di Riccardo Barenghi
Tratto da La Stampa del 4 aprile 2008
Ci dispiace dover difendere Giuliano Ferrara.
Per due motivi, il primo è che le posizioni che sostiene sull’aborto non ci trovano d’accordo. E tantomeno la sua decisione di presentarsi alle elezioni con un sola idea in testa, appunto quella della crociata antiabortista. Quando, come si dice con una frase fatta, i problemi del paese sono altri, molto più seri, molto più gravi, e di difficilissima soluzione.
La seconda ragione è che proprio perché lui sostiene una posizione politica sbagliata (a nostro giudizio ovviamente), rischia di trasformarsi nell’unico bersaglio di una campagna elettorale che per il resto si trascina stancamente verso il giorno del redde rationem. Un bersaglio che diventa meccanicamente una vittima, e le vittime hanno sempre ragione anche quando hanno torto. Ma abbia ragione o torto, ha tutto il diritto di sostenere le sue idee in qualsiasi piazza, cinema o teatro del Paese senza che nessuno glielo impedisca.
L’altro ieri a Bologna, ieri a Pesaro, domani chissà dove: con questo andazzo finisce che Ferrara e la sua lista pro-life diventino i protagonisti della battaglia politica, paradossalmente proprio grazie a chi invece la pensa nel senso opposto. L’intelligente giornalista oggi sceso nell’agone politico non poteva sperare in uno spot elettorale migliore di questo. Ma il resto del mondo, altrettanto intelligente, spera che invece questa storia cessi di esistere: ci manca solo che la campagna elettorale finisca nel più grottesco dei modi possibili.
Peccato che quelli che gli tirano uova, pomodori e ortaggi vari, tanto intelligenti non siano. Più che altro ricordano quei cretini di epoche passate che passavano il tempo facendo finta di far politica. Per carità, in democrazia si può e si deve discutere, polemizzare anche aspramente, contestare anche duramente (Ferrara ne è teorico e maestro), ma non si può oltrepassare il limite che la stessa democrazia impone. Ossia consentire all’avversario di poter parlare, tantomeno colpendolo fisicamente con oggetti o alimenti. Costringendolo a smettere il suo discorso, provocando interventi della polizia, dando vita a scontri di piazza di cui francamente non si sentiva affatto il bisogno.
Tanto più che la materia del contendere, ossia il diritto delle donne ad abortire, non è in pericolo. Non lo è perché nessuno, a destra, al centro e a sinistra, lo mette in discussione. Perfino Casini difende la legge 194. Persino la Chiesa alla fine del conti non ha un vero interesse a scendere in campo sul serio in una crociata del genere. Parla, dice, lancia moniti ma non si getta nella mischia, tanto che la lista di Ferrara non sembra aver ricevuto una grande appoggio Oltretevere: le gerarchie vaticane sono più realiste di quel che si crede e puntano sui cavalli che possono vincere. I loro interessi sono molto, ma molto più vasti e concreti, anche per loro l’aborto diventa secondario rispetto alla posta in gioco. Ossia il governo del Paese.
È dunque stupido e troppo facile prendersela con Ferrara. Che ci vuole, lui sta lì, parla, provoca, dice cose abnormi, ha bisogno di farsi vedere, di suscitare scandalo, di mobilitare gente che lo difenda (e magari lo voti). Proprio perché in realtà quasi nessuno lo voterà, tanto che non riuscirà neanche a superare il muro del 4 per cento per entrare alla Camera, una meteora che fischia e se ne va (Celentano). Peccato che in Italia ci siano ancora ragazze e ragazzi che non capiscano neanche il gioco più elementare e abbocchino come pesci a un amo senza esca. E allora vai con pomodori e uova, vai con insulti e scontri, vai col casino per il casino. Senza neanche rendersi conto che se capitasse a loro, se un giorno o l’altro si trovassero su un palco a esprimere opinioni legittime quanto discutibili - come tutte le opinioni - non sarebbero felici di diventare bersagli di contestazioni verbali e fisiche. Strillerebbero come aquile, protesterebbero sventolando il loro sacrosanto diritto di parlare, si appellerebbero a questo mondo e a quell’altro, evocherebbero il fascismo che resuscita. Provare per credere.
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