di Comunione e Liberazione
QUESTA
È LA VITTORIA
CHE VINCE
IL MONDO:
LA NOSTRA
FEDE.
NON RIVISTI DALL'AUTORE
RIMINI 25-27 APRILE 2008
Venerdì sera – Visione video dal Brasile - Carròn
Ho voluto cominciare con ciò che abbiamo visto, come segno di un metodo tutto impostato sulla precedenza data a quello che Cristo fa tra di noi; prima di ogni nostra mossa. Noi non desideriamo altro che quello che lui fa in mezzo a noi. È il primo dono che il Signore ci fa. “Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede. È un dono che risponde all’urgenza più grande: la nostra fede. Gesù presente vivo qui ed ora. L’incombenza della domanda di Cristo: “Ma il Figlio dell’Uomo quando verrà troverà ancora la fede sulla terra? Sembra esagerato dire ciò; ognuno può dirlo per sé ma a me non sembra per niente esagerato, per la difficoltà che tante volte abbiamo a riconoscere il Mistero come reale, presente in mezzo a noi. La SdC sulla fede: “Non è infrequente sentire il mistero come astratto. Ne ho sentite di tutti i colori! Non è che questa domanda non ci riguarda; ci riguarda eccome! Noi pensiamo che ci sia qualche percorso da compiere, che sia frutto di un ragionamento, di una deduzione, più che un riconoscimento. Come ha scritto uno di noi: “Pur avendo bisogno di una certezza, non riesco mai a fidarmi veramente del tutto. Quando ho sentito il Don Giuss che diceva: “La realtà non mi ha mai tradito”, mi sono commosso; come vorrei essere così anch’io! Sono immorale perché non mi fido, ma non mi fido perché la realtà mi sembra così contradditoria… e Cristo per me non è scandalo, ma mi sembra un’illusione”.
Uno può restare per tanti anni nel Movimento e continuare a sentire il Mistero come astratto e Gesù come un’illusione. “Ma per me è astratto”. Lo vediamo tante volte nel modo in cui noi parliamo del reale, in come noi descriviamo ciò che ci capita: il Mistero non c’è; al massimo, è semplicemente un sentimento o uno sforzo etico, non un dato del reale. È come se alla fine noi fossimo creatori di quello che affermiamo di credere, invece che testimoni; rovesciamo quello che diceva il Papa: “Noi siamo testimoni, non creatori”. In questo noi siamo veramente moderni! Per questo ci troviamo davanti a una sfida proprio culturale, che ci riguarda tutti; e per questo il Papa, nel documento dopo il Sinodo, ha detto che c’è bisogno di riconoscere Gesù come una persona reale, capace di rinnovare la vita di tutti. Non si può costruire se non sulla roccia; su ciò che è certo; senza certezza non si costruisce niente. L’importanza del percorso di questi ultimi anni: siamo partiti dal cuore, poi abbiamo imparato che il cuore non è il sentimento ma la ragione che occorre costantemente allargare, che raggiunge il suo culmine nella religiosità (cfr esercizi anno scorso).
YQuesta volta cerchiamo di arrivare fino in fondo a parlare della Fede che fiorisce come un fiore al culmine della ragione. Non smetto di stupirmi; guardate cosa aveva detto il don Giuss… sembra detto per oggi: “E’ impossibile vivere dentro un contesto senza esserne condizionati; nella mentalità dominante Dio è concepito come astratto, o addirittura negato; nel nostro spirito inquieto e confuso è presente la menzogna della mentalità del mondo, di cui noi stessi partecipiamo. Dobbiamo prendere coscienza di una mentalità che in realtà vuole censurare che Dio è tutto in tutto, rendendolo astratto: Occorre prendere coscienza del momento culturale in cui viviamo. Qual è allora la questione? Di cosa si tratta? Qui accade il primo spostamento. La prima cosa che ci verrebbe da pensare è qualcosa da dire o fare, o una preoccupazione etica; invece è anzitutto un problema di conoscenza. Don Giussani lo descrive così: la negazione del fatto che Dio è tutto in tutto è dipesa da una irreligiosità che inizia senza che nessuno se ne accorga, da un distacco che si opera tra Dio come origine e senso della vita, e Dio come fatto di pensiero. Quello che noi pensiamo su Dio non ha niente a che vedere con quello che Lui è a partire dall’esperienza. Ma questo ci accade senza che ce ne rendiamo conto. Non c’è cosa più concreta di Uno che mi sta facendo ora, e un attimo dopo diciamo che è astratto. E possiamo continuare a ripeterlo nonostante nell’esperienza Egli operi con una potenza inimmaginabile. Il rapporto tra Ragione ed esperienza soffre di un distacco: la nostra realtà, la nostra, è un dato e la ragione se è leale con se stessa, se non rinuncia alla sua natura, non può finire senza riconoscerlo all’opera. Noi siamo irragionevoli perché non sottomettiamo la nostra ragione a quello di cui facciamo esperienza; non allarghiamo la ragione fino a riconoscere il dato, il reale, nel suo sorgere, che è il Mistero. Basterebbe questo istante per rendersene conto. Cfr Peppone e don Camillo. “Anche se voi non venite in chiesa, Dio esiste comunque… Anche se siete scomunicati, Dio esiste comunque…. Se io ammetto che Stalin esiste e mi aspetta, perché tu non vuoi ammettere che Dio esiste e ti aspetta? E se il mondo su cui viviamo io, te e Stalin non fosse qualcosa che si tocca…” Basterebbe questo elementare segno… se i cieli non bastassero… Qualcosa di astratto è in grado di generare quello che avete visto? Dio, per venirci incontro perfino nelle nostre difficoltà e chinarsi di fronte al nostro bisogno, ci fa accadere davanti ai nostri occhi qualcosa di grande come ciò che abbiamo visto, per facilitare il nostro riconoscimento. E uno resta ammutolito davanti a quel che Lui fa. E la Sua presenza mi riempie di silenzio. Non perché dobbiamo tacere, non per essere più in ordine, ma per il riconoscimento della Sua Presenza in mezzo a noi. Offrendo il sacrificio di questo gesto, che non può non generare un sacrificio, perché il Signore abbia pietà di noi.
Don Pino (Omelia)
Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili. Già per quel che abbiamo visto e udito, possiamo ben cogliere dove la nostra libertà si collochi: permanere in questa irragionevolezza e irreligiosità oppure saldi nella fede. La saldezza non è anzitutto nella nostra forza e coerenza ma nell’aprirsi della nostra coscienza e della nostra ragione alla testimonianza che ci arriva nello stesso modo di 20000 anni fa. I primi che sono partiti in Brasile, quelli che sono protagonisti e testimoni del grande miracolo, dietro a don Giuss e a Julian. “Essi partirono e predicavano dappertutto mentre il Signore li accompagnava coi prodigi”. Ma come il cristianesimo permane ora e qui, è esattamente lo stesso; se siamo qui è innanzitutto per rinnovare la mendicanza e riconoscere come il Signore sta operando nella vita di ciascuno di noi e del nostro popolo.
Sabato mattina
Angelus - Lodi
Canti: - Il monologo di Giuda; - Canzone di Maria Chiara
Lettura telegramma Benedetto XVI
1) La fede, metodo di conoscenza. Questo sarà il primo punto.
a) Per la maggior parte della gente, anche per chi va in chiesa, il rapporto col divino, che dovrebbe essere concepito come origine e destino di tutto, sono parole. Noi non siamo tanto diversi, per quanto abbiamo visto ieri: il Mistero è astratto, lontano. La ragione di questo percepire il Mistero come lontano, ci dice don Giussani , è perché c’è un distacco in noi tra ragione ed esperienza. Cosa ha fatto e continua a fare il Mistero per aiutarci a vincere questo distacco, per evitare che Dio sia percepito come lontano, astratto. Per pietà di ognuno di noi il Mistero è entrato nella storia; per facilitare a ognuno di noi il suo riconoscimento Dio ha sfondato questa separazione, questo vuoto tra sé e l’esperienza dell’uomo. Dio, il Mistero che fa tutte le cose ha sfondato la lontananza, il vuoto che l’uomo porrebbe tra il tempo e lo spazio, cioè tra la realtà tangibile, godibile, e Dio. Il Mistero ha sfondato l’astrazione e la lontananza in cui l’uomo sempre lo confinerebbe. (…) Come Dio ha sventrato, ha sfondato la distanza in cui noi lo sentiremmo e lo terremmo? Come Dio ha sfondato questa lontananza? Incarnandosi, uscendo dal seno di una donna come un bambino; per farsi riconoscere, Dio è entrato nella vita dell’uomo come vita umana. Così che tutto il suo desiderio, tutti i suoi sogni ora sono tutti come bloccati, calamitati da quella “speranza che un giorno Lui ha suscitato in me”. Tutto il mio io è calamitato da Lui. Qui si vede l’importanza del metodo cui accennavo ieri, di questa precedenza data a quello che Lui fa; Lui non risponde alle nostre difficoltà con un ragionamento, ma con un fatto così attraente che suscita una speranza che non mi potrei sognare. Che lealtà occorre per lasciar spazio ogni istante a questa precedenza da quando, un giorno, Lui ha suscitato in noi questa speranza.
b) E come sappiamo che è capitato questo? Attraverso quel metodo di conoscenza che chiamiamo Fede. Parlare di Fede come metodo di conoscenza vuol già dire sottrarre la Fede al terreno dell’irrazionalità, del sentimentalismo, e restituirla al terreno della conoscenza, della razionalità vera e propria. Questo è decisivo per la ragionevolezza della Fede e della sua dignità culturale.
Ma qual è il punto di partenza di questo metodo? Basterebbe che ognuno guardasse un istante con piena consapevolezza la sua esperienza. Cosa ti ha portato qua? Cosa ti ha portato a credere? Ognuno di noi può rispondere semplicemente con le parole di Benedetto XVI: “All’inizio dell’esperienza cristiana non c’è…, c’è l’incontro con una persona”.
Parte da un fatto, che ha la forma di un incontro. Perciò la Fede ha una partenza fuori di noi. È un fatto, è una oggettività che sfida la soggettività dell’uomo. Niente di astratto o deduzione, già dall’origine è l’incontro con qualcosa fuori di me. Tant’è vero che nessun’altra cosa mi ha suscitato la stessa speranza. La fede è un gesto umano e, senza ragione sarebbe irrazionale, non sarebbe umana. La Fede porta in sé l’evidenza della sua ragionevolezza: è l’esperienza di un incontro. Siamo qui per l’incontro con un fatto così eccezionale che ci ha bloccati, calamitati; per la sua eccezionalità, perché nessun altra cosa corrisponde a tutte le esigenze del mio essere.
c) Per noi il Mistero non è qualcosa di ignoto, ma è qualcosa di incommensurabile che si rende accessibile e la sua incomprensibilità non è un accezione negativa, ma una qualità positiva.
“È talmente grande quello che vedo, che conosco, che non lo posso misurare, mettere in tasca”. (Balthasar). Ci accade come ai discepoli che hanno assistito alla pesca miracolosa. Non erano davanti all’ignoto, ma davanti a qualcosa che li superava da tutte le parti; per questo Pietro arriva a dire “Signore, allontanati da me”; ma lo dice non davanti all’ignoto (lo conosceva bene!), ma davanti al Mistero che strabordava. “Mai abbiamo visto una cosa simile”. Perché invece noi continuiamo a percepirlo come astratto, lontano? Per il distacco della ragione dall’esperienza. Forse ci aiuta a capire cosa vuol dire questo distacco questo passaggio del Vangelo: (cfr. guarigione dieci lebbrosi). Gesù rimane sbalordito: Ma come, non sono stati guariti tutti e dieci? Soltanto uno ha capito cosa è veramente successo. Non è solo il rimprovero dell’ingratitudine, ma l’accusare la mancanza di conoscenza, della portata di quello che era accaduto; è qui dove si introduce quella irreligiosità di cui parlava don Giussani; senza che ce ne si renda conto. Tutti hanno potuto toccare, vedere, udire, ma non l’hanno capito, e hanno perso il meglio. Come tante volte noi, lo diamo per scontato. Quell’unico lebbroso era un samaritano, uno che “non faceva parte”, ritenuto come uno che stava fuori, è lui che non lo dà per scontato. Dov’è il problema? Il problema è nell’uso della ragione davanti a quello che vediamo; è lì che si stabilisce l’irrazionalità, che riduciamo quello che vediamo con gli occhi e col cuore. Il problema della fede riguarda ciò che vediamo, tocchiamo, sperimentiamo, come la guarigione, che ci costringe ad allargare la ragione e a lasciare entrare questa presenza buona che entra nella vita.
Ma che cosa accetta questa sfida che entra nel reale? Cosa permette di conoscere senza riduzione a una misura nostra, per non perdere il meglio? Il cristianesimo ha un grande inconveniente: esige degli uomini, quel livello della natura in cui essa prende coscienza di sé. Perché se l’umanità non vibra… non ha altra arma il cristianesimo, se non l’essere umano che vive come tale. Per questo il desiderio dell’uomo che assicura la fede reale è il riconoscimento della sua presenza. Ma quel riconoscimento non è vero se non coincide col desiderio; perché il desiderio è l’unico gesto dell’uomo in cui la libertà si gioca per far posto al Signore. La povertà del cuore è il desiderio di quella presenza per la quale il cuore non si turba. Per questo per i semplici è più facile. Perché i sapienti non è che non vedono la risposta, è che non vedono l’enigma. Per questo facciamo tanta fatica; per questa mancanza di umanità a capire fino in fondo quello che è successo nell’incontro che ha suscitato la speranza. cfr. Teofilo di Antiochia: “Mostrami il tuo Dio”. “Mostrami prima l’uomo che è in te, poi io ti mostrerò il mio Dio”. Perché quello che ti posso dire è solo una risposta alla tua umanità; ma se tu non tiri fuori la tua umanità, io che risposta ti posso dare? Non c’è cosa meno credibile di una risposta ad una domanda che non si pone. Sant’Agostino: “Nulla mi basta che sia meno di Te”. Quando incontro Cristo, mi sento tutto attratto da Lui, e da cosa capisco che mi sento tutto attratto? Che non mi basta la guarigione. La guarigione senza di Lui, che me ne frega! Uno solo ha capito la portata di quello che era successo: attraverso la guarigione si era reso presente Lui. Arrivare alla fede è arrivare al suo riconoscimento.
E senza questo perdiamo il meglio. “Non basta nulla che sia meno di Te, oh Cristo”. Non ci basta nulla che sia meno di Lui. Un fatto così eccezionale da calamitarmi tutto. Ma tante volte, come gli altri, non sentiamo questa urgenza. Gesù non si arrabbia, si stupisce che non capiamo ma continua a testimoniare, come la mamma che continua a sorridere senza stancarsi, come cercando di far scattare quell’io del bambino che si esprime nel sorriso.
2) Perciò nella convivenza con lui emerge sempre di più la figura imparagonabile del testimone.
“Chi è costui?” Non ha in sé la spiegazione ultima, testimonia un Altro. Cristo, testimone del Padre. Se guardiamo alla nostra esperienza, che cosa ha impedito quella riduzione? Ll’imbatterci in una presenza.
“Chi è costui?”: qui si pone la questione della fede; uno dice di sì e l’altro dice di no. È il punto che fa venir fuori la libertà. E Gesù, per continuare a collaborare al destino di ognuno di noi, ci sfida mettendo davanti le opere. “Credete almeno alle opere!” Non potete chiudere la partita così! Le opere le avete davanti! Ma per provocare ancora la loro ragione e libertà, non si ferma qua, avrebbe potuto accontentarsi… ma li provoca ancora: “In verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché vi siete saziati. Procuratevi il cibo che non perisce e che dura per la vita eterna”. E compie l’ultimo passo della sfida “Chi non mangia della mia carne…”. Lui sapeva che senza questo passo tutto il resto non sarebbe stato sufficiente al loro bisogno umano, all’urgenza di riempire il cuore. Per arrivare alla fine, la fede non è un optional. Tutto sta in piedi solo se arriviamo lì. Per questo non si ferma: “Anche voi volte andarvene?”. Che spettacolo di libertà, quello di Gesù! Non cede, che passione per ognuno di noi! È la provocazione più potente alla libertà di Pietro. “Allora Simo Pietro dice: “Ma se andiamo via da te, dove andiamo? Se non credo a te, non posso credere più nemmeno ai miei occhi”. Questa è la vera, grande reale alternativa: o il niente in cui tutto va a finire (di ciò che ami non resterebbe niente) oppure quell’uomo lì a ragione, è quello che dice di essere.. Se noi ci accontentassimo di tutto e non lo riconoscessimo, alimenteremmo lo scetticismo. Arrivare alla Fede è l’unica cosa interessante e vera della vita. È il punto, il sorgere della Fede nel mondo, e durerà fino alla fine del mondo. Ma la partita non è finita finché non trova risposta quella domanda: “Ma chi è costui?”. Ma io da solo non riesco a identificare questo Mistero. Io non riesco a dire che questo Mistero che ho incontrato è Cristo; non riusciamo a dargli il suo nome. Anche per gli apostoli è stato così. Per questo il testimone non è solo chi desta la domanda ma chi anche vi risponde. È lui l’unico in grado di dare risposta alla domanda. Se un uomo qualsiasi vissuto ai tempi di Cristo gli avesse domandato chi era, Lui avrebbe risposto: “Io sono il mandato dal Padre” Implica il Mistero totale della sua persona. “Mandato”: cfr. vangelo di Giovanni: “E’ questa la spiegazione ultima della sua eccezionalità: “Io non sono solo; io e il Padre che mi ha mandato siamo una cosa sola”. Cristo è il testimone del Padre perché è il mandato dal Padre. Perché è ragionevole? Qual è la singolarità unica della testimonianza di Cristo? Lui mi porta il contenuto della verità come poteva portarmela sono il mandato dal Padre.” La presenza del Padre tra gli uomini. Non è un profeta che porta la Verità, Lui è la verità. Tra Socrate e Cristo, nel punto decisivo c’è solo opposizione. Cristo è la verità e la comunica comunicandosi; in Cristo, contenuto e metodo coincidono. Facendo accadere questa verità che Lui testimonia, facilita il nostro riconoscimento. Posso credere a Gesù di Nazareth per il testimone interno che sperimento nel rapporto con Lui. Per questo, se non credo a Te, non posso più credere a niente. Solo con Lui posso arrivare a quella conoscenza fino in fondo alla realtà e a me stesso, e scoprire che io sono di più me stesso. Io so che è Lui perché incrementa il mio essere; per questo ho bisogno di Lui. Incontro Gesù, ma è Lui soltanto se compie la mia umanità. Possiamo ricordare l’immagine del suonatore di…
Se la mia esperienza elementare giunge al culmine e mi fa dire “Io sono Tu che mi fai”, “Io sono Tu che mi attrai”, “Io ma non più io”. “Cristo me trae tutto tant’è bello”. La scoperta che il proprio io è attratto da un Altro. Che la sostanza del mio cuore è l’essere attratto da un Altro, e in questo si compie il mio io. Per questo, criterio del cuore e testimone camminano insieme; tra loro non ci può essere contraddizione, perché è il cuore che riconosce il testimone, per quell’esperienza di pienezza che nessun altro può darmi. Perciò, il giudizio circa la credibilità del testimone è opera della mia ragione; per mia conoscenza diretta, per l’impiego della mia ragione. La fede non suppone la fede, ma la ragione: “Se non credo Te, non posso più credere niente”. La fede è fede in Cristo. In questo modo Gesù compie lo scopo per cui è entrato nella storia: non riferimento ultimo a sé, ma al Padre; a sé perché Lui potesse condurre al Padre. Se noi ci fermiamo a qualsiasi guarigione, prima o poi diventeremmo scettici. Perché non basta se non è Te. Per questo la sua missione è essere testimone del Padre così come la Chiesa è testimone di Cristo. La contemporaneità di Cristo è la Chiesa. La Chiesa c’è per rendere visibile il Padre e il Figlio. La Chiesa è assolutamente interessata ad escludere qualsiasi autoreferenzialità, perché la Chiesa è come la luna: non rifulge di luce propria, ma di quella di Cristo. Attraverso la Chiesa è Cristo risorto stesso che continua ad attrarci, per portate all’Unico in grado di compiere. Non basta nulla che sia meno di Te. Se ci fermiamo prima, ci perdiamo il meglio. Lo vediamo nella vita, perché la Fede non è un optional. Nella Chiesa, i testimoni. Per noi il più importante, don Giussani. Lui ci ha affascinato proprio perché non ha portato le persone a sé, ma attraverso sé portarle a Cristo.
Che precedenza occorre dare a Lui che opera e che mi mette davanti dei testimoni!
3) La fede, riconoscimento del Mistero presente.
Se guardiamo a quanto abbiamo detto, c’è nella nostra esperienza qualcosa che viene da oltre, ma dentro la nostra esperienza.
Con quale strumento della nostra personalità cogliamo questa presenza? Con la Fede. Ne sentiamo il soffio, sorprendente, che non si può spiegare, ma che c’è. La Fede è una forma di conoscenza che è oltre la ragione. La ragione non può non percepirlo come percepisce che sei qua tu, ma non posso non registrare che c’è. Se non affermo qualcosa d’altro, non do ragione dell’esperienza. Non si riesce a vedere direttamente ma se dico che non c’è, sbaglio, perché elimino un dato di conoscenza. Esiste qualcosa che la ragione non può definire ma che si deve ammettere; c’è in me una capacità di conoscere un livello della realtà che è più grande del solito; perché mi allarga la capacità di capire. Cfr. Von Balthasar: (…) Non erano capaci di cogliere questa eccezionalità. Tutta la lotta di Cristo è per cercare di facilitarci il non fermarci all’esperienza sensibile ma riconoscere ciò che c’è dentro. Cosa ci facilita questo riconoscimento? Cfr. il Senso Religioso.
Il superamento di questo vuoto tra la mia ragione e la mia volontà di aderire avviene attraverso l’esperienza dell’autorità e della compagnia. Ma nel momento cruciale, neanche questo basta. Allora occorre una forza più potente; si chiama Cristo Risorto, il suo Spirito, che entra nel mondo per facilitare questo ultimo riconoscimento, che è pura grazia.
Lo Spirito compie ciò che la compagnia e il grande Uomo non sono riusciti a compiere.
La Fede è razionale in quanto fiorisce come un fiore di grazia cui l’uomo aderisce con la sua libertà.
Cfr. San Paolo: “Nessuno può dire “Signore” se non è sotto l’influsso dello Spirito Santo”.
Cristo, questo è il nome che indica definisce una realtà che ho incontrato nella mia vita.
Cristo si è imbattuto nella mia vita perché io capissi che è il punto nevralgico della mia vita, la vita della mia vita, in lui trovo tutto ciò che desidero e che cerco. “Io penso che non potrei più vivere se non lo sentissi più parlare”. È forse la frase che ho più citato nella mia vita (don Giussani) Vita della vita, certezza della vita, il Bene della vita. È una fede così che lui ci ha testimoniato, quello che ci ha voluto trasmettere, che non possiamo far altro che domandare, come dice il Vangelo: “Aumenta la nostra Fede”.
Sabato Pomeriggio
Canti: - La strada; - La santa allegrezza.
La vita nella fede.
1) Chi crede ha la vita eterna. La nostra persona a che cosa sta appoggiata? Su cosa sta?- più semplicemente si domandava don Giussani. Una domanda simile si fa il Papa nella “Spe Salvi” “La Fede cristiana è una speranza che sorregge la nostra vita?” Nella ricerca di una risposta, vorrei partire col riprendere il rito del Battesimo; il sacerdote accoglieva il neonato nella comunità cristiana domandando quale nome per lui i genitori avessero scelto. E poi: “Che cosa chiedi alla Chiesa?” “La fede”. “E cosa ti dona la Fede?” “La vita eterna”.
I genitori cercavano per il bambino l’accesso alla Fede, la comunione coi credenti, perché vedevano nella Fede la chiave per la vita eterna. Quando si diventa cristiani non compiamo semplicemente un atto di accoglienza nella Chiesa; i genitori si aspettano che la Fede, di cui è parte la corporalità della Chiesa gli doni la vita, la vita eterna. In questo senso, per il catechismo della Chiesa il Battesimo è in un modo tutto particolare il Sacramento della Fede, perché segna l’ingresso sacramentale nella vita di fede. È quello che ci aspettiamo noi: che la fede ci doni la vita. L’unica cosa che rende ragionevole la Fede è la sua promessa di portarci la vita: Per questo Cristo è entrato nella storia: per portarci la vita, che ci raggiunge nel Battesimo. Ma nella graduatoria di stime che governa la nostra vita, niente ci è più estraneo del Battesimo; perché questo inizio, datato nel tempo, è spesso sepolto sotto una spessa coltre di terra, di dimenticanza o di ignoranza. Per tanti tra noi il Battesimo è sepolto nella dimenticanza.
Che cosa ha ridestato in noi l’interesse per la Fede donata nel battesimo? Come si comincia a capire la sua portata? Nell’incontro con una compagnia cristiana viva. Infatti la fede di chi riceve il Battesimo non è una Fede perfetta e matura, deve crescere dopo il Battesimo. Come cresce e si sviluppa la Fede? Nell’appartenenza alla Chiesa.
Il Battesimo ci incorpora nella comunità dei credenti, facendoci diventare una persona sola in Cristo. È per questo che il catecumeno continua a crescere nella Fede; la Fede ha bisogno della comunità dei credenti. Nel corpo di Cristo si comunica la novità di Cristo, la vita che Lui ha portato. La Chiesa è perciò il metodo con cui Cristo si comunica nel tempo e nello spazio. Analogamente come Cristo è il metodo con cui dio è entrato nel mondo. Altrimenti Cristo sarebbe irrimediabilmente lontano, ridotto come contenuto e come metodo. È Questo che noi abbiamo sperimentato nell’incontro col Movimento: questo ridestarsi in noi della Fede, dell’interesse di Cristo per la nostra vita.
Ma cosa è successo dopo? Ma poi -insiste tante volte don Giussani- l’inizio è cessato. Dopo la speranza suscitata dall’incontro iniziale, sembra che tutto sia ridiventato piatto. E davanti alle nuove preomesse, siamo sempre un po’ più scettici. Cfr. Nicodemo : “Può davvero rinascere uno quando è vecchio?”. Per capire cosa è successo dopo, osserviamo quello che descrive don Giussani. Immaginate una serata in una casa del gruppo adulto o di fraternità; è proprio molto bella (musica, canti, amicizia, fraternità). Una serata bellissima, eppure se le cose si potessero elencare così come ho fatto, dando per scontato qualcos’altro, e non fosse il suo nome prodotto di un’enfasi di dialogo, urgenza di sentirlo, se Cristo, il suo nome, non avesse personalità, a un certo punto autonoma, singolare, dai tratti inconfondibili, anche con quelli che Lui stesso ha creato come segni di sé, Cristo perderebbe quella singolarità ultima inconfondibile. E se Cristo perde questa singolarità ultima, uno può partire per l’America, avere un lavoro eccezionalmente corrispondente, ma non gli basta.
Se Cristo non è oggetto pensato (memoria), detto (invocazione), contemplato con stupore e gusto tanto che si traduce in letizia “il mio cuore è lieto perché Tu vivi”, questo non basta. Cristo può essere l’origine di una bellissima umanità, pieno di letizia e amicizia, ma potrebbe essere ridotto nel ritratto di una bellissima donna, scolpito su una pietra sepolcrale. Se Cristo arrivasse e si sedesse lì tra quegli amici, non so in quanti lo stupore, l’affezione sarebbero spontanei, come in una familiarità semplice. O non ci sentiremmo coperti come da una coltre di vergogna per non aver mai detto “Tu”.
Se non c’è un io personale che dice tu a Cristo come si dice a un uomo presente, Cristo viene liquidato proprio dalla compagnia che di Lui dovrebbe essere accennato segno. È segno analogico di una realtà dell’altro mondo.
Non si tratta di ammortizzare il peso della compagnia o delle cose per affermare Cristo, ma è come una specie di esasperata tensione a gridare il Tuo nome, oh Cristo. Grazie che ti sei fatto vedere e ti sei seduto qui! La fede, amici, è questa esasperata tensione a riconoscere e dire il suo nome, Lui all’opera in mezzo a noi. Ma tante volte, ognuno di noi si può riconoscere in questo. Nessuno sentiva l’urgenza di dire il Suo nome.
È come se una di voi avesse ricevuto in regalo un bel mazzo di fiori e non si stancasse mai di parlare del mazzo di fiori, ma non sentisse l’urgenza di parlare di quel Tu che glielo ha regalato. A chi verrebbe da dire che parlare entusiasta di chi ci ha mandato i fiori è un’aggiunta, una convenzione, un … Solo chi non ha capito il significato di quei fiori! Se i fiori non sono l’occasione per destare la memoria di lui, i fiori passano, marciscono. L’inizio comincia a cessare, a predere il fascino; cosa è successo?
Don Giussani a Colfosco ’82: La compagnia è diventata la vera sostituzione di Cristo. E questo cessa. Don Giussani ce l’ha detto in tutti i modi. Abbiamo affidato la continuità dell’incontro alle iniziative, spunto di un’associazione, ecc. dalla quale pretendere la risoluzione delle cose. La comunione si è ridotta ad obbedienza all’organizzazione. Quello che aveva destato l’interesse per il Movimento era proprio Lui, dentro quei volti. È così micidiale: guardare Cristo in questa compagnia può essere così difficile come per gli altri uomini che sono soli. Tante serate insieme, senza averlo neanche riconosciuto!
Ma la nostra compagnia è sostenuta solo dal fatto che riconosciamo Te dentro lì. Parliamo di Lui come un richiamo spirituale, perché il concreto è altro. Che la salvezza sia Gesù Cristo, e che la salvezza sia legata all’incontro con Lui è diventato un richiamo spirituale; il concreto sarebbe altro. Mortificazione da pagare, pedaggio a una organizzazione che ci trova ancora, inspiegabilmente, in fila. Ma questo, prima o poi, ci delude e la vita cessa. L’interesse per Lui, che si era ridestato ancora, cessa.
Due tentazioni sempre in agguato: concepire Cristo senza Chiesa, fuori dal reale, ridurlo a nostra interpretazione e misura; o la Chiesa senza Cristo.
Il denominatore comune è che Cristo è in entrambe fuori dal reale.
Mentre la Chiesa compie la sua natura di essere luna, tutta riflesso del sole, Cristo.
La compagnia di cui noi parliamo non è una realtà fatta da noi, ma è voluta e resa permanente da un Altro.
Comunione: membra di Cristo e membra gli uni degli altri. Non esiste Cristo senza di noi, ma non esiste la comunione tra noi senza Cristo. Perciò l’unica speranza è che noi non riusciamo in questo tentativo di ridurre Cristo e la Chiesa, perché resteremmo da soli col nostro niente.
Nella Chiesa Dio si rende familiare all’uomo di ogni tempo. Avvenimenti e persone che richiamano direttamente a Lui. Chi non si è sentito richiamato ieri vedendo quello che abbiamo visto? Questo acquista la forma del miracolo e della santità: qualcosa che costringe a pensare a Dio, che non possiamo ridurre alla nostra misura.
I santi sono figure che hanno una statura umana degna dei più veri desideri dell’uomo.
Gesù Cristo è una presenza, dieci, cento, mille anni dopo, fino a noi: una grandezza umana impossibile a pensarla. Testimoni che ci impediscono di ridurre Cristo a una nostra misura. Chi non si è sentito potentemente richiamato a sentire K., o Vichy, o la Cometa, o Napoli. Sono dei fatti. Non si lasciano ridurre. Altro che astratto Cristo! Attraverso i suoi testimoni diventa una realtà irriducibile: cuore, libertà e affezione. Altro che astratto!
Da cosa si vede che è reale? Dalla nostra resistenza; si resiste a qualcosa di reale che lo sfida in continuazione. La resistenza all’esasperata tensione. È la sua irriducibilità che ci salva e ci spinge verso di lui. Una volta ridotto a quello che voglio io, ritornerebbe irrilevante. “Convocatio” prima di “Congregatio”. È questa la lotta che ha stabilito Cristo con ognuno di noi nel giorno del Battesimo. Una lotta accanita che, grazie a Dio, non riusciremo ridurre. È qui dove la nostra libertà è chiamata in causa.
Tutti i nostri tentativi di scaricare la responsabilità sulla compagnia sono patetici. Dostojeskj – Berdiajef : “L’uomo stanco della sua libertà”. Ma la nostra compagnia non c’è per risparmiarci il dramma della vita ma per continuamente ridestarla. Il Movimento dovrà cessare di esistere per farcela (scaricare la nostra libertà) è come se non ci fossero partners. È una strana compagnia la nostra. Non ci lascia da soli; se non fosse così non ci interesserebbe. Non vuole permetterci che la nostra esistenza passi senza sentire l’urgenza di Lui e della Sua presenza. In questa lotta drammatica che lui porta avanti, per introdurre ognuno di noi alla vita, perché Cristo ci raggiunge attraverso la nostra comunione, perché il Mistero diventi familiare. “Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio unigenito… Che crede nel Figlio ha la vita eterna”. Tutto il Nuovo Testamento, san Giovanni e san Paolo, sono pieni di questo annuncio: la vita eterna. Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede.
Ma cos’è la Fede e qual è il suo rapporto con la vita?
Cfr. Benedetto XVI: “Semplicemente vita, la vita vita. La vita in senso vero non la si ha da soli e da sé, è in una relazione; e la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è sorgente della vita.” Cristo è venuto per darci la vita, per introdurci a questa relazione, perciò chi crede in Lui ha la vita. La Fede è questo rapporto con Cristo. Per questo è stato mandato, è entrato nella storia. Ma cos’è questo rapporto? È il rapporto con un Tu. Cfr. cosa ci ha detto don Giussani agli Esercizi della Fraternità del 1991: “Quando sono andato a Madrid a visitare la casa nuova dei Memores Domini sono entrato a vedere le stanzette delle ragazze; sopra ogni scrivania c’era un volantone della Pasqua scorsa. Sono entrato in una camera e sopra la scrivania non c’era un volantone, c’era un pezzo di carta –gialla come quella che da noi usano i macellai – con scritto. “TU”. Io mi sono immaginato quella ragazza che apre la porta: come non poteva guardare quel “TU”? E tante volte le si sarà riempito il cuore di tenerezza o di umiliazione, di dolore per sé e per gli altri, di conforto, si sicurezza. Ultimamente, in qualunque caso, di letizia”. Ma per tanti è ancora astratto, purtroppo, questo Tu! Sì, Signore, non c’è altro da dire che Tu mi tratti come hai trattato loro, che mi rimproveri come hai rimproverato loro, che mi abbracci come hai abbracciato loro... Questo Tu è come una sorgente inesausta di acqua fresca, sorgente che non cessa mai: acqua fresca, limpida, di vita nuova.
“E questa è la vita eterna: che conoscano Te, solo vero Dio”. Dentro questo Tu si accende il tu di tutte le cose. Senza arrivare a Te non c’è nulla che soddisfi. Senza di Lui, l’inizio cessa e tutto marcisce. E un io che ha paura a lasciarsi definire da un Tu, prima o poi diventa scettico. “La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente la sostiene, e nel quale trova la sua piena soddisfazione”. (San Tommaso) Il test è la soddisfazione: la Fede come la maggiore soddisfazione che uno può pensare. La Fede si constata nella soddisfazione, nella corrispondenza unica che Cristo dà alla vita. Quando parliamo di soddisfazione tutti ci possiamo capire. Se la Fede ci dà la sostanza della vita, che può renderci partecipi di una pienezza della vita. Non vediamo ma c’è. Altro che astrazione! Questa cosa nessuno se la potrebbe sognare!
2) La conoscenza è un’affezione nuova; un’esperienza nuova del vivere. Le cose vecchie sono passate; ne sono nate di nuove. Non è che si parla di Cristo a vanvera, ma di questa novità che uno sperimenta nella propria vita, che la Fede introduce. Una coscienza nuova, una capacità di sguardo e intelligenza del reale, un’affezione nuova, una capacità di dedizione al reale, all’altro da sé che non è nemmeno immaginabile. Nel mangiare, nel bere, nel vivere e nel morire; non in cose particolarmente diverse. Una novità sorprendente nel vivere le solite cose. Toglie quel fastidio. Tu dai un nome alle cose che le fa nuove, inaudite, eppure con più familiarità. La conoscenza nuova nasce come adesione ad un avvenimento a cui si dice di sì. Occorre dire di sì. Questo avvenimento è un particolare, ma ha una pretesa universale. Io non definisco quell’avvenimento ma, piuttosto, sono definito da esso. Occorre un paragone con tutto.
La mentalità nuova non nasce per un processo di deduzione analitica ma per adesione ad un avvenimento che incontro. Non nasce da me, non è un’applicazione mia.
Come innamorarsi è,aderire a un fatto che accade; un avvenimento che fa sorgere tutto nuovo; è quasi una sorpresa.
Questo implica essere in contemporaneità con l’avvenimento che la genera e la sostiene. È una realtà vivente, il giudizio nuovo è possibile soltanto in un rapporto continuo con questa realtà viva. Origine del giudizio nuovo. La tentazione sempre in agguato è la riduzione ad un discorso, anche corretto, di cui io mi impossesso. Come se ti bastasse un bel discorso sull’amore e non avessi più bisogno della persona amata; la differenza è micidiale! Permanere nella posizione dell’origine è l’unica possibilità di rapportarci col reale senza preconcetti.
Perché abbiamo bisogno della contemporaneità? Perché un giudizio aperto e senza preconcetti è impossibile alle sole forze dell’uomo. Cfr. Papa alla Sapienza.
Ma per acquistare questo, occorre un lavoro: occorre che la nostra Fede sia costantemente impegnata in un paragone con gli avvenimenti presenti. Se non entra negli avvenimenti presenti… Non dare giudizi sugli avvenimenti presenti è mortificare la Fede! Lì vediamo la potenza della Fede; cresce rischiandola nel reale; sfidando tutto con lui negli occhi.
Si tratta di imparare, più che un discorso, uno sguardo. Si impara lo sguardo stando davanti all’avvenimento incontrato. La precedenza data a quello che Lui fa accadere. Senza troncare l’avvenimento. È la lealtà dello sguardo ciò che ci permette di non subire lo sguardo del mondo. E questo è alla portata di tutti. Cfr. lettera: “Ogni cosa mi sembra nuova. Un gusto prima inimmaginabile. È impressionante come la sete di Lui diventi sempre più urgente ogni giorno che passa. E non è un’illusione perché sono contento. E le cose hanno uno spessore diverso. Scopri di vivere quello che prima veramente volevi. È soltanto una novità così…”.
Per noi ai quali è successo così, la testimonianza è il compito della vita. Noi siamo stati scelti per credere. A noi è stata data la grazia di credere; il nostro compito è testimoniare quello che ci è stato dato.
Davanti al fatto, tutti noi siamo stati scossi; è come una provocazione alla Missione; ma la Missione non può che essere una più acuta percezione di ciò che è Cristo per la nostra vita.
Ma che importa se tutto il mondo diventa Comunione e Liberazione e io perdo me stesso?
Domenica mattina: Assemblea - Cesana/Carron
Angelus – Lodi
Canti: - Al mattino; - Errore di prospettiva; - Give me Jesus.
D: Noi ci fermiamo spesso al segno; questo accade perché il segno è debole o perché noi facciamo resistenza? Cosa vuol dire “andare oltre”?
R: Perché il segno è debole? No. Il segno è segno e chiede la nostra libertà, tant’è vero che don Giussani ci ha detto che la libertà si gioca nella lettura del segno. Proprio perché il segno rimanda, è segno di qualcos’altro, io sono chiamato a decidere se quest’altro voglio riconoscere o negare. Non per la debolezza del segno, ma per la natura del segno. Es. dei fiori. Cosa succede? Se guardaste la struttura della vostra reazione, se sorprendeste che cosa vi succede, vi rendereste conto che, per quanto piccolo sia il segno, tutti ci chiama. L’anno scorso, ad una lezione in Cattolica, c’era una ragazza che su questa faccenda del segno che richiama ad altro faceva continue obiezioni. Un ragazzo, a insaputa della ragazza e della sua amica, durante una pausa le ha messo un fiore sul suo banco. Quando lei lo ha trovato, pensava che fosse stata la sua amica; ma quando lei le ha detto che non c’entrava, quella ragazza ha cominciato a pensare: “Ma,allora, chi me l’ha portato?” E tutto il pomeriggio è stata con quel pensiero. Uno può resistere davanti ad una logica, ad un ragionamento, ma non davanti al reale. Perché quel fiore le bruciava dentro. È per questo che possiamo dire che senso e segno coincidono. Più penso al fiore, più mi brucia quella misteriosa presenza! Pensate ad ogni volta che avete ricevuto un mazzo di fiori dal vostro fidanzato: quanto più guardavate i fiori tanto più urgeva dentro il volto della persona amata. Il reale è il primo apparire dell’essere; in questo senso, mistero e segno coincidono.
Ma se andiamo oltre, è ancora di più. Quando dico io posso dirlo tutto distratto. Cfr cap. X del Senso Religioso: don giussani insiste su un particolare: “Io sono”. Io non dico con verità “io sono” finché non dico con verità e consapevolezza “Io sono fatto”.
In che cosa si vede? Se io mi abituo a dirlo con questa consapevolezza, posso entrare in qualsiasi circostanza con una possibilità di letizia, senza aver paura. In questa consapevolezza è la consistenza della persona. Non perché devo buttare via il segno, ma perché dico “io” con tutta la consapevolezza di tutto quello che c’é. È l’apertura della ragione. Se questo non capita è perché non mi date retta a rileggere il X capitolo del SR. Qualcun altro mi fa ora. E quanto più mi rendo conto di questo, tanto più mi rendo conto di questo Tu che mi fa. Ma qualcosa ci impedisce di riconoscere questa vibrazione dell’Essere il ogni cosa. È un lavoro, perché viviamo in una cultura che ci abitua a vivere il reale in un certo modo: senza fiato, senza punto di fuga, senza il Mistero, e così tutte le circostanze come vissute soffocanti.
Ma non è vero che la realtà sia questa! La realtà ha sempre dentro questo punto di fuga che ci fa respirare. Il reale soffocante è una menzogna. Non per l’aspetto moralistico, ma per la mancanza di respiro che tante volte viviamo. La consapevolezza di avere il padre e non ce l’ha; il vivere da orfani ed avere un padre: è falso. È un problema di conoscenza: non c’è realtà senza questo Tu.
In questo si vede se per noi la Fede è una conoscenza: in come guardiamo il reale. È più reale di me stesso.
Cesana: Dunque, per i nove lebbrosi che se ne sono andati senza ringraziare, non è solo un problema di maleducazione.
Carron: Loro non hanno capito la portata di quello che c’era. Poi potete decidere se vivere da figlio o da orfani, ma prima c’è da conoscere se avete un padre oppure no. La menzogna è dire che siamo orfani quando abbiamo un padre. Non sarò mai dalla vostra parte, dovrete ammazzarmi. E anche se dovessi un giorno dire il contrario…
D: Don Giussani dice “La realtà non mi ha mai tradito”. Perché fidarsi se è contradditoria?
R: Don Giussani l’ha detto non quando andava tutto bene, ma quando era tutto conciato. Anche in quel momento c’era la realtà, c’era il Mistero. Anche se contradditoria, la realtà c’è. Posso essere ammalato, depresso, ma ci sono. E lo percepisco anche perché lo devo sopportare! E se ci sono, un Altro mi fa ora. E nessuna contraddittorietà mi può impedire di riconoscere Lui. Se noi ci fermiamo alla contraddittorietà è perché noi pensiamo la realtà da una parte e Cristo dall’altra. Ma la realtà, invece, è Cristo.
Cesana: E’ come dire che la realtà tradisce quando non la si guarda come segno?
Carron: Esattamente! Capita così a chi non usa la ragione secondo la sua natura di ragione: consapevolezza del reale secondo tutti i suoi fattori.
D: Come si fa dire “Tu” a Cristo quando la compagnia stessa è astratta e contradditoria?
R: E come tu puoi dire “io sono tu che mi fai” quando sei così un peccatore? È come per Pietro che ha pensato “Non so come,non so proprio come, ma non posso non sentire che tutta la mia simpatia umana è per Te, oh Cristo”.
Io sono contento di appartenere a questa compagnia che ha posto anche per me peccatore. Io sono contento di avere continuamente bisogno del suo perdono, della sua tenerezza. Perché mi posso guardare fino in fondo senza nascondere il mio male, perché io non sono definito dal mio male. E Gesù guarda tutto il mio male e mi dice: “Ma tu sei mio, perché quello che ti definisce non è quello che riesci a fare tu, ma l’energia con cui io ti afferro”.
E questo serve anche per la nostra compagnia, senza censurare niente. Io non posso non dire che anche l’ultimo arrivato qui, fosse anche il più grande peccatore, è afferrato come me; e lui mi dà la testimonianza anche in mezzo al suo male. Altrimenti sempre rimaniamo sulla soglia, per non guardare il male nostro e degli altri. Uno che sente il suo male, non lo può sentire senza il dolore. Sentirsi peccatori non è la stessa cosa di essere cinici. Non puoi dire: “Ma io sono fatto così” perché non sei costretto ad essere così! Allora, se uno dice: “Ma io sono fatto così” come un alibi, non c’è neanche la tensione al cambiamento, non c’è la verità della domanda. Ma se uno sbagliasse ed avesse dolore per il suo male, e cento volte fosse così, chi di noi non lo abbraccerebbe in continuazione? È come coi bambini; le mamme coi bambini! Per questo non c’è problema, se c’è questa tensione al cambiamento.
D: In che senso testimone e cuore coincidono?
R: Non ci può essere contraddizione tra testimone e cuore. Posso usare male il cuore come criterio di giudizio, o il testimone può non essere un vero testimone. Però non si deve ridurre il testimone alla coerenza. Il testimone non è “il coerente” ma “il preso”, il calamitato da altro; è tutto determinato da un altro, e io non posso guardarlo senza essere richiamato a quell’altro. L’unica cosa è che noi non possiamo barare su questo: la verità è una; non ci può essere contraddizione tra il mio piede e il numero della mia scarpa.
D: Cosa vuol dire per me dire “Tu”?
R: Vuol dire che tutti i pensieri sono dominati e sfidati da questo Tu. Non posso ridurre tutto, perché mi trovo davanti a questo tu. “Non c’è altro che desiderare che Tu mi brandisca, che mi rimproveri, …”. Che tutto sia dominato e sfidato da questo Tu. È come una sorgente inesausta di acqua fresca; è un Tu reale, Cristo vivo, risorto. E questo Tu è arrivato fino a noi.
“Se non lo sentissi più parlare non potrei più vivere”. Non si può parlare di questo senza ritornare ad una esperienza di un Tu che non riuscite a togliervi di dosso. Senza questo Tu la vita sarebbe piatta. È questo Tu che domina la vita.
Questa è proprio la sintesi della nostra vita e che fa la vita diversa: non per una data circostanza, ma perché la vita tutta è dominata da questo Tu. Perché l’io è fatto per l’infinito.
Cesana: Si può anche dire che dire Tu è far memoria di quanto ci è accaduto e ci costituisce?
Carron: Sì! Se uno è innamorato, il presente è tutto carico di ciò che è successo. Il giorno prima non può essere uguale al giorno dopo. Memoria: è come se il mio io fosse tutto invaso da quello che è accaduto, preso, dominato.
D: (Questo è un caso di sillogismo negativo!) La Fede è soddisfazione, ma allora tutte le volte che non siamo soddisfatti, la fede vacilla?
R: “Io faccio tutto quello che si deve fare, ma non sono soddisfatto”. Ma secondo voi, se uno ha fame, è preoccupato di aver fame? Uno si comincia a preoccupare quando non ha fame. La fame fa parte del nostro io, perciò è una cosa buona; il negativo è non aver fame; si sarebbe malati.
Ma il nostro sogno è non aver fame, è essere malati? Noi percepiamo che l’ essere soddisfatto non è non aver fame ma soddisfare continuamente una fame continua.
Sono così soddisfatto di quell’incontro da continuare a desiderare di incontrare quella persona; sono così soddisfatto di aver mangiato quella cosa da continuare a desiderare di mangiarla. Sempre ti desta la voglia di più! Quando una cosa ti soddisfa, la desideri ancora o dici “mai più!”?. I due piatti: desideri ancora quello che ti ha soddisfatto o quello che non? Desideri aver fame per poter gustare ancora. Io desidero sempre di più che questo Mistero mi diventi familiare. Perché sono sicuro della positività della sua presenza, e desidero sempre di più farne esperienza.
D: Come lo sguardo sul reale diventa un giudizio?
R: Come la fede introduce un giudizio nuovo? È che il giudizio su di te non è quello che riesci a fare ma il rapporto con un Altro. Quando io questo altro lo lascio entrare nella vita, cambia il giudizio, cambia il sentimento di me, con cui vivo il rapporto con tutto. Come io imparo questo giudizio? In questo rapporto. Come potete voi vivere senza ritornare sempre a questo sguardo che non trovate da nessun’altra parte? Era lo sguardo su di me e sul reale che non trovavo altrove. Avevo bisogno in continuazione di questa contemporaneità, di questo rapporto. Lo cercavo nei suoi libri, in quello che lui aveva detto. Voi avete più di me e non li usate: arrangiatevi! Cosa possiamo dirci di più! Altrimenti la realtà è soffocante, impossibile a sopportare. La possibilità che io ho avuto la uso, la gioco, in continuazione. Don Giussani un giorno ci ha detto: “Cos’ho io che non avete voi?” “Questo “sì” e basta”.
D: Cosa vuol dire la contemporaneità con l’Avvenimento?
R: La contemporaneità con l’Avvenimento può essere in tutte le modalità, secondo tutta l’amplissima modalità con cui Cristo mi raggiunge con la Sua paternità. Altrimenti guardo la realtà come tutti. Se il mio modo di giudicare la realtà è quello della televisione, cosa può fare ancora Cristo? Sorridere come fa una mamma e prendere ancora iniziativa per cercare di riscattarci.
D: (della segreteria) Come mai non hai mai citato Maria Zambrano?
R: I miei amici di Madrid hanno fatto una bellissima mostra su Maria zambiano, ma questa volta non ho trovato nessuna pertinenza con quello che dovevo dirvi. Ma un’altra volta… Magari farò venire qui l a mostra…
AVVISI:
Testimonianza dal Brasile. Scelti per credere, per testimoniare Cristo: la Missione.
La grazia data a noi è per tutti. RenderLo presente a tutti quelli che incontriamo.
La forza missionaria è interna, nasce dall’interno della propria Fede. Viene molto più dall’interno che da una necessità o da un appello esteriore. Per questo la Missione, la vibrazione missionaria, è il test della fede. Quanto più siamo coscienti di che razza di grazia ci è accaduta, tanto più sentiamo l’urgenza di comunicarlo agli altri. S.Paolo: Vediamo questa vibrazione che nasce dall’interno di ciò che gli è capitato. Per questo, se non si vive in questa dimensione missionaria, chi rischia di perdersi non sono gli altri, ma sono anzitutto i cristiani, siamo noi. (Cfr volantinaggio elezioni: gli universitari volevano farlo per quello che serviva a loro) Perché ci rende veramente consapevoli di quello che abbaiamo ricevuto.
È il gesto di carità più grande che uno possa offrire ad un altro, perché è ciò che veramente fa respirare, come fa respirare noi. Perché attraverso questa missione si realizzi la nostra personalità. Viverla dove uno è, dove il Signore ci ha messo. È il test della vitalità delle nostre comunità. Non so fino a che punto siamo. Mi sembra che noi dobbiamo domandare che il Signore ci dia questa passione, come vibrava nei primi passi del Movimento. Per questo ci ha fatto scattare davanti ai nostri occhi il Brasile, per provocarci attraverso un fatto. Non potevo non dirvelo. Don Giussani diceva che per educare a questo occorre allenarsi a sentire nulla come proprio ma come “destinato a”.
La povertà è una dimensione sostanziale della nostra posizione umana dentro il reale.
Possiamo essere liberi da tante cose inutili. Ci rende liberi, perché non ne abbiamo bisogno, altrimenti andiamo dietro a tutte le stupidaggini. Nasce dalla sovrabbondanza di Lui, che ci rende liberi. Se Cristo può riempire tutto, sono disponibile a lasciare qualsiasi altra cosa.
Abbiamo bisogno di verificare se Cristo ci riempie così tanto… è la verifica! È per questo che Cristo ci urge dentro per la missione, per dilatare il Suo regno; per la stessa mossa.
Il Fondo comune implica un’educazione, un lavoro su di sé.
2 commenti:
Cara Tiziana,
mi permetto una critica costruttiva al tuo ultimo intervento sul blog (di cui apprezzo da tempo i contenuti) che spero sia ben accetta.
Non pensi che pubblicare gli appunti non rivisti sia lesivo della libertà di chi è intervenuto durante gli Esercizi?
Cordialmente,
Francesco
Mi unisco al commento di Francesco con uguale intento costruttivo (il vostro blog è molto ricco e interessante).
Oltre a quanto evidenziato da lui, va ricordato che la pubblicazione e diffusione dei testi degli esercizi è formalmente vietata da chi ci guida...credo che non vada vista come una limitazione ma di un segno di obbedienza. Con ciò non voglio pontificare o giudicare...è evidente che l'avete fatto in buona fede.
Grazie,
Alberto
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