lunedì 7 aprile 2008

LE LEGGI DEI NUMERI NON SI ADDICONO A QUELLE DELL'ANIMA

Nessuno sconcerto di fronte ai dati recenti secondo cui risulta che i cattolici sono il 17,4% della popolazione e i musulmani il 19,2%
L’osservatorio di Paolo Mosca
Tratto da Avvenire del 5 aprile 2008

Viviamo aridi tempi di Auditel televisivo. Secondo i “malati di statistiche”, nel terzo millennio vincono i numeri sempre e comunque.
Permettetemi una domanda? Le leggi dei numeri valgono anche quando si parla di spirito, di momenti dell’anima, di fermenti religiosi? Io dico no. Del resto fu Gesù a dire: “Il mio regno non è di questo mondo”. E ancora lui, nelle pagine delle Sacre Scritture, a definire “piccolo gregge” il popolo di fedeli che andava convertendosi al suo messaggio rivoluzionario. Dunque nessuna reazione scomposta di fronte ai dati comunicati nei giorni scorsi dall’Annuario della Santa Sede, in cui risulta che nel 2006 i cattolici sono fermi al 17, 4 per cento della popolazione planetaria, mentre i musulmani sono al 19, 2 per cento. Se però ai cattolici si aggiungono le creature cristiane nel mondo (ortodossi, anglicani, protestanti) l’insieme sale al 33 per cento. Dunque prendiamo le distanze dalla filosofia dei numeri: altrimenti le poche migliaia di monaci buddisti che in questi mesi mettono in crisi la muraglia cinese in vista delle Olimpiadi, non sarebbero che dei poveri disperati senza futuro.
E invece resistono, e vengono ammirati dall’immaginario collettivo mondiale: anche se pensate, nel Tibet, prima dell’invasione cinese degli anni Cinquanta, c’erano più di 6. 000 monasteri buddisti.

Quello che conta, è lo spirito dei movimenti religiosi, il coraggio di portare avanti le proprie idee a testa alta, e nei casi estremi, essere pronti a pagare con la vita le convinzioni dell’anima.

Benedetto XVI non perde occasione per ribadire l’importanza dell’interreligiosità, del reciproco rispetto tra fedi differenti. E il suo comportamento è lineare, limpido. Con fermezza e dolcezza, non risponde mai alle provocazioni, al vilipendio, alle interpretazioni distorte dei suoi illuminati interventi. Tanta coerenza e tanto coraggio da parte del Pontefice, dovrebbe essere uno sprone per i fedeli, troppo spesso “non impegnati” pubblicamente nelle proprie convinzioni religiose. Il Papa non ci chiede imprese eroiche: ma la coerenza in famiglia, nei posti di lavoro, tra gli amici, e ovviamente con coloro che sono ostili preconcetti alla nostra fede. Cito piccoli gesti, che sarebbero indicativi della nostra generosità d’animo. È troppo chiedere a un capofamiglia di farsi il segno della croce prima del pranzo o della cena, con i familiari seduti intorno alla tavola? O un segno di croce anche a un giovane, all’inizio di un viaggio in auto, prima di avventurarsi nel traffico impazzito delle nostre strade?

Sarebbero gesti considerati straordinari, e qualcuno sarebbe così banale di ironizzare su un “papà o su un figlio all’antica”. Ma esistono gesti più “moderni” che noi cattolici possiamo compiere.

Andare ogni domenica alla messa, inginocchiandoci quando occorre, rispondendo a voce alta alle parole del sacerdote, partecipando con i fedeli al segno di pace, mettendoci in fila davanti a un confessionale, ricevendo la Comunione con fierezza.

Una mezz’ora alla settimana per dimostrare chi siamo ai fedeli di altre religioni: per gioire della dolcezza e della forza di Cristo che entra nel nostro corpo, come duemila anni fa. Se tutto questo avvenisse con i familiari seduti al nostro fianco, saremmo oltretutto un esempio per tanti fedeli più timidi dal carattere introverso. Non occorre essere sacerdoti per accarezzare l’anima del prossimo. Anche se, tornando ai numeri, c’è da dire che i preti sono segnalati in aumento di 700 unità: spuntano da Asia, Filippine, India, Corea, Vietnam, Giappone, Africa, e America Latina. Sì, il “piccolo gregge” resiste, dà segni di nuova vitalità. Tocca ciascuno di noi aiutarlo a crescere.



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