domenica 27 aprile 2008

IL VALORE TERAPEUTICO DELLA RICONCILIAZIONE

Da qui la necessità di un approccio rinnovato al sacramento, per riconciliare, i due aspetti che anticamente racchiudeva il termine salus, ossia salute fisica e salvezza.
Occorrerà certamente superare la dualità secondo cui la salute apparterrebbe alla scienza, la salvezza alla fede.

L’esasperazione di questo conflitto ha portato al formarsi di una cultura di morte che si rivolge contro l’uomo, contro la sua salute e, soprattutto, contro la sua salvezza.

di mons. Tommaso Stenico


Qualche quotidiano ha dato conto di una notizia che probabilmente ai più o è sfuggita, o alla quale non è stata data sufficiente attenzione.

Mi riferisco a un convegno liturgico-pastorale che ha posto a tema la teoria del valore terapeutico della riconciliazione.

Si è trattato di una prospettiva interessante, rispondente tra l'altro alla cultura del nostro tempo che vede nella salute integrale dell'uomo un obiettivo da raggiungere il vertice.

Crediamo anzitutto che la salvezza che il Signore offre e alla quale egli costantemente chiama non può essere confusa con una salute psicosomatica che tuttavia - come insegna Gesù nel Vangelo - non può essere esclusa, ma addirittura compresa.

Una visione antica-moderna soprattutto se richiamiamo alla mente la terminologia latina del “remedium” o “eucologia”, ossia preghiere e orazioni, riferite all’ascolto della Parola di Dio, al digiuno, alle opere di carità e al sacrificio.

Ebbene: la forza senatrice del perdono va oltre la semplice questione spirituale.
Secondo le conclusioni cui sono giunti i liturgisti che hanno partecipato al convegno in parola vi è una dimensione terapeutica vera e propria del sacramento della penitenza che fonda le sue radici nell'Antico e del Nuovo Testamento e che riguarda direttamente l’uomo d’oggi.


Si tratta di una prospettiva tradizionale della teologia e nella liturgia delle chiese orientali e che trova sensibili le chiese protestanti.

Risponde alla cultura del nostro tempo che cerca di recuperare l'unità della persona, che vede nella salute una realtà che implica tutti gli aspetti della vita umana, e il peccato come infermità, come incapacità di relazionarsi con se stesso, con il prossimo, con le cose, con Dio.

In questo processo il pentimento serve proprio come medicina e la riconciliazione come cura.

Negli ultimi decenni vi è già stato chi ha parlato di una " teologia terapeutica ".
Diversi studi sono stati condotti, soprattutto da quella parte della medicina non ufficiale e da vari teologi e liturgisti che si sono interrogati su una realtà che nel mondo occidentale sembrava essere stata sepolta e che ora ritorna in auge grazie alle “provocazioni” delle nuove forme di religiosità ispirate ai riti orientali.

Ma è poi così distante la cultura spirituale e liturgica occidentale dal concetto e dalla pratica di una cultualità sanante?

E cosa ha realmente spinto il mondo scientifico e quello teologico a studiare più approfonditamente quest'aspetto?

Forse la nostra società, con tutti i mezzi della tecnica e della scienza, si sente ancora molto malata e bisognosa di cure di diverso genere, che riportino al centro l’integrità psicofisica della persona?

E’ innegabile lo stretto legame tra medicina e religione; ma quanto più forte lo è a livello storico, tanto più appare debole all’uomo occidentale dei nostri giorni il “senso” di questo rapporto.

Generalmente, infatti, non ci sono più attese di “guarigione religiosa” delle malattie, in quanto non è più riconosciuta una connessione intima tra religione e salute/benessere e per tanto ciò che era attribuito al mondo religioso viene oggi demandato ad altri ambiti e i problemi sembrano semplificarsi e risolversi più facilmente. Almeno così a partire dall’Illuminismo, passando per il Positivismo, fino ai nostri giorni con certo scientismo.

E’ necessario riprendere coscienza di prassi e temi non ignoti neppure ai nostri più lontani antenati per poter comprendere oggi il valore della la riconciliazione e di questa come via di guarigione.

Conosciamo dalla storia delle religioni che dovunque e sempre a fenomeni di guarigione precedevano forti momenti di espressioni religiose, quali invocazioni, sacrifici, pratiche e riti.

Ed è quindi naturale che venga recuperata anche ai nostri giorni una dimensione più qualificante dell'unitarietà psicofisica dell'uomo.

La Salvezza cristiana è in stretto rapporto con il tema della salute, e sotto molteplici aspetti. L'uomo salvato, nella sua dimensione escatologica, è l'uomo che ritrova la gioia e la gloria dell'armonia infranta, è l'uomo realizzato finalmente nella sua integrità psichica, corporea, spirituale, relazionale.

Anche nella vicenda storica il Cristiano deve tendere a questa composizione della propria realtà creata nell'armonia e nell'ordine delle diverse componenti e dimensioni. Questo chiede il rispetto e la promozione della salute personale, sociale, ambientale come un valore che merita passione e dedizione.

Tornando al nostro tema, non dobbiamo dimenticare che il peccato è generalmente considerato, sotto il profilo teologico, com'è la distorsione della libertà; esso rivela, inoltre, la volontà di sottrarsi alla condizione di dipendenza da Dio.
E la capacità dell'uomo di riconoscere il peccato è opera di Dio.


Egli, con parte offesa, concede la sua misericordia; la gioia del perdono fa sì che l'uomo non si chiuda più in se stesso, ma sia ricreato dall'opera dello Spirito Santo.

Eppure le inchieste più recenti mostrano una disaffezione verso il sacramento della Penitenza. Ciò che risulta problematico oggi è la confessione e la concezione stessa del peccato.

Difficoltà dovute all’emergere di problemi morali nuovi e ai nuovi modi di porsi di fronte a questioni morali antiche, insieme alla difficoltà ad assumersi la responsabilità delle scelte sbagliate.

Da qui la necessità di un approccio rinnovato al sacramento, per riconciliare, i due aspetti che anticamente racchiudeva il termine salus, ossia salute fisica e salvezza.
Occorrerà certamente superare la dualità secondo cui la salute apparterrebbe alla scienza, la salvezza alla fede.


L’esasperazione di questo conflitto ha portato al formarsi di una cultura di morte che si rivolge contro l’uomo, contro la sua salute e, soprattutto, contro la sua salvezza.

Solo una visione antropologica integrale della persona faciliterà questa doverosa comprensione e complementarietà.

Gli stessi limiti della scienza invocano l’esigenza di guardare alla salute nella prospettiva più ampia della salvezza la quale, secondo l’insegnamento di Cristo, è opera dell’amore e si conquista soltanto attraverso l’amore.

Il sacramento, e quello della Riconciliazione che è oggetto della nostra riflessione, oltre alla dimensione di segno, ne ha pure una di «strumento». Pertanto nella condizione psicofisica di salute possiamo leggere l’opportunità, offerta a ogni persona, di lavorare alacremente per l’avvento del regno, per sollevare le membra sofferenti dell’umanità e di mettere a profitto il tempo limitatodella vita.

La salvezza cristiana guarda al suo compimento oltre la storia, ma non senza la storia bensì attraverso e attraversando la storia. La salvezza cristiana parla di una “vita eterna” cominciando a ravvisarla e a costruirla dentro la fragilità e la labilità dei nostri vissuti.


Forse salute e salvezza non sono mai state così separate come abbiamo voluto credere, compiacendoci della nostra modernità.
Forse, non siamo mai stati moderni!
mo voluto credere, compiacendoci della nostra modernità. Forse, per usare ancoraun’espressione di Latour, «non siamo mai stati moderni.




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