul valore fondamentale
della vita, e domando agli studenti
cosa ne pensino, a parte l’imbarazzato
silenzio, la risposta più frequente non è di
approvazione o negazione, ma: “Ognuno può
pensarla come vuole”.
Anni fa partecipai a un memorabile pranzo
con don Giussani ed Emilio Komar, esule
sloveno a Buenos Aires e grande professore
di filosofia neotomista, recentemente scomparso,
anche lui purtroppo. Komar era proprio
preoccupato della moderna assuefazione
alla confusione. Per metterne in evidenza
i danni disastrosi e la necessità di combatterla
la descriveva pressappoco così: “Un
grande pentolone in cui si mette champagne
rosé, Bordeaux d’annata, petrolio, urina di
topo e poi si beve”. Il sentimento di schifo mi
dura ancora adesso.
Bisogna combattere la confusione quindi,
ma come si fa? Come si fa a ristabilire e fissare
quelle poche grandi idee,
che con la dovuta
larghezza costituiscano comunque gli argini
in cui possa scorrere la vita di una società
sana? Non si può certo fare la guerra civile.
Come ha insegnato Gramsci, affascinando
i nostri intellettuali non solo comunisti, bisogna
conquistare un’egemonia culturale, imponendo
un pensiero “forte” capace di mettere
sotto quello di tutti? Così ci si butta in
battaglie ideali, articoli, manifestazioni e
sottoscrizioni
di firme importanti. E’interessante
notare che queste iniziative riescono ad affermare
e diffondere alcune idee, mentre altre
no. Perché? Nonostante la schiacciante
astensione nel referendum sulla legge 40, che
pare aver confermato la natura “cattolica”
del popolo italiano, sulla stessa legge, pacs ed
eutanasia, il pensiero dominante che passa
negli interventi di editorialisti, scienziati,
attori
e umanità varia che conta è l’opposto.
Tanto che c’è chi sprona i cattolici a contendere,
esponendo i propri intellettuali, se ci
sono. I cattolici che già si danno da fare un
po’ si arrabbiano e un po’ si scoraggiano:
l’egemonia
non sembra fatta per loro.
Perché le idee “cattoliche” non prendono?
Un’idea, per diventare egemonica, ha bisogno
di una connivenza con il potere: se
non il potere politico e culturale, rispetto al
quale si dichiara in opposizione, il potere
che sta dentro le coscienze, come affermazione
di totale autonomia. Le battaglie radicali,
che appaiono così efficaci, puntano su
questo; questo è il motivo antropologico di
tanto ribellismo che accomuna incredibilmente
la giovane disoccupata dei centri sociali
con la top model milionaria. Le tensioni
egemoniche hanno come caratteristica
non solo quella di scalzare chi sta sopra, ma
anche quella di non far salire chi sta sotto, e
sempre confinano o commerciano con la violenza.
Così è stato per il ’68 e per tangentopoli,
i due fenomeni egemonici cui ho assistito
in diretta. Entrambi hanno costituito
momenti di consenso pressoché generalizzato,
con sostituzione delle classi dirigenti
ed espulsione di chi dissentiva con violenza,
non solo morale. In tal senso l’egemonia non
è la pacifica lotta di una superiorità
intellettuale:
è reazione spesso sostanzialmente
eguale al potere che attacca.
Le idee che diventano più facilmente egemoniche
sono quelle che non prevedono, da
parte di chi le pratica, il sacrificio, ovvero la
rinuncia al potere di controllo della realtà.
Per imporsi, richiedono dei sacrifici, ma questi
sono subiti, o esigiti, con la pretesa di
eliminarli.
Il comunismo è un esempio formidabile.
Ha cercato di realizzarsi attraverso
sacrifici immani di coloro che l’hanno perseguito
e ancora di più di coloro che l’hanno
patito, ma con l’illusione di una futura perfetta
società di eguali e soddisfatti. In ciò ha
trovato e ancora trova la sua approvazione
(come purtroppo dimostra il nostro governo).
Ora, la rivendicazione – chiamiamola così
– dei valori cristiani non può corrispondere
al sogno egemonico. Rivendica valori che per
essere vissuti chiedono il sacrificio. Il Papa
ha più volte richiamato che l’essere cristiani
è un’esperienza di gioia. Si tratta tuttavia di
una gioia “anomala”, risultato non dell’affermazione
di sé, ma dell’affermazione di un
altro, di Dio, ovvero di colui che creando la
realtà è l’unico a conoscerne veramente la
struttura e a possederne le regole. Se l’uomo
si inchina alle regole di Dio, vive meglio, è
più contento, ma prima deve inchinarsi. Questa
condizione può essere facilmente riconosciuta,
ma per essere accolta necessita una
purezza ideale del tutto eccezionale. Infatti
non è difficile riconoscere la grande umanità
di chi accoglie il limite, di chi ama per tutta
la vita, di chi rispetta l’ordine naturale. Tutti
ammirano san Francesco, nello stesso tempo
in cui pensano che vivere come lui è impossibile:
troppo sacrificio e troppa obbedienza.
Invece, san Francesco è proprio la
dimostrazione che è possibile vivere così
,
per parafrasare il titolo di un libro di don
Colonna ruffiana
Dispute salgariane in Forza Italia,
complimenti giuridici, Cossiga
spiega il suo “Vishinsky” a Violante
Giussani, che consiglio a tutti (“Si può vivere
così?”, Rizzoli). Solo che una vita così non si
impara principalmente con i dibattiti sui
giornali o alla televisione.
Dio non ha comunicato all’uomo il senso
della vita, della sofferenza e della morte
attraverso
definizioni. Ha parlato, certamente,
ma facendosi carne, condividendo la vita, la
sofferenza e la morte. Dal punto di vista
dell’egemonia,
come ha detto recentemente il
Papa ai vescovi svizzeri, “ha fallito”, non ha
preso il potere, non ha risolto tutto: ha rispettato
la libertà dell’uomo mendicandone
la collaborazione. Ha affidato la resurrezione,
la sua vittoria, alla testimonianza dei
suoi seguaci, pochi, senza istruzione e ai
margini del mondo. I cristiani, la chiesa non
possono che annunciare questo messaggio e
praticare questo metodo, la cui popolarità,
fino per esempio alla supremazia medioevale,
è stata resa possibile dalla consapevolezza,
oggi offuscata, che ragione e volontà
non sono onnipotenti.
La pretesa egemonica
è estranea alla azione dei cristiani. Non che
non ci caschino. Ci sono cascati e ci cascano
ancora, ma, appunto, diventano estranei a se
stessi e insopportabili per gli altri.
Insopportabili
come gli altri. Perché il problema
non sta nel fare progetti, ma nel pretendere
che siano questi a guidare il cambiamento
del mondo, a essere egemonici.
Posto ciò, non significa che ai cristiani non
piaccia vincere le elezioni, non piaccia la
forza della cultura e delle opere, non piaccia
una società informata dai propri principi -
“La fede senza le opere è morta” (Gc 2,17); i
cristiani non sono esentati dall’impegno nella
storia, dal rischio di scegliere, dalle
contraddizioni
e dalle guerre subite e fatte. Al
contrario dei non credenti, che sono stati invitati
dal Papa a far tutto come se Dio ci fosse,
i cristiani non possono nascondersi dietro
Dio, devono fare tutto come se Dio non ci fosse,
sapendo però che c’è ed è l’unico a svelare
e compiere il senso di tutto. Il primo moto
dell’uomo di fede è infatti la consapevolezza
del limite proprio e altrui; la consapevolezza
che non c’è egemonia che possa realizzare
ciò che la libertà non può e non vuole: nessuna
egemonia sulla libertà!
Giancarlo Cesana

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