Quando si parla di bambini se ne sentono di tutti i colori.
Gli adulti di oggi sono i bimbi di ieri.
VOGLIO VOGLIO VOGLIO
I genitori di questi adulti sono l'esito del sesantotto,hanno dato quando non c'era da dare hanno tolto quando c'era da dare.
Cosi' ora questi poveri ragazzi che desiderano diventar padri e che non riescono vogliono almeno il giocattolo su misura.
Lo vogliono piccolo,sano,e soprattutto che non li deluda con il passar del tempo.
Cosa importa se ci sono bambini che cercano genitori e non corrispondono alle caratteristiche?
Il giocattolo e' per loro e se non corrisponde alle caratteristiche lasciamo sulla mensola.
di Gerolamo Fazzini
Tratto da Avvenire del 5 aprile 2008
L’adozione internazionale in Italia è al giro di boa. Sono passati 15 anni da quando il nostro Paese ha aderito alla Convenzione dell’Aja, 10 da quando l’ha ratificata. Due date simboliche che offrono un’occasione preziosa per tirare un bilancio, ancorché provvisorio, sul fenomeno e sui trend in atto.
Lo scenario internazionale è segnato da una contraddizione che appare insanabile, una sorta di 'corto circuito'. Proprio in questi giorni lo denunciano gli esperti radunati a Venezia dal Ciai, uno degli enti più noti e 'storici' tra quelli italiani che si occupano di adozioni internazionali. In sintesi: mentre non diminuisce affatto – anzi! – il numero di bambini che in giro per il mondo affollano gli istituti (perché orfani o senza una famiglia in grado di educarli adeguatamente), va calando il numero delle adozioni complessive: erano 45mila nel 2004 (a livello mondiale), sono scese a 42mila nel 2006.
In realtà, a leggere bene i dati una buona notizia c’è: significa che sta aumentando l’adozione nazionale. Tradotto, un certo numero (crescente) di bambini trova nuovi e definitivi genitori nel suo Paese di origine. E questo è senz’altro un bene, perché consente di evitare alcuni problemi che possono presentarsi ogni volta che una persona viene, pur con tutte le precauzioni del caso, sradicata dalla sua terra e dalla sua cultura.
Intanto, però, le coppie italiane si chiedono perché debbano aspettare tempi così lunghi per poter vedere realizzato il loro sacrosanto desiderio di paternità e maternità quando, nel mondo, il numero di bambini che hanno bisogno di un papà e di una mamma rimane notevolmente alto. Anch’io e mia moglie abbiamo provato sulla nostra pelle quanto bruci questo interrogativo.
La risposta è amara, ma bisognerà pur dirla: 'domanda' e 'offerta' non si incrociano. Diciamolo con un linguaggio più adatto al contesto, meno 'mercantile': le coppie italiane sognano bambini da adottare troppo diversi da quelli che, nella realtà, hanno bisogno di essere accolti in casa. I genitori adottivi vorrebbero figli piccoli, possibilmente sani (desiderio in sé legittimo e totalmente comprensibile: quale mamma naturale non prega perché il bimbo che porta in grembo nasca senza problemi?). Ma gli organismi autorizzati all’adozione ricevono, ormai prevalentemente, segnalazioni di bambini in età scolare, spesso con problemi di ordine sanitario o di altro genere.
C’è bisogno allora di un supplemento di apertura, di una responsabilità più matura e coraggiosa; c’è da allargare la tenda dell’ospitalità. Nulla a che vedere – intendiamoci – con un generico atto di 'buonismo', l’adozione è ben altro.
È un appello che gli enti fanno, a nome e per conto dei bambini, alle mamme che si candidano a prendere in casa figli che non vengono dalle loro pance. Alle future mamme e, ovviamente, ai loro uomini. C’è bisogno di un salto di qualità, insomma, ora che l’adozione internazionale in Italia ha vissuto una prima fase di assestamento.
Ma ad essere chiamate in causa non sono solo le famiglie. Anche gli enti (e chi ne dovrebbe controllare trasparenza e serietà) debbono fare la loro parte. Già, perché il 'faida- te', mandano a dire da Venezia, non è ancora una piaga estirpata. E il tasso di 'disinvoltura' di taluni enti nel gestire alcune vicende di adozione chiede, da parte dello Stato e degli organi competenti, interventi più incisivi di quanto non siano stati sin qui. Non crediamo di esagerare se diciamo che le modalità di gestione dell’adozione internazionale possono essere inserite, a pieno titolo, tra i parametri che dicono quanto un Paese possa oggi dirsi civile. Ebbene, se all’Italia sta a cuore la sua dignità occorre che nuovi, urgenti e decisivi passi avanti si compiano anche su questo fronte. La politica ne prenda nota.
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