sabato 19 aprile 2008

CHI HA SPERANZA DEVE VIVERE DIVERSAMENTE

Benedetto, le parole franche
di Luigi Geninazzi
Tratto da Avvenire del 18 aprile 2008

Nel Paese delle grandi opportu­nità Benedetto XVI non ha man­cato di cogliere la sua. «The american Pope», il Papa americano, come l’ha definito il settimanale Time, non ha perso occasione per dichiarare aper­tamente lo straordinario feeling che lo lega agli Stati Uniti, «terra di gran­de fede... che non esita ad introdurre nei discorsi pubblici ragioni morali radicate nella fede biblica», ha detto l’altra sera all’episcopato locale.

Negli Stati Uniti la religione resta un elemento fondamentale della demo­crazia ed entra nel dibattito pubblico senza le remore e i distinguo che ca­ratterizzano l’Europa. Ma Benedetto XVI, «affascinato dal concetto positi­vo di laicità che esiste nella società a­mericana », non si è fermato lì.


È an­dato oltre, sapendo bene che nel con­fuso mercato delle idee a stelle e stri­sce la religione rischia di rimanere un fatto emozionale, in vendita a poco prezzo, e non un impegno serio con la verità. Proprio perché «l’America è anche una terra di grande fede» Papa Ratzinger non fa sconti. Proprio per­ché si trova su «un suolo fertile» invi­ta con forza a diffondere «il seme del Vangelo».Nel suo primo grande discorso in ter­ra americana, rivolgendosi ai vesco­vi, Benedetto XVI ha denunciato il cre­scente fossato tra appartenenza reli­giosa e prassi quotidiana. Promuove­re pratiche di affari o procedure me­diche contrarie alla fede, ignorare o sfruttare i poveri, negare il diritto al­la vita dal concepimento alla morte naturale, tutto questo – si è doman­dato con efficace vis polemica – è for­se coerente per un cattolico? Ha cri­ticato l’individualismo «che ha in­fluenzato persino la Chiesa», met­tendo in luce quello che resta sempre nel cono d’ombra della società ame­ricana «che dà molto valore alla li­bertà personale» e «perde di vista la nostra dipendenza dagli altri, come pure la responsabilità che noi abbia­mo nei loro confronti».

Sarà diventato anche «americano» questo Pontefice ma non dimentica il rigore logico tedesco. E soprattutto dice a chiare lettere qual è il senso del­la sua missione: «Dare testimonian­za a Cristo nostra speranza». È il Pa­pa dell’enciclica Spe salvi che ieri nel­l’omelia pronunciata al Nationals Sta­dium di Washington ha svolto una stupenda riflessione su questa virtù teologale. «Gli americani sono sempre stati un popolo della speranza – ha detto –. La speranza nel futuro fa profondamente parte del carattere a­mericano ». Ma non ha dimenticato le speranze tradite e le sofferenze de­gli indigeni d’America e degli schiavi deportati dall’Africa. E ancora una volta, ha saputo trasformare l’elogio in pungolo, senza appiattirsi sull’esi­stente, «in un mondo che ha nostal­gia di una libertà genuina e di una fe­licità autentica». Ai cattolici d’Ameri­ca ha lanciato una grande sfida: «Chi ha speranza deve vivere diversamen­te! ». Un richiamo sofferto quello di Papa Ratzinger, colpito profonda­mente da tanti cristiani inclini ad ab­bracciare atteggiamenti contrari al Vangelo.

Non tace, non nasconde nulla Bene­detto XVI. Anche ieri è tornato a par­lare della tragedia degli abusi sessua­li sui minori compiuti da personalità ecclesiastiche: «Nessuna parola po­trebbe descrivere il dolore e il danno per quanto verificatosi all’interno del­la Chiesa». Già due anni fa, di fronte all’esplosione degli scandali, li aveva definiti «crimini abominevoli da per­seguire con forza, determinazione e tempestività». Non si limita alla de­nuncia, ma indica la via della guari­gione. È quella che chiama «la for­mazione del cuore», un compito e­ducativo, una grande risorsa morale che il Paese delle grandi opportunità non può assolutamente perdere.

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