Lista anti aborto • Contestazioni e solidarietà
Tratto da Il Corriere della Sera del 4 aprile 2008
Forse si dovrebbe preoccupare un po’. L’abbraccio quasi corale della politica nei confronti di Giuliano Ferrara è così vistoso, da sollevare perfino qualche dubbio.
C’è uno scarto evidente fra l’isolamento che circonda la sua lista contro l’aborto, e la solidarietà che gli è arrivata dopo la contestazione violenta di mercoledì in piazza Maggiore, a Bologna. È il segno del comportamento inaccettabile di chi lo ha accolto con insulti e lanci di uova, pomodori e perfino bottiglie; e dell’abilità di Ferrara a provocare e fare emergere gli istinti peggiori ma latenti di una certa sinistra che lui conosce bene. Il saldo è quello di una quasi unità nazionale che si cementa per fargli scudo: anche se dietro si scorge qualche coda di paglia.
«Le offese a lei mi colpiscono due volte: come uomo di governo e come cittadino bolognese». La ciliegina sulla torta del suo vittorioso supplizio sono state queste parole del cittadino politicamente più illustre di Bologna, anche se probabilmente non il più popolare, oggi: Romano Prodi. Il presidente del Consiglio le ha affidate ad una lettera speditagli dal vertice della Nato in corso a Bucarest, in Romania. La sua vicinanza, seppure da avversario, è stata solennizzata da quel «lei» rispettoso; e preceduta e seguita da manifestazioni simili da parte sia del centrosinistra, a partire dal Pd veltroniano a Rifondazione comunista; sia di Pier Ferdinando Casini, latore di un iperbolico messaggio d’amore («Amo Ferrara»); sia del Pdl, al quale è vicino.
Gli unici a dire quello che probabilmente altri pensano, senza avere il coraggio di confessarlo, sono stati alcuni esponenti del Partito dei comunisti italiani. Il loro «ben fatto» rivolto ai centri sociali e alle femministe che hanno inveito contro il capolista di «Aborto? No grazie», è una prova di sincerità estremistica. Rappresenta la rivendicazione di una sorta di diritto all’intolleranza nei confronti di un personaggio che per quel mondo malato di ideologia rappresenta un’intolleranza ancora più odiosa; e dunque da zittire e, se possibile, cancellare. La variante moderata di questa strategia è Antonio Di Pietro, secondo il quale Ferrara andrebbe ignorato per «farlo parlare al muro».
Con una punta di lucida invidia, il socialista Enrico Boselli fa notare che con la contestazione «si rivitalizza una lista abortita». Può essere. Ma l’effetto collaterale di quanto è successo mercoledì e si è ripetuto ieri nel comizio a Pesaro, nelle Marche, con altre proteste arginate dalla polizia, passa in secondo piano. Conta di più uno scontro che può increspare e rovinare gli ultimi giorni di una campagna elettorale noiosa ma finora civile; e soprattutto fa venire qualche brivido su quanto potrebbe avvenire dopo il voto. C’è da chiedersi se l’astio sia alimentato, oltre che dalla cultura degli aggressori, dall’antipatia che Ferrara è capace di suscitare nei nemici suoi e di Silvio Berlusconi; dal tema culturalmente lacerante che ha deciso di brandire; o da entrambe le cose.
Comunque, gli va riconosciuto il merito di essere riuscito a calamitare contro di sé il risentimento dell’area dell’estremismo: quello frustrato da due anni di «antagonismo» alleato del governo Prodi; e radicalizzato dalla prospettiva di un probabile ritorno del centrodestra al potere. Gli alleati politici di Ferrara debbono essergli grati, e infatti lo abbracciano. I suoi avversari, almeno alcuni, lo difendono anche per non trovarsi in cattiva compagnia. E la Chiesa cattolica, sebbene fredda sulla sua lista antiabortista, lo difende. Anche perché nell’intolleranza contro di lui tende a vedere non solo i residui del comunismo, ma una degenerazione del laicismo.
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