È stato il momento più commovente dei sei trascorsi negli Stati Uniti. Come il discorso all'Onu conteneva la consegna a edificare un'umanità riconciliata, la sosta a Ground Zero è stata il momento dell'invito alla speranza e alla responsabilità: una speranza vera, realistica, dinanzi a nuove forme di manifestazione dell'odio, superiori a qualsiasi capacità di immaginazione; una responsabilità che chiama in causa l'intera famiglia umana, sull'esempio di quanti si sono sacrificati nelle operazioni di soccorso in quelle terribili ore.
«per tutti gli uomini e le donne innocenti vittime della tragedia» degli attentati ma anche per i terroristi. «Volgi verso il Tuo cammino di amore - ha detto con un filo di voce Ratzinger invocando il «Dio della Pace» - coloro che hanno il cuore e la mente consumati dall'odio».
di Gianluca Biccini
Tratto da L'Osservatore Romano del 22 aprile 2008
New York, 21. È sceso da solo, in silenzio, la veste bianca agitata dal vento freddo, nel cratere di Ground Zero. Così come da sole le 2. 479 vittime di quel tragico 11 settembre di sette anni fa andarono incontro alla morte.
Nell'ultimo giorno del viaggio apostolico negli Stati Uniti, la mattina di domenica 20 aprile, Benedetto XVI ha voluto rendere omaggio a tutti i caduti a causa della furia dell'odio e a quanti, come molti newyorchesi in quella dolorosa occasione, sono capaci di gesti di solidarietà. Una preghiera nel luogo dell'immane crollo delle torri gemelle del World Trade Center, fino a quel momento uno dei simboli dell'inconfondibile skyline di Manhattan. Ora quella voragine che sprofonda nel sottosuolo è divenuta un moderno sacrario. Qui in una grigia e nebbiosa mattina, dopo le precedenti assolate giornate trascorse in America, Benedetto XVI è venuto a parlare di speranza a un popolo che ancora ha paura. A un Paese che vive blindato nell'angoscia che il terrore possa tornare, come dimostrano le straordinarie misure di sicurezza messe in atto in questi giorni, soprattutto nella "grande mela".
È stato il momento più commovente dei sei trascorsi negli Stati Uniti. Come il discorso all'Onu conteneva la consegna a edificare un'umanità riconciliata, la sosta a Ground Zero è stata il momento dell'invito alla speranza e alla responsabilità: una speranza vera, realistica, dinanzi a nuove forme di manifestazione dell'odio, superiori a qualsiasi capacità di immaginazione; una responsabilità che chiama in causa l'intera famiglia umana, sull'esempio di quanti si sono sacrificati nelle operazioni di soccorso in quelle terribili ore.
Giunto in automobile presso la rampa che scende verso il "bed rock", la roccia viva di Manhattan, accompagnato dal cardinale Egan, arcivescovo di New York, a metà del percorso Benedetto XVI ha proseguito a piedi tra due ali di bandiere fino al cuore di Ground Zero. Qui, in quello che si presenta oggi come un enorme cantiere, con le gru, le attrezzature degli operai che lavorano alla ricostruzione, lo attendevano il sindaco Michael Bloomberg con i governatori degli Stati di New York, David A. Patterson, e del New Jersey, John Corzine, e i membri del seguito papale. Il suono lontano di cornamuse e struggenti note di Bach - eseguite dal primo violoncellista della filarmonica di New York - hanno preceduto i tre minuti di assoluto silenzio durante i quali Benedetto XVI, inginocchiato, si è raccolto dinanzi a un piccolo specchio d'acqua, simbolo della vita.
Nel tetro scenario di violenza e di dolore, il Papa ha acceso un cero, prima di elevare la preghiera a ricordo delle vittime (ne pubblichiamo il testo italiano in prima pagina). Subito dopo ha asperso il suolo nelle quattro direzioni dei punti cardinali e ha impartito la benedizione. Infine ha scambiato commosse parole con ventiquattro persone coinvolte nella tragedia: sedici familiari di vittime, quattro sopravvissuti, altrettanti soccorritori. Al termine, ha fatto rientro nella residenza newyorchese dove si è congedato dal personale e dai collaboratori della Missione permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite.
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