Famiglia di Claudio Risé
Tratto da Il Mattino di Napoli del 28 aprile 2008
Siamo sicuri che l’Italia pensi che la famiglia sia utile? Le dichiarazioni ufficiali non si stancano di ripeterlo, ma i comportamenti fanno pensare a modelli diversi, tipo Unione Sovietica, dove la famiglia venne quasi totalmente sostituita dai servizi sociali.
L’ultimo caso noto è quello dei due fratellini di Basiglio, sobborgo di Milano, tolti alla famiglia e affidati ai servizi per un disegno erotico fatto, sembra, da altri, e infilato sotto il banco della bambina, di nove anni. Nel disegno una bimba è sopra un ragazzino. Sotto una scritta: «Giorgia le domeniche fa sesso con suo fratello per dieci euro». La scrittura non è della bimba, che ha detto: «L’ha fatto la mia compagna per farmi dispetto, perché ho i dentoni, e sono povera».
In effetti la famiglia, di onesti lavoratori, è povera in confronto ai residenti nelle ville unifamiliari di questa privilegiata e verde periferia. Basiglio, infatti, modesto paese dell’hinterland milanese, è diventato il comune più ricco d’Italia per via delle nuove residenze extra lusso. I due fratellini, in ordine, ma non all’ultima moda, vengono derisi dai compagni, con botte e scherzi pesanti. Come, forse, questo.
In ogni caso, anche se la grafia non è quella della bambina; anche se di solito i bambini con comportamenti devianti non si autoaccusano di fronte alla classe; anche se il giudice ha «dubbi consistenti» sul fatto che sia davvero la bambina ad aver fatto i disegni, non escludendo «addirittura che non ne abbia fatti», e ammette che «il maschio non ha mai dato problemi», dopo qualche giorno in casa dei fratellini arrivano un vigile e due assistenti sociali, intimando alla madre: «Tranquilla e non faccia scene, prepari le cose dei suoi bambini e ce li consegni».
Come in altre vicende, simili, non è facile capire il comportamento delle strutture pubbliche. Per esempio: prima di comparire per portare via i bimbi, i servizi sociali non si erano mai occupati di questa famiglia. «Gente perbene», dice chi li conosce. Il giudice, pur riconoscendo che il ragazzino (tredici anni compiuti proprio il giorno in cui è stato prelevato da casa) non ha mai fatto nulla di male, ne lamenta le «importanti carenze in ambito scolastico, a conferma di una scarsa capacità dei genitori di seguirlo». Da qui l’allontanamento, l’affidamento alle strutture, la nomina degli «esperti»: la grafologa, la psicologa e gli altri a seguire.
Ma siamo sicuri che la macchina psico-giudiziaria sia meglio della famiglia in cui sei nato? Salvo il caso di gravi maltrattamenti e abusi, di solito non è così. I costi di queste separazioni traumatiche sono elevatissimi sul piano affettivo e psicologico, e non sempre rimediabili. I costi pubblici dell’improbabile apparato assistenziale chiamato a sostituirsi alla famiglia poi, sono proibitivi, e spesso le strutture di affidamento danno garanzie infinitamente minori di quelle delle famiglie di origine. Colpevoli, spesso, solo di essere «diverse». Come la famiglia dei due fratellini di Basiglio: lavoratori meridionali nel «sobborgo d’oro» di Milano.
Il senso di accerchiamento vissuto dalle famiglie è tale che, per difendersi da queste violenze, oltre che dalla gestione giudiziaria delle separazioni, sono nate associazioni e centri come «Genitori separati dai figli» (www.gesef.it), o «Ancora genitori» (www.centrostudi-ancoragenitori.it), coraggiosi tentativi di autodifesa familiare e genitoriale.
Lo Stato, però, è a fianco della famiglia, o contro di essa? Proprio in questi giorni si sta per formare un nuovo governo: è un’ottima occasione. Se davvero crede nella famiglia, lo dimostri.
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