Il teologo Maurizio Chiodi, il sociologo Tommaso Vitale, il filosofo Massimo Reichlin a confronto nell'incontro organizzato dall'Associazione medici cattolici di Milano
di Enrico Negrotti
Tratto da Avvenire del 18 aprile 2008
Sociologia, teologia, etica si sono intrecciate ieri al dibattito su «Aborto tra la coscienza morale personale e il costume della società contemporanea» organizzato dalla sezione milanese dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci), presieduta dal professor Giorgio Lambertenghi.
Tra il professor don Maurizio Chiodi, docente di Teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, e il professor Tommaso Vitale, ricercatore in Sociologia all’Università di Milano- Bicocca, si è svolto – coordinato dal professor Massimo Reichlin, docente di Filosofia morale presso la facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano – un confronto che ha «tagliato» la materia aborto secondo schemi inconsueti nel dibattito contemporaneo, ma che non ha mancato di sollevare profonde riflessioni su un male inestirpato della società. «È opportuno – ha sottolineato Reichlin – associare la riflessione morale a quella sul costume: infatti molte nostre scelte sono plasmate dalla società. E a trenta anni dall’approvazione della legge 194 il sentire comune è mutato come dimostra la riflessione sollevata dalla provocazione della moratoria dell’aborto».
«Dal punto di vista sociologico l’a- borto è un soggetto di studio interessante e un vero tabù» ha sottolineato Tommaso Vitale, riferendosi al recente libro del sociologo Luc Boltanski sulla condizione fetale (una contraddizione resa visibile dalle tecnologie moderne). «È un tema contraddittorio e che suscita tensioni su cui non c’è consenso – continua Vitale –. Dagli anni Sessanta i conflitti sull’aborto sono uno dei fenomeni più rilevanti della nostra società, un terreno su cui meno si comunica e ci si intende, sembra che gli assunti di chi è per la vita o per la scelta della donna siano inconciliabili, con accuse reciproche durissime».
Eppure, nonostante la pratica abortiva sia presente in tutte le società del passato, «non se ne è mai discusso prima degli anni Sessanta del secolo scorso – ha ricordato Vitale –. Non abbiamo simboli, miti, poesie, dipinti, statue (mentre per esempio l’infanticidio è rappresentato): è come dire che la nostra società è attraversata da fenomeni su cui si chiude gli occhi».
«La norma sull’aborto – ha aggiunto don Maurizio Chiodi – non può essere compresa se non a procedere da una più ampia questione, quella della generazione (essere padre e madre) e quella della scoperta di essere figlio. Proprio la riflessione sul senso dell’essere figlio (chi è, che cosa significa venire al mondo, essere generati da altri, essere qui non per scelta propria) è qualcosa che spesso manca nel dibattito pubblico». Accanto a questo «serve anche una riflessione sull’alto profilo umano di di ogni professionista della salute (medico, ostetrica, infermiere) perché è la figura che accompagna la donna che aspetta un figlio per farlo nascere». «Inoltre – ha concluso don Chiodi – è evidente anche all’analisi sociologica che l’esperienza della generazione ha un nesso con la sessualità e viceversa, come da sempre ripete la norma etica, contro la tendenza della nostra società a separarle ». «Oggi – ha osservato Vitale – il richiamo a Dio è pressoché ininfluente per giustificare il divieto di aborto, e molti Stati hanno depenalizzato l’interruzione volontaria della gravidanza, ma pochi l’hanno legalizzata perché viene comunque riconosciuto che l’aborto è male». E dal punto di vista sociale, «le donne sono sempre più sole a gestire il potere di decidere se portare avanti la gravidanza e tendono a scegliere in base a un progetto di genitorialità insieme al partner. E alcune tecnologie (come la pillola del giorno dopo o la pillola abortiva) le lasciano ancora più drasticamente sole nel prendere la decisione e nel rielaborarla».
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