. Bisogna ricordare una cosa apparentemente ovvia, che insegnare richiede responsabilità, amore per i giovani, ma anche capacità di trasmettere esempi e valori, senza i quali la scuola può divenire un luogo di cui aver paura, un inferno come è accaduto alla ragazza vittima dell’aggressione. Per questo da sempre la Chiesa impegna tutta se stessa nella cura delle nuove generazioni.
Un orizzonte etico per la scuola di tutti
di Carlo Cardia
Tratto da Avvenire del 26 aprile 2008
Forse la nostra scuola è malata. La violenza di gruppo su una compagna di scuola, verificatasi in una cittadina con video-choc sull’oltraggio arrecato, è il più grave di una serie di fatti verificatisi di recente, che hanno coinvolto ragazzi e docenti.
Alcuni sono episodi di torbida trasgressione sessuale, con protagonista qualche professore, altri lambiscono il mondo della droga, o esprimono spavalderia, esibizione di stupida forza tra ragazzi. Colpisce che a volte i responsabili restino al loro posto, o vi tornino presto, mentre le notizie finiscono in cronaca per esser presto dimenticate.
Se non si può dare un giudizio negativo sulla scuola italiana nel suo complesso, si devono indicare però i pericoli che sono davanti a noi.
C’è il rischio che nella scuola si esaurisca la funzione educativa sua propria, e alcune scuole divengano brutte palestre per chi le frequenta. Bisogna ricordare una cosa apparentemente ovvia, che insegnare richiede responsabilità, amore per i giovani, ma anche capacità di trasmettere esempi e valori, senza i quali la scuola può divenire un luogo di cui aver paura, un inferno come è accaduto alla ragazza vittima dell’aggressione. Per questo da sempre la Chiesa impegna tutta se stessa nella cura delle nuove generazioni.
È in discussione il ruolo dell’insegnamento nella formazione della persona. Nella scuola non si acquisiscono soltanto conoscenze, si formano i caratteri, si allena la mente e si educa la coscienza, con rispetto e delicatezza ma senza tacere l’importanza del discernimento. Socrate era troppo ottimista quando affermava che basta conoscere il bene per farlo, ma certamente se non si conosce il bene si scivola verso il male, e si può finire sull’orlo dell’abisso.
Chi vive in mezzo ai ragazzi sa che è faticoso realizzare un progetto formativo, ma anche che è molto facile parlare con loro, se si dimostra passione e si fa sentire che si vuole trasmettere qualcosa di importante e di impegnativo.
Educare vuol dire alimentare la capacità di valutazione per affrontare la complessità del mondo, saper vedere il male che viene dalla violenza o volontà di sopraffazione, e il bene che deriva dal rispetto e dall’amore per gli altri, distinguendo l’appagamento dell’oggi dalle scelte che valgono per tutta la vita.
Se si perde di vista questo nucleo essenziale della funzione educativa, il resto si immiserisce, molte cose divengono banali e mortificano la giovinezza.
Chi opera nella scuola sa che questi valori si trasmettono con la parola e la riflessione, ma soprattutto con l’esempio, con il modo d’essere e di presentarsi dell’adulto. L’errore più serio può essere quello di scendere di livello, piegarsi a un finto cameratismo, per meglio farsi accettare dai giovani.
Avviene tutto il contrario, e ciascuno di noi lo sa anche per la memoria della propria giovinezza. Quando l’adulto dismette il proprio ruolo per comportarsi scioccamente (o peggio) ottiene l’effetto opposto, abbassa la stima, suscita commiserazione, rende vano ciò che dice o chiede ai ragazzi. Anche il buon gusto, il pudore di sé, la lealtà nei comportamenti, sono parte integrante del bagaglio di valori da trasmettere.
C’è contiguità con il ruolo dei genitori, nel quale l’amore per i figli si unisce alla responsabilità, all’impegno nel dotarli di un progetto etico che li aiuti nel crescere.
L’età giovanile è per sua natura esigente, e la gioiosità e spensieratezza non vanno scambiate per disimpegno, perché quando si indicano mete da raggiungere, o si propongono valori impegnativi, i ragazzi ne sono attratti e stupiscono gli adulti.
Anche perché i giovani hanno una sorta di intuito nel capire l’adulto, se agisce per convinzione o per abitudine, o se addirittura coltiva qualche malsano disegno di utilizzarli o sfruttarli.
È quasi un dono proprio della giovinezza, un talento per affrontare i pericoli che ancora non si conoscono.
Economisti, sindacalisti, industriali ci ripetono quasi ogni giorno che nella scuola si gioca il futuro della società, la capacità del nostro Paese di crescere e competere con gli altri nel mondo della globalizzazione.
È del tutto vero, ma se nella scuola non si riparte dal rapporto tra conoscenza e formazione della persona, se non si innesta il progetto formativo in un orizzonte etico che fa crescere i giovani e la loro coscienza, ogni progetto può fallire.
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